Mola: arte moderna e scienza della vita
Firenze, agli Uffizi il GDSU
Il Gabinetto dei disegni e delle stampe (GDSU) è un dipartimento degli Uffizi a Firenze, dedicato alle arti grafiche. Si tratta di una delle raccolte PIÙ IMPORTANTI AL MONDO in questo settore, con circa 150.000 opere, datate dalla fine del Trecento al XX secolo. Si trova al primo piano della Galleria, presso i locali ricavati dall'ex Teatro Mediceo.
Si intitola “Sguardi sul Novecento. Disegni di artisti italiani tra le due guerre” la mostra che è allestita nella Sala Edoardo Detti del Gabinetto Disegni e Stampe delle Gallerie degli Uffizi, a Firenze. Sono in esposizione disegni e stampe, per lo più sconosciuti al grande pubblico e riferibili ai primi 30 anni del Novecento, che costituiscono una significativa selezione di acquisizioni pervenute tramite donazioni o acquisti al Gabinetto Disegni e Stampe tra il 2004 e il 2015. La conferenza stampa nella Sala Detti del Gabinetto Disegni e Stampe è stata lunedì 16 maggio all’ingresso di Porta 1 , Loggiato di levante, Piazzale degli Uffizi, Firenze. Presenti Eike Schmidt (Direttore delle Gallerie degli Uffizi) e Marzia Faietti (Curatore del Gabinetto Disegni e Stampe delle Gallerie degli Uffizi). In esposizione disegni e stampe, per lo più sconosciuti al grande pubblico e riferibili ai primi 30 anni del Novecento, che costituiscono una significativa selezione di acquisizioni pervenute tramite donazioni o acquisti al Gabinetto Disegni e Stampe tra il 2004 e il 2015.
autori: Pietro Bugiani, Primo Conti, Giovanni Costetti, Kurt Craemer, ALBERTO GIACOMETTI, Giuseppe Lanza del Vasto, Giuseppe Lunardi, Marino Marini, Ernesto Michahelles Thayaht, Ram, Jacques Villon, Anders Zorn
orario: Martedì - Domenica: 8.15-18.00 chiuso lunedì
Fonte: Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismoFi
Firenze - sino al 4 settembre 2016 Sguardi sul Novecento. Disegni di artisti italiani tra le due guerre CARLO MOLA
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SFMOMA
San Francisco. Riapre finalmente il SFMOMA firmato Snøhetta (Snøhetta è uno studio internazionale di architettura, architettura del paesaggio e design di interni con sede principale a Oslo e una minore a New York). Il grande Museo di San Francisco, Il SFMOMA, riapre ufficialmente dopo tre anni di chiusura per lavori. Al concorso per i lavori c’erano concorrenti del peso di Norman Foster, Diller Scofidio e Adjaye, ma il progetto vincitore è stato quello di Snøhetta, gruppo norvegese conosciuto per opere importanti che rasentano non solo il rivoluzionario ma anche il visionario. Ne diamo qui un’anteprima
Vi è stata una vera attesa per il SFMOMA, Finalmente ognuno potrà farsi un’idea personale dei nuovi spazi, di ciò che di nuovo contengono e dei messaggi che questi vogliono trasmettere ai visitatori. Perché sicuramente è il compito di un museo moderno. Il progetto presenta due aspetti importanti. Da una parte il rapporto con l’immediato che vive all'intorno. Un sito particolarmente vivo a San Francisco per il vigore delle trasformazioni che stanno avvenendo nel distretto del Transbay Transit Center. È lì che si punta per la rappresentazione futura della città e il suo “ingresso nel gotha dell’architettura contemporanea globale, con nuove torri grattacielo ad opera di firme come Foster, (Lord Norman Robert Foster, Barone Foster of Thames Bank,Stockport, 1º giugno 1935, è un architetto e designer britannico, tra i principali esponenti dell'architettura high-tech).OMA (Lo studio olandese OMA seleziona i professionisti migliori per partecipare ai progetti che stanno realizzando in Europa, Asia, e negli Stati Uniti) e Pelli (César Pelli (San Miguel de Tucumán, 12 ottobre 1926 è un architetto argentino naturalizzato statunitense).
