“Tre uomini e una culla”: la paternità è di chi ama

(Nello Colombo) E bravo quel gran genio di Pignotta (Gabriele) che una ne fa e cento ne pensa!  Certo un film è un film, soprattutto se d’autrice, come Coline Serrau, col suo “Tre uomini e una culla”, ma vuoi mettere il sale e il pepe – e appena un po’ di paprika dolce - della sfrontatezza espressiva della diretta teatrale che si è consumata al Teatro Sociale per l’ultima pièce in coda a tutto? E poi, quante volte capita che la sprovveduta sostituta di turno abbia poi calcato la scena prendendosela ad avidi morsi? Fatto sta che l’omonima commedia dal sapore godereccio parigino ha saputo toccare le corde giuste di un umorismo tragicomico, a tratti finanche un tantino surreale, per divertire il pubblico in sala che si è sbellicato dalle risa alla prima all’ultima scena. Tempi comici perfetti per un congegno ad orologeria che viaggia sull’eterno divertissement dello “scambio”, tra musichette niente male del repertorio francese anni Ottanta, introiettate sullo sfondo di una scenografia multipolare che si trasforma, seduta stante, in un armadio bohemienne in cui ficcare un malloppo indesiderato, o in una concitata lounge d’aeroporto, foriera di roventi notti ad Acapulco, in una spaccatimpani discoteca metropolitana dalla cassa sempre in “bit” o in una superfarmacia multimarca e finanche in un caotico sgabuzzino da portinaia avvezza al pollice verde. E alla delazione. Tanto per gradire le attenzioni di un commissario attempato che si spara le ultime cartucce dell’“ars amandi”.  Protagonisti della pièce, tre scapoli impenitenti che dividono amenamente lo stesso appartamento, dediti ai sollazzi di una routine gaudente e festaiola interrotta dalla partenza per l’Estremo Oriente di Jack, il piacione dell’allegra combriccola, mentre Pierre e Michel hanno la surreale sorpresa di vedersi recapitata una culla. Già, una culla, con tanto di tenero fagottello improfumato di cacca. E’ così che inizia l’avventura maldestra dei due compari, mollette al naso, a caccia di latte in polvere “prima età” e biberon dalla tettarella stretta e pannolini a iosa per la prolifica “cacona” che pure fa breccia nei loro cuori, pur destandoli di brutto nel cuore della notte. Equivoci a gogò con un pacchetto da tossici venuto da lontano adocchiato da due marmocchie esagitate della Police e da un commissario tuttofare che cerca d’incastrare lo “spacciatore dislessico” che se ne va a spasso in bici con una culla sul manubrio. Saltano così tutti gli equilibri, vanno a farsi benedire tutti i turni di lavoro, e, ridotto al lumicino, si cerca disperatamente l’agognato sonno tra un “gnè gnè” e l’altro.  Ma alla fine “il pisello allegro” da mettere in freeze torna maramaldo dalle sue conquiste tailandesi scoprendosi a sorpresa padre della dolcissima Marie lasciatagli “in eredità” dalla fallace Sylvia dal neo sull’anca destra. Le fatiche paterne si distribuiscono così in tre, spupazzandosi a turno la pargoletta sempre più presente nella loro squallida esistenza.  Attilio Fontana, Giorgio Lupano e Gabriele Pignotta sono perfetti nel gestire il loro ruolo di padri veri e putativi. Fino all’arrivo, ormai indesiderato, della madre che si porta via la piccola gettando il trio nella disperazione più nera. Finale col botto però con l’inattesa chance di cogestione familiare con una madre visibilmente scossa nella sua ubriacatura esistenziale a cui i tre scapoli hanno ormai rinunciato in nome di un bebè irresistibile. Una tenera bambina che ormai che li ha resi padri.
Nello Colombo

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