Va’ dove ti porta il vento

E sì, Poretti ci sa decisamente fare colloquiando col pubblico da tirare in ballo alla prima occasione

(Nello Colombo)  “Addio sogni di gloria”, cantavano le ugole d’oro del 1949. Sogni di carta per le illusioni degli uomini. Ed è facile cadere dalle stelle alle stalle. Icastica l’ode manzoniana allo “stratega corso” per tre volte nella polvere dopo l’altare. Al Teatro di Sondrio - “luogo d’incontro dove si vive bene e in sicurezza”, come ha evidenziato l’assessore alla Cultura di Sondrio Marcella Fratta –  dove si apre il sipario per la Stagione Teatrale 2021-2022 con “Chiedimi se sono di turno”,  Giacomo Poretti, un vero mattatore del grande schermo con Aldo e Giovanni,  ha raccontato, infatti tutta la parabola ascendente di una carriera ospedaliera persa tra “padelle” e “pappagalli”, pur essendo votato ai più grandi clamori dello sport o dell’avvocatura di grido. Semplice, diretto, istintivamente complice, Poretti si misura con la scena in tanti piccoli quadri narrativi metaforizzando il viaggio di un velista perso nell’oceano nella sua traversata in solitaria dall’Inghilterra a New York, preda dei flutti e dell’insonnia più barbara. La stessa che attanaglia un povero “portantino” perso nella notte più nera di un ospedale lombardo, popolata dal gocciolio snervante dell’ipodermoclisi o dai gracidanti cri cri delle chiamate dei pazienti, con la scansione millimetrica di un cronometro. E la stessa insidia per il velista come un iceberg improvviso, converge nel convulso turno notturno del malcapitato ospedaliero che accorre al 23 da cambiare mentre tragicamente il 17 va in pieno arresto cardiaco. Il panico. Poi l’adrenalina prende il sopravvento per un massaggio salvavita. Che notte d’inferno!  Poretti poi è insuperabile nell’ autoironizzante disamina della sindrome del “piccolo” che non riesce a far pipì nei bagni dell’autogrill anche per colpa dell’insipienza di politici “diversamente onesti”. Poi ti assumono in ospedale perché il limite della statura non ti consente altro, soprattutto alla vigilia della “Naja”, e ti ritrovi “ausiliario delle pulizie”. Esilarante “Giacomino” nella rievocazione infantile delle prime iniezioni che ora lo vedono protagonista mandato allo sbaraglio sulle dure natiche di un nerboruto muratore bergamasco. Poi il passaggio tragico a “traumatologia ortopedica” con il corridoio da stadio da percorrere col curling di uno spazzolone, fino alla promozione come “infermiere generico facente funzioni” a dispensare la giusta posologia medica a chi è affetto da rigurgito esofageo, o a inchiodarsi nella disperazione dinanzi a  chi ci è restato secco in una disgraziata notte, o semplicemente a rifare l’angolo dei letti degli “umiliati” dal ricorso al pappagallo o alla padella. La liberazione con la chiamata al servizio militare gli offre l’opportunità dell’agognato diploma. Infermiere professionale. Finalmente. E degno di essere visibile dallo staff medico. Ecco infine le tre bianche suore a fargli da balia nella sua ascensione nel mondo ospedaliero in eterna lotta per le agognate ferie. Ed è qui che s’innesta la narrazione travolgente del supertifoso che parte all’avventura spagnola dei mondiali del 1982 con l’Italia che supera gli scogli dell’Argentina e del Brasile proiettandosi verso la finale. Ed è tutto un batti e ribatti con la povera suora disperata che lo richiama all’ordine perentoriamente. E lui, docilmente, alla fine ubbidisce ma per la sera della finale mette il silenziatore a tutti i pazienti che si accomunano attorno ad un vecchio televisore per raccogliere l’urlo dell’Italia del nostro Tardelli. E sì, Poretti ci sa decisamente fare colloquiando col pubblico da tirare in ballo alla prima occasione e che non gli lesina certamente un lunghissimo e caloroso applauso. Gli irraggiungibili sogni di una vita talvolta prendono strane pieghe che ti portano dove ti porta il vento. E non è detto che quella non sia la scelta giusta.
Nello Colombo

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