Dall’altra il tema compositivo, ovvero l’abbinamento in accoppiata all’edificio preesistente post moderno, progettato dall’italo-svizzero il nostro grande Mario Botta, laddove per abbinamento, si direbbe meglio stretta aderenza” ARCHITETTURA SISMICA Per la forma organica, angolata e un po’ sbilenca, Craig Dyckers di Snøhetta dichiara di essersi ispirato alla morfologia ondulata di San Francisco (onde sismiche incluse) “per il bianco puro, al noto clima nebbioso che invade la baia di prima mattina, e alla scelta di un tono neutro se non muto, per accostarsi all’edificio primario con cui il nuovo SFMOMA avrebbe dovuto relazionarsi” Leggiamo e riportiamo. “Di qua il volume compatto, rettangolare basso, muscolare e assertivo, dell’edificio originario, radicato al suolo dai ricorsi orizzontali in rilievo, e dalla presenza fisica, dei mattoni rossi a vista. Di là, alle sue spalle, come a cavalcioni sul primo, la mole del nuovo edificio che nonostante le proporzioni, si stacca dal suolo per la leggerezza del bianco e le striature corrugate della pelle che lo riveste, come le pieghe di un grande lenzuolo che conferiscono levità.
L’architettura nel suo insieme si percepisce (solo) da lontano, e mai totalmente, eccetto che ci si trovi ad osservarlo da uno dei trentacinquesimi piani dei grattacieli intorno, cosa abbastanza improbabile per un normale avventore/visitatore museale. Dunque dell’immensa opera bianca non si ha mai percezione totale, ma sempre molto angolata, di scorcio, di dettaglio, a spicchi urbani tra gli edifici e il cielo, alzando bene lo sguardo verso l’alto. Eccetto che da Natoma Street, dove è possibile apprezzare uno degli innesti urbani a contrasto, decisamente più riusciti: sullo sfondo bianco totale del nuovo Moma, smarcano con forza le quinte usurate in mattoni, dei vecchi edifici industriali lungo la strada. PERCHÉ LA POLEMICA Al SFMOMA si accede come sempre dall’ingresso principale dell’edificio preesistente. Onore e scandalo del nuovo progetto. La polemica in atto si concentra tutta lì. E per comprenderne le ragioni occorre fare un passo indietro, e ricordare l’immagine della hall prima del lavoro di Snøhetta. Il vecchio edificio post moderno ruotava intorno al polo del lucernaio cilindrico centrale che illumina a giorno la hall. Nel cono di luce circolare era inscritta la scala a pianta quadrata, che smistava ai tre livelli soprastanti, e si agganciava ai quattro pilastri a tutta altezza. La composizione agganciava elementi diversi in equilibrio perfetto per funzionalità, geometria e sincronia cromatica dei materiali. Il cilindro segnava il centro, la luce ne esaltava il bianco, la scala in muratura piena dettava la funzione, il marmo nero marcava il portale d’ingresso e l’alta zoccolatura alla base dei pilastri. Ai piedi dei due anteriori, si incastravano i banchi della reception, circolari anch’essi. Snøhetta decide di demolire la scala e di sostituirla con una nuova. Una moderna, leggera, angolata nuova scala, che appare volutamente distaccarsi dal linguaggio precedente. Il fatto è che la nuova inserzione non risulta affatto migliorativa. Il cono di luce cilindrico è stato spodestato della forza comunicativa passando al rango di un normale elemento decorativo da percepire in seconda battuta, quando si sta già un po’ su per le scale. La zona reception è stata spostata tutta sul lato sinistro per (evidenti?) ragioni funzionali, ma il risultato finale è di grande generale disorientamento. Tale da richiedere l’uso di percorsi transennati, per smistare il pubblico razionalmente. C’è da capire dove siano ubicati gli ascensori. E c’è l’altra scala in fondo, importante, ma di cui ci si accorge in ritardo, che conduce al piano aperto sulla hall, al terrazzo e alla sala ingresso da est, quella dedicata a Richard Serra. Gli spazi sembrano confondersi l’uno nell’altro, il che non genera armonia, perché non risulta essere attribuita priorità o gerarchia a nessuna delle funzioni presenti. Sarà anche una scelta progettuale ma genera confusione. Oltre ad aver distrutto per sempre un carattere importante dell’edificio originario. LA QUESTIONE “GRADONATE” L’impianto della nuova ala si sviluppa