“I picapréda” di Novate in un volume di Sandro Massera

Tra le iniziative del Centro di studi storici valchiavennaschi previste l’anno scorso per ricordare i 100 anni che avrebbe compiuto il prof. Sandro Massera rientra la ripubblicazione della sua monografia, in distribuzione in questi giorni da parte del Centro di studi storici di Chiavenna, su “Novate e i suoi picapréda” con il sottotitolo “Due secoli di storia della lavorazione del granito sanfedelino”, edito la prima volta nel 1996. Non si tratta però di una semplice ristampa, perché al volume sono stati allegati due studi, pubblicati successivamente dallo stesso autore su “Clavenna”, l’annuario del Centro storico: l’uno sui “picapréda” del sanfedelino provenienti dalla val d’Intelvi e l’altro sul monumento ai caduti di Novate, realizzato nella stessa pietra nel 1922.
Il volume è un omaggio che il Centro di studi storici ha voluto per ricordare uno dei suoi principali fondatori nel 1959, insieme a don Peppino Cerfoglia, al prof. Luigi Festorazzi, a don Tarcisio Salice, a Giorgio Scaramellini e a due studenti allora sedicenni, Giovanni Giorgetta e Guido Scaramellini.
Il lavoro appartiene a una delle tre principali piste di ricerca storica del prof. Massera, legata al suo paese natio, Novate Mezzola. Le altre due riguardano gli anni in cui Valtellina e Valchiavenna entrarono direttamente nella storia europea: nel ventennio seguito al 1620, l’anno del cosiddetto Sacro Macello di Valtellina, quando le due valli furono contese tra le due maggiori potenze, la Francia e la Spagna, e a cavallo tra Sette e Ottocento con il passaggio delle due valli dal dominio grigione a quello napoleonico e poi a quello austriaco.
Il volume, riccamente illustrato, anche a colori, e con copertina cartonata, è preceduto da tre presentazioni a firma di Guido Scaramellini in qualità di presidente del Centro, di Elena Caligari, vice sindaco del Comune di Novate e di Silvia e Andrea Massera, figli del compianto professore, che hanno generosamente sostenuto l’iniziativa.
Lo studio si basa su ricerche e testimonianze di prima mano, trattandosi di un tema mai prima esplorato, che coinvolge aspetti sociali, economici, storici, artistici e ambientali
Nel 1738 il ducato di Milano, allora soggetto all’Austria, perse il Novarese con le cave, a cominciare da quelle del marmo di Candoglia, e si rendeva necessario trovare cave alternative. Inoltre nel 1777 si scavò un canale navigabile nell’Adda che evitava le cascate di Paderno, facilitando il trasporto dal Lario a Milano. Fu allora che gli scalpellini della val d’Intelvi aprirono la prima cava detta di San Fedelino, così chiamata dalla vicina chiesetta protoromanica, allora in terra milanese. Nel 1805, con il passaggio ai cisalpini napoleonici del milanese e delle terre prima appartenenti ai Grigioni, le cave si estesero a nord e poi alle spalle di Novate. La richiesta era soprattutto di trottatoie e di cordoli per le strade, essendo il granito sanfedelino a due miche molto resistente. Notevole l’impiego della pietra per la nuova carrozzabile dello Spluga, inaugurata nel 1822. Nel 1833 alle sei cave tra Novate e Campo lavoravano 150 operai e altrettanti garzoni. Dopo un periodo di crisi, il commercio riprese sul finire dell’800, quando la nuova ferrovia Colico-Chiavenna fu collegata con Milano. A inizio ‘900 le cave erano raddoppiate e davano lavoro alla maggioranza della popolazione maschile. Si arrivò negli anni venti a 500 addetti in una ventina di cantieri. Alla ripresa del secondo dopoguerra seguì la crisi degli anni 70 e oggi, con tutti i problemi relativi alla sicurezza, alla qualità della vita e agli aspetti ambientali, l’attività è ridottissima. Rimane un piccolo museo che ne ripercorre la storia e documenta l’importanza di quella pietra, con la quale furono lastricate molte importanti città dell’Italia settentrionale, da Como a Milano, da Pavia a Bologna. A Lecco fu rivestita in sanfedelino la nuova chiesa della Vittoria.

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