Severgnini si racconta

DIARIO SENTIMENTALE DI UN GIORNALISTA

(Nello Colombo)   La vita è un viaggio. Alla scoperta del mondo, alla ricerca della propria dimensione. E una volta trovata – forse – ci si accorge di essere già al capolinea. Il “Diario sentimentale di un giornalista” presentato al Teatro Sociale da Beppe Severgnini dimentico a volte della sua vera vocazione giornalistica per addentrarsi in campi inesplorati, – e lo fa bene - insegue le peregrinazioni dell’anima inquieta di un “corriere dell’informazione” che nel corso di un cinquantennio o giù di lì traccia un’istantanea d’autore mettendoci sempre del suo. E lo ha fatto con l’ausilio della bionda platino Serena Del Fiore alla consolle audio che con la sua colonna sonora ha scandito i momenti “rapaci” di un corrispondente “sparviero” in giro per il mondo a raccogliere “de visu” il soffio della storia che cambia. Già nel 2015 al Teatro dei Salesiani Severgnini aveva sperimentato la formula del viaggio bloccato in un improbabile aeroporto di Lisbona, ma stavolta lo ha fatto seguendo la colonna sonora vincente che lo ha accompagnato sin dai suoi primi passi nella “scrittura creativa” che rianima come la “Stayin' Alive” dei Bee Gees. Anno 1979: primi passi alla “Provincia di Cremona” a seguire, da studentello universitario con papà notaio, le elezioni di “Miss body Leopardo”. A ruota il fulminante incontro col grande Indro che lo spedisce nella lontana Australia a fare un reportage sul mondo italico degli emigranti.  E’ lì che s’imbatte nella bella svedesona Annika, visto che la cara Ortensia – sua futura moglie – “prende tempo”. Casanova da strapazzo si lascia spupazzare in lungo e in largo in tenda con il terzo incomodo di uno svizzero-tedesco che quando capisce – un po’ tardi – la manfrina, non esita a sbagagliarli in un angolo remoto della terra dei canguri. L’avventura non gli preclude però la via del recupero del “disperso”. E allora Severgnini, si scorda di fare il giornalista e si mette a fare il professore con 6 piccole sagaci lezioncine. La “serietà non seriosa” è sperimentata nella Milano a cavallo degli anni dell’imbarbarimento fantapolitico eversivo tra i ’70 e gli ’80 nel “conclave amministrato da Sua Santità Montanelli” in cui impara a tacere, ad ascoltare e ad intervenire sapendo di essere giudicato.  Esilarante l’episodio dello sboccato merlo indiano di Rizzoli che in redazione sbeffeggia l’amico Spadolini. Giunge poi la parentesi londinese sul tema dell’“adattamento felice” in un buio seminterrato che getta nelle ambasce la povera madre, ma non scalfisce la sua gaia esistenza rinvigorita quando scopre che lì, proprio lì, aveva dimorato per qualche tempo nientedimeno che Jimi Hendrix.  E’ poi la volta del “movimento istruttivo”, quello dei lunghi viaggi intorno al mondo che sono una vera esperienza di resilienza anche dinanzi a chi ti osanna scambiandoti per altri. Si arriva poi alla “fatica utile” della sua esperienza come direttore che apre una parentesi sull’editoria moderna a cui augura buon senso e riconoscimento pieno a chi ha sempre dato tanto. A quell’informazione che rischia l’imbavagliamento nel raccontare una realtà senza viverci.  Le palette verdi del compiacimento e quelle rosse del dissenso hanno caratterizzato per il Direttore Severgnini un atto di umile insegnamento. “Sempre meglio della piattaforma Rousseau”. Altra tappa sul “cambiamento inevitabile” all’insegna del “cambia se non vuoi essere cambiato” che racconta della capacità di reinventarsi sempre, in radio, in televisione, in teatro, come un’esigenza nuova, un cambio di pelle - solo apparente - per esplorare nuove emozioni che lo riconducono, però, sempre a Crema, alla sua terra natia all’ombra della magnolia cresciuta col figlio Antonio in viaggio con papà di tanto in tanto. La terra dove tutto ha inizio e dove si torna sempre come ad un porto sicuro in cui è dolce naufragare.
 

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