su una base rettangolare allungata, agganciata sul retro dell’edificio in mattoni rossi, e sale su per dieci piani, scavalcando il precedente di cinque. Lungo l’ala nord, sul lato lungo del rettangolo si sviluppano i percorsi verticali gradonati, che si innestano a loro volta sulle aree pubbliche interne e sugli spazi aperti a corte e terrazza, verso l’esterno. Un volume aggiuntivo, diverso per altezze e materiali, rivestito com’è in pietra grigia, si aggancia al primo in quota, al terzo livello, e costituisce la zona servizio / ristorante / caffè, direttamente connesso alla terrazza, utilizzata come piazza e zona espositiva all’aperto. La zona dei percorsi con le lunghe gradonate in legno chiaro costituisce forse la parte più interessante del concept progettuale. Alcuni setti in vetro consentono di traguardarne la vista a vari livelli con un effetto di sovrapposizione e intreccio che ne esalta geometria, luce e leggerezza. Le terrazze lunghe e strette sottolineano la dimensione longitudinale dell’intero edificio e la sensazione di continuare a percorrerlo da su a giù lungo un nastro immaginario. La prima è stretta a corte tra l’edificio bianco e il setto murario trattato a giardino, tra giochi d’ombra e scorci di luce agli estremi che attraggono l’esplorazione. La seconda è tutta aperta e in quota, come una piazza aerea tra i grattacieli intorno. Le viste sulla città diventano parte del progetto, in alcuni scorci sembrano esserne la sua stessa ragione compositiva.
IL PIÙ GRANDE MUSEO D’ARTE CONTEMPORANEA NEGLI USA. Con l’estensione realizzata, il nuovo museo risulta essere il più grande negli Stati Uniti dedicati all’arte contemporanea. Oltre Serra e Calder esposti nelle aree di ingresso, ci sono Bacon, Jasper Johns, Rothko, Frida Kahlo, Warhol, Richter e Jeff Koons…Uno dei successi maggiori del nuovo SFMOMA è sicuramente quello di aver creato un dibattito sull’architettura molto vivo. Spiegazione perfetta per fare un viaggio a San Francisco e andare a ispezionare di persona i fondamenti di una o dell’altra scuola di pensiero. E come suggerisce Emilia Antonia De Vivo magari davanti a un calice di pinot nero della California, al tramonto, con vista sul Golden Gate Bridge. I molti dati di questa segnalazione sono dovuti quasi tutti tratti da uno scritto di Emilia Antonia De Vivo architetto urbanista che vive a Londra da quattro anni. Redattore freelance per domusweb, è autrice di molti testi sull’architettura. QUI A CURA di CARLO MOLA.
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Batteri elisir di lunga vita?
Eccoci con una notizia che ci fan ben sperare per l’età dell’uomo. I batteri giusti per vivere (più di) cent’anni. Uno studio guidato da ricercatori dell’Alma Mater (L'Alma Mater Studiorum è la prima università del mondo occidentale e oggi
promuove la strada dell'innovazione offrendo un'ampia offerta formativa) con il contributo del Cnr ha analizzato la popolazione batterica intestinale di 24 soggetti di età compresa tra i 105 e i 110 anni per cercare di individuare il segreto della loro longevità. I risultati sono pubblicati su Current Biology (Che pubblica le ricerche più significative nel campo della biologia). La composizione del microbiota intestinale – l’insieme di microrganismi simbionti che a migliaia di miliardi abitano il nostro intestino – come soluzione per intendere il segreto della longevità. È la posta da cui è partita una nuova ricerca Unibo (Università di Bologna) e Cnr, che con questo obiettivo ha analizzato la popolazione batterica intestinale di 24 semi-supercentenari (ovvero soggetti di età compresa tra i 105 e i 110 anni) della provincia di Bologna, confrontandola con quella di centenari (99-104 anni), anziani (65-75 anni) e adulti (20-50 anni) arruolati nella stessa area geografica per limitare le differenze dovute alle abitudini alimentari e allo stile di vita. Lo studio – promosso dal gruppo di Ecologia microbica della salute del Dipartimento di farmacia e biotecnologie e dal gruppo di ricerca per gli studi sull’invecchiamento e la longevità del Dipartimento di medicina specialistica, diagnostica e sperimentale dell’Università di Bologna, e con la partnership dell’Istituto di tecnologie biomediche del Consiglio nazionale delle ricerche (Itb-Cnr) di Milano – è stato appena pubblicato sulla rivista internazionale Current Biology (Cell Press) ed è il primo al mondo a studiare il microbiota di soggetti così eccezionalmente longevi, consentendo di gettare nuova luce sul ruolo dei batteri intestinali nella longevità.