“Laudate in cymbalis et psalterio” Laboratorio di Lettura ad alta voce

Buono come il pane appena sfornato, bello come una rosa di maggio, dolce come la nenia carezzevole di un plenilunio stellato, sereno come la carezza di una mamma prima di addormentarsi, il desiderio di essere uno, nessuno e centomila nella finzione scenica. Ma ancora più seducente la malia di un’immagine che si fa fantasmagorica proiezione di sé nell’affabulante liturgia della parola evocatrice di sogni. Leggere per riconoscersi in uno specchio franto, in ogni piccolo frammento, percorrendo sentieri sempre nuovi e aprichi. E’ quello che ha fatto la regista Gigliola Amonini che negli spazi del Policampus ha giocato con “i corsisti del desiderio”, della poiesis ricercata come smania del vivere, in un affascinante laboratorio di lettura ad alta voce con la complicità dinamica di “Alpi in Scena” e la collaborazione di “Quadrato Magico”.  Leggere per ritrovarsi nell’altro, nella visione immaginifica di trame sempre nuove, di avventure nel regno del tempo dell’assenza di tempo, ove tutto è possibile. Ancora e sempre la magia del suono di una voce che ci riporta indietro nel tempo cristallizzato dell’età fiorita, conducendoci in una caleidoscopica stanza dei ricordi che si frammischiano nel mosaico onirico di una rappresentazione che si consuma sul nudo palcoscenico della vita. Attori inconsapevoli di un dramma dal finale certo, c’incamminiamo lungo binari già percorsi. E qualcuno scende dal treno anzitempo. Altri, compagni di un effimero volo radente, ci illudono di non essere fragilmente soli. L’onnipotenza è solo all’appannaggio dell’infanzia. E allora eccola la pagina ristoratrice di un libro che si fa latenza affettiva, romantica liscivia dell’anima che consola e che conforta.  Leggere a voce alta il verbo salmodiante tra cembali e salteri, lontana da bistro e belletti d’artificio, è stato il cammino proposto da Gigliola Amonini, pifferaio magico che ha giocato con le mille sfumature del timbro e l’emozione. “Vorrei conoscere, vorrei studiare, vorrei giocare, vorrei essere più sicuro, vorrei volermi più bene…Quanti bei vorrei!  Alla fine, se è permessa l'iperbole psicoanalitica, l'Ego del corsista se ne torna a casa con la capacità di leggere e interpretare discretamente una poesia di Benni o una pagina di Calvino, ma è l'Io che fa bottino pieno: interazione, scambio e condivisione con gli altri, calma interiore, maggior consapevolezza di se e dei percorsi o meccanismi che ci attraversano quando ci si pone un ostacolo da affrontare o domare, sia esso la domanda scomoda di un bambino, una malattia, o la pagina scritta”, ha spiegato la regista sondriese che ha cavalcato emozioni sottese alle parole che sanano. Che guidano. E liberano, infine.

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