Maria La Brasca eroina d'altri tempi

Grandi aspettative del pubblico del Teatro Sociale per la pièce di Giovanni Testori “La Maria Brasca”  adattata da Andrée Ruth Shammah. Ambientata nel pieno boom economico dell’Italietta piccolo-borghese dell’ultimo dopoguerra, è la storia suggestiva di un personaggio scomodo, a suo modo rivoluzionario, che si arroga il proprio diritto di sentirsi donna libera e, per l’epoca, “spregiudicata”, perché non esita, per amore, a sfidare le rigide convenzioni sociali del tempo che grida allo scandalo quando Maria, umile operaia, s’invaghisce perdutamente del più giovane Romeo, un bellimbusto indolente, “il fabbricone” agognato di tutte le ragazze del quartiere. Ambientazione smaccatamente solida fatta di nudo mattonato di uno scalcinato edificio in cui, a mo’ di serranda scorrevole si apre l’interno della famiglia Scotti. Tra la cucina e uno sgabuzzino-separé per la privacy di una camera da letto si aggira “La Maria” (una seducente Marina Rocco) che sveste i panni dell’opificio restando in sottoveste col vezzo di un elegante paio di scarpette rosa vernice, tacco 12. Ad attenderla per farle una morale senza capo né coda, la sorella Enrica, trasandata e sciatta, succube delle intemperanze amorose del suo Angelo che la cornifica senza pietà, ma che non esita a metterla in guardia dalle voci maligne della gente sulla sua relazione “impropria” tacciandola di essere una “svergognata”. Ma lei, civettuola, ben conscia del suo corpicino niente male e di tutto il suo charme seduttivo, si mette in ghingheri col suo cappottino cinereo su una mise rosa cipria, appena un filo di rossetto, per incontrarsi col suo bel Romeo in canottiera sdrucita e i bicipiti in bella mostra, (Filippo Lai), uno spavaldo “che non deve chiedere mai”, giunto a cavallo di una vecchia bici. Tra una schermaglia d’amore e l’altra, e tra un “no” stereotipato che sfacciatamente adombra un “sì” colossale, la camera da letto si rivela l’alcova perfetta per i due amanti. Alla faccia di tutte le malelingue. Perfetto il dosaggio scenico di “Per 24.000 baci” del supermolleggiato, tra le effusioni empatiche della bella Maria che fa “scintille”, e il mesto abbandono della “cenere” della sorella dedita supinamente allo stiraggio dei panni del suo “convittore” fedifrago che ha sempre bisogno di nuovi stimoli carnali per sentirsi vivo e padrone. Storie di corna, insomma. Avvilente la sua prostrazione: “Gli uomini sono fatti così!”. Ma Maria non lo accetta e diventa una tigre che non esita ad affondare nella carne i suoi artigli quando coglie in fallo il suo mascalzone che se la fa a destra e manca con tutte. Manco a parlarne di lasciarlo, naturalmente, tanto ne è presa. Ma quando apprende che una Renatina di turno rischia di espellerla dal pollaio, sfodera tutta la sua rabbia altera di un anticonformismo pre-femminista e passionale che si fa intollerante invettiva contro ogni possibile compromesso. Romeo sarà solo della sua Giulietta. E basta. Marina Rocco dosa sapientemente amore e rabbia, proiettandosi oltre il proscenio per accalappiare lungo le scale della sala del “Sociale” quello di turno in prima fila - uno per tutti - per fargli tutto il suo predicozzo sconclusionato. Ma non troppo. Maria La Brasca si fa allora icona spregiudicata di una libertà intellettuale prima che sessuale perché sa bene di essere uno schianto in déshabillé, una donna desiderata colta dall’insaziabile morso del desiderio, ma anche dalla piena consapevolezza del rispetto della fedeltà assoluta del suo uomo.

Nello Colombo
Cultura e spettacoli