“Apartheid climatico”(Il disastro della terra)
(Maria de falco Marotta) Bello questo titolo “Apartheid climatico” usato dall’ONU per mascherare che il pianeta terra e a rischio, è- in altre parole anche se tra i ricchi di euro si continua a bivaccare e a divertirsi come se tutto fosse normale- “il cambiamento climatico minaccia di annullare gli ultimi 50 anni di progressi» È l’allarme lanciato all’Onu da Philip Alston – relatore speciale sull’estrema povertà – in un rapporto presentato ieri al Consiglio dei diritti umani. Il cambiamento climatico potrebbe «causare 120 milioni di nuovi poveri entro il 2030», creando uno scenario in cui i ricchi avranno i mezzi per sfuggire alla fame «mentre il resto del mondo sarà lasciato a soffrire». «Il cambiamento climatico minaccia di annullare gli ultimi 50 anni di progressi nello sviluppo, nella salute globale e nella riduzione della povertà» avverte lo studioso, che ha anche criticato le misure adottate dagli organismi delle Nazioni Unite come «palesemente inadeguate», insufficienti per salvare la Terra dal «disastro imminente». Non fa eccezione l’Italia, che già da questo fine settimana sarà investita da un’ondata di caldo anomalo proveniente dal Nord Africa. Antonio Sanò, fondatore de IlMeteo.it, si è così espresso ai giornalisti: «In generale tutto il paese verrà interessato da un aumento delle temperature. Ma se al centro-sud le temperature aumenteranno senza toccare picchi clamorosi, il discorso è diverso per alcune zone della pianura padana, dove potrebbero essere battuti valori record. In particolare sul Piemonte prevediamo 43 gradi sia giovedì che venerdì. Un valore mai registrato in quella zona».
Il singolo evento metereologico, che sia l’aumento di temperature o la nevicata fuori stagione, di per sé non è catalogabile come diretta conseguenza del cambiamento climatico, ma assume significato se analizzato in ottica generale. «Questa singola ondata di caldo – ha spiegato Sanò – da sola non ci dice nulla, ma insieme alla tendenza degli ultimi decenni, fa parte di un trend di crescita preoccupante».
Il libro Mobility Justice. The politcs of Moviment in an Ages Extremes, di Mimi Sheller è un testo denso in grado di articolare una lettura della molteplicità che costella i campi del potere e dello sfruttamento nella società contemporanea. La chiave analitica che Sheller, docente alla Drexell University di Philadelphia, utilizza è quella della «mobilità», ovvero lo studio delle politiche e delle relazioni di potere che producono capacità ineguali di movimento. Sheller si concentra non solo sul movimento in sé, ma sul potere che hanno i discorsi, le pratiche e le infrastrutture della mobilità nel creare sia movimento che della stasi, smobilitazione e successiva rimobilizzazione; culturalmente modellati da ciò che può essere definito come un assemblaggio: di attori sociali, di azioni e significati influenzati proprio da quei regimi di mobilità che regolano chi e cosa può muoversi (o restare), quando, dove, come, in quali condizioni e con quali significati.
Mimi Sheller induce a ripensare le tre crisi contemporanee, apparentemente separate – crisi del clima, dell’urbanizzazione e delle migrazioni – dentro un’unica trama. Il cambiamento climatico è, infatti, una crisi di mobilità in almeno tre modi: le emissioni legate al trasporto sono un fattore determinante per il riscaldamento globale, rappresentando circa un quarto delle emissioni di gas a effetto serra; gli ambienti costruiti e gli usi terrestri che sostengono i modelli attuali della vita mobile stanno guidando il mutamento climatico globale e l’inquinamento della terra e dell’acqua; infine il cambiamento climatico sradica le persone e interrompe i sistemi infrastrutturali e le catene di approvvigionamento in tutto il mondo, guidando la migrazione ambientale di fronte al collasso ecologico e sociale. L’altra grave crisi che si sviluppa su scala mondiale è quella legata alla crescita urbana e alla diffusione dell’«auto mobilità» (ovvero un sistema di interblocco di automobili, autostrade, infrastrutture di rifornimento, aziende automobilistiche, politiche governative e culture automobilistiche) sequenziale e al tempo stesso fattore di accelerazione proprio all’espansione urbana e del consumo di risorse, nonché punto che alimenta disuguaglianze sociali, furto della terra e sfratti di massa nelle megalopoli in giro per il mondo. Ciò ha prodotto una paralizzante congestione del traffico, livelli pericolosi di inquinamento atmosferico, carenza di energia e, in molti casi, carenza idrica.
LA STESSA CRISI dei rifugiati, per Sheller, lungi dall’essere un evento eccezionale, rappresenta piuttosto l’effetto delle politiche in corso di privatizzazione e cartolarizzazione di terre e spazi urbani, «recinzioni» che limitano l’accesso al welfare state. Le questioni dei confini, delle migrazioni e dell’«umanitarismo» devono essere quindi collocate nel contesto dell’urbanizzazione globale, dei cambiamenti climatici, delle relazioni sociali transnazionali modellate da processi razziali, di classe, di genere e sessuali: fattori tutti che hanno una forte eco nella governance della (im)mobilità.
IL VOLUME ripercorre le intersezioni della «kinopolitica» con i sistemi di gerarchia razzializzata/di genere/sessualizzata. Potremmo dire che tutti i processi razziali, gli spazi razzializzati e le identità razzializzate sono profondamente condizionati dalle mobilità differenziali. I confini razziali si formano, si riformano e si trasformano attraverso relazioni mobili di potere e i progetti razziali riguardano la gestione delle mobilità (deportazione neoschiavismo, apartheid, securitarismo). La differenza e la diseguaglianza di genere e sessuale è, inoltre, uno dei principali dispositivi intorno ai quali istituzioni ed enti producono mobilità differenziata attraverso processi intrisi di potere sociale, culturale, economico, politico e geografico.
LE FORME esistenti di crescita capitalistica, urbanizzazione planetaria ed estrazione delle risorse hanno dunque comportato surriscaldamento dell’atmosfera e reso precaria la vita sulla Terra. Le politiche locali dei trasporti e della gestione urbana non saranno tuttavia sufficienti per fermare questi processi multi-scalari. Né saranno sufficienti le nuove tecnologie, o la sharing economy per combattere l’élite cinetica e i processi in continua espansione dell’urbanizzazione industriale militare-industriale.
Il suggerimento dell’autrice è di dotarci di nuovi strumenti ontologici, come quelli che provengono dalle filosofie femministe e dai movimenti globali del sud e delle politiche indigene. Justice mobility ripensa in termini intersezionali, multi scalari, in una visione mobile e non stato-centrica le contraddizioni del nostro iniquo sistema sociale.