“La longevità – spiega la ricercatrice Unibo, Elena Biagi - è un tratto complesso in cui giocano un ruolo chiave la genetica, l’ambiente e il caso. Influenzando molteplici aspetti della fisiologia umana, come il corretto funzionamento del sistema immunitario e del metabolismo energetico, il microbiota intestinale può rappresentare un tassello importante nel definire come e quanto un essere umano può invecchiare mantenendosi in buona salute”. Dalla ricerca effettuata, infatti, è emersa l’esistenza di un’core microbiota' (una sorta di porzione 'fissa' dell’ecosistema in termini di composizione), costituito principalmente da specie simbionti (prevalentemente appartenenti alle famiglie Ruminococcaceae, Lachnospiraceae e Bacteroidaceae) generalmente associate ad uno stato di salute e produttrici di molecole estremamente importanti per il nostro organismo come gli acidi grassi a corta catena. L’abbondanza cumulativa di queste specie all’interno del microbiota intestinale diminuisce però con l’avanzare dell’età, favorendo la progressiva proliferazione di specie sub-dominanti e opportunisti pro-infiammatori, presenti in bassa percentuale nei giovani adulti. L’invecchiamento è caratterizzato, inoltre, da cambiamenti nei rapporti di co-occorrenza tra le specie microbiche non appartenenti al 'core', cioè nella frequenza con cui due specie appaiono insieme nel microbiota intestinale di un individuo.“Queste caratteristiche”, continua Marco Severgnini, ricercatore dell’Itb-Cnr, “tipiche di un ecosistema associato ad un organismo che invecchia, si mantengono nel microbiota intestinale di individui longevi ed estremamente longevi. Allo stesso tempo però, il microbiota intestinale dei semi-supercentenari mostra i segni di una parallela proliferazione di microrganismi antinfiammatori, immunomodulanti e promotori della salute dell’epitelio intestinale, come Bifidobacterium e Akkermansia”. È stato inoltre rilevato nei semi-supercentenari, un aumento nell’abbondanza di batteri appartenenti alla famiglia Christensenellaceae, un gruppo batterico recentemente salito all’attenzione della ricerca nel campo del microbiota intestinale, in quanto associato ad uno stato di salute e identificato come la componente del microbiota maggiormente influenzata dal patrimonio genetico dell’ospite. In assenza di studi longitudinali - estremamente difficili da realizzare nel campo della ricerca sulla longevità umana - non è possibile sapere se queste particolari caratteristiche del microbiota intestinale di individui così eccezionalmente longevi sono legate al loro passato stile di vita e, soprattutto, se erano già presenti in giovane età o se, al contrario, sono un tratto acquisito durante l’invecchiamento soltanto dai soggetti che riescono a vivere più a lungo degli altri. Si può però ipotizzare che la maggiore abbondanza di Christensenellaceae, associata all’osservato aumento di bifidobatteri e Akkermansia, costituisca una sorta di 'firma', da ricercare nel microbiota intestinale di persone particolarmente longeve, e che questa rappresenti un adattamento dell’ecosistema ai cambiamenti fisiologici che avvengono con l’avanzare dell’età, in grado di promuovere la salute e contribuire al raggiungimento dei limiti estremi dell’aspettativa di vita umana. A CURA DICARLO MOLA
Istituto di tecnologie biomediche del Consiglio nazionale delle ricerche (Itb-Cnr) e Università di Bologna. Studio sulla popolazione batterica intestinale di 24 soggetti di età compresa tra i 105 e i 110 anni, pubblicato su 'Current Biology'. "Biagi Elena, Franceschi Claudio, Rampelli Simone, Severgnini Marco, Ostan Rita, Turroni Silvia, Consolandi Clarissa, Quercia Sara, Scurti Maria, Monti Daniela, Capri Miriam, Brigidi Patrizia, Candela Marco; 2016; Gut Microbiota and Extreme Longevity; Current Biology.