Stefano Scherini attore e regista valtellinese "classe d'autore"

STEFANO SCHERINI: “CLASSE D’AUTORE”
Abbiamo intervistato Stefano Scherini, giovane attore valtellinese, che dopo essersi diplomato alla Scuola di Teatro del Comune di Sondrio nel 1992,  si è affermato  in campo teatrale  al fianco di mostri sacri come Luca Ronconi, Marisa Fabbri, Nikolaj Karpov, Mamadou Dioume,  e poi in quello cinematografico lavorando per grandi registi, al fianco di attori premi Oscar quali Geoffrey Rush, Murray Abraham e Bob Hoskins. Il “bel tenebroso” del teatro e cinema italiano ha messo ultimamente a disposizione dei giovani il suo talento artistico presso la Civica Scuola di Musica di Sondrio, conducendo corsi per allievi principianti e di livello avanzato.

Come nasce Stefano Scherini attore?
Nasco come attore un po' per caso: studiavo giurisprudenza a Milano e, benché avessi scelto io quella facoltà, non ero per nulla soddisfatto e mi stavo intristendo; mi sembrava di essermi infilato in un percorso arido: codici, regolamenti, procedure. Cominciai per svagarmi la scuola di teatro a Sondrio e fu una folgorazione! Senza rendermene conto mi ritrovai a comprare manuali di teatro e a leggere testi su testi che riguardavano la recitazione. C'è da dire che i miei genitori erano degli appassionati di teatro che fin dalla mia infanzia mi avevano portato a teatro spesso, mio padre leggeva più volentieri testi teatrali che romanzi, insomma, a casa il teatro era presente. Così a Milano continuai gli studi di recitazione, cominciai a lavorare per mantenermi in alcune compagni di teatro per ragazzi, poi fui preso come attore dalla prestigiosa Famiglia Colla di Milano, quella delle marionette, diventai anche marionettista, vinsi inaspettatamente una borsa di studio a Roma, al Teatro Stabile, per studiare con Luca Ronconi e altri ottimi maestri, mi trasferii nella Capitale, cominciai anche a fare cinema. Ecco, una cosa ha tirato l'altra, tanto che non si capisce se ho scelto o sono stato scelto, in ogni caso con mia grande felicità.

Com’eri da bambino e quali erano i tuoi sogni?
Da bambino, pare che io sia sempre stato piuttosto socievole e responsabile: mi piaceva autogestirmi, i miei mi controllavano ma si fidavano, mi stimolavano a fare le cose con criterio e a non essere superficiale. Soprattutto hanno lasciato crescere in me, e l'hanno coltivata, una grande curiosità verso il mondo e le persone: viaggiavamo molto per le vacanze, anche all'estero, andavamo spesso a vedere mostre d'arte a Venezia, a Firenze, a Milano e ovunque fossimo non ci perdevamo un museo o una pinacoteca. È stata un'infanzia ricca di stimoli! L'adolescenza mi ha portato un po' di inquietudine, come un po' a tutti, e una gran sete di diversità, la voglia di scappare: sono cresciuto a Sondrio, è casa mia, ne amo la tranquillità e la natura, non posso stare senza le montagne della Valtellina, dopo un po' mi mancano, però a diciotto anni non vedevo l'ora di andarmene e di nutrirmi anche d'altro.
I tuoi familiari ti hanno sempre incoraggiato nelle tue scelte?
Non proprio, no. Mi hanno incoraggiato finché ho tenuto un percorso ortodosso: scuole ben fatte, buoni risultati di studio, una scelta universitaria solida che lasciava intendere un futuro tranquillo (avrei dovuto fare l'avvocato). Quando però ho dichiarato che avrei tentato di fare l'attore, che avrei scelto una carriera artistica, si sono molto irrigiditi. Avevo 23 anni, non capii perché non fossero d'accordo e si arrabbiassero, mi sembrò che mi voltassero le spalle, tutti in famiglia, anche numerosi amici del liceo mi guardavano con una punta di biasimo. A distanza di oltre vent'anni, credo che fosse per paura, per timore che le cose potessero andarmi male ed essere troppo difficili, per la paura loro di non potermi aiutare in un percorso che gli era completamente estraneo: in famiglia, tanto da parte di mio padre che di mia madre, non c'era nessun artista, nessun precedente. Credo, ora, che la loro rigidità e il loro disappunto nascessero cioè dall'affetto, dal fatto che mi volevano molto bene. Per fortuna poi i rapporti hanno ripreso, per lo più e via via con alcuni miei buoni successi di lavoro, la precedente armonia.

Scherini e il mondo del cinema.
Come dicevo, a 27 anni vinsi questa borsa di studio del Teatro Stabile di Roma per studiare con Luca Ronconi. Mentre ero agli sgoccioli di quel periodo di otto mesi, facendo uno spettacolo che era parte finale del periodo di studio, fui notato da una delle più importanti agenzie cinematografiche italiane. Mi chiesero se avevo intenzione di fermarmi a Roma per un po', io non ci avevo pensato ma decisi di investire qualche mese per vedere se fosse possibile fare del cinema, che cosa significasse. In effetti mi ero sempre visto come un attore di teatro e pensavo non fosse molto interessante fare cinema. Presto però ebbi la fortuna di lavorare con registi importanti e bravi, dei maestri: Lizzani, Archibugi, Chiesa e capii che recitare per la macchina da presa può essere molto bello. Negli anni poi ho lavorato con altri maestri, anche internazionali, come Peter Greenaway e Tornatore, ho recitato con premi Oscar come Bob Hoskins o Geoffrey Rush. Ricordo ancora l'emozione che mi colse quando Murray Abraham mi accolse sul set di Greenaway abbracciandomi: stavo abbracciando l'immortale Salieri del film Amadeus di Forman!
Parlaci del tuo ultimo film.
Ora stanno uscendo un paio di film in cui ho lavorato. Il primo è "Senza lasciare traccia" di Gianclaudio Cappai, esce il 14 aprile nelle sale italiane e il 21 di aprile lo presenterò insieme al regista al cinema Excelsior di Sondrio. È un noir, un'opera prima bella di un regista italiano, una storia dura con un bel cast. Io ho una buona parte, faccio un restauratore d'arte. Poi a maggio uscirà il nuovo film di Paolo Virzì, "La Pazza Gioia", dopo essere stato in concorso al Festival di Cannes. Lì ho una parte piccola ma bella, insieme ad una delle protagoniste, Micaela Ramazzotti. E in una piccola parte poi sarò anche nel colossal di Hollywood Ben Hur, che uscirà nel corso dell'anno, con Morgan Freeman.
Cosa ti dà il mondo dell’insegnamento?
Mi piace molto insegnare recitazione. Quando insegno, cerco di trasmettere tutta la mia passione e il divertimento che provoca stare su un palco facendo finta di essere qualcun altro o appropriandosi delle parole di un grande autore. Gli allievi mi aiutano a rimettere a fuoco certi meccanismi di base del gioco teatrale che a volte si perdono con il mestiere. Inoltre mi sembra di tornare a studiare anch'io, mi sento di nuovo un po' come agli inizi ed è bello, porta un grande senso di libertà e di gioia. Insegnare a Sondrio poi, dove per me ha avuto inizio la mia avventura nel teatro, mi diverte molto.
L’esperienza più esaltante della tua vita?
Se parliamo di vita in generale, nulla batte per me la bellezza della natura, l'emozione di fronte a certi paesaggi, agli animali, le piante. Pensando al mio lavoro invece mi è più difficile scegliere: potrei dire l'emozione che ho provato pochi mesi fa, entrando al Piccolo Teatro di Milano come regista! Entrare nella casa di Strehler e di Ronconi, due dei più grandi geni della regia di tutti i tempi, come regista per la mia Iliade, beh, devo dire che un pochino mi tremavano le gambe. Oppure essere scelto e poi fare parte del cast del film di Greenaway, scambiare battute con grandi attori e attrici, calcare in ruoli principali palcoscenici straordinari come il Valle di Roma, la Pergola di Firenze, il Carignano di Torino, palcoscenici su cui hanno recitato i più grandi, alla Pergola di Firenze c'è il camerino fatto costruire apposta per la divina Eleonora! Oppure recitare Prometeo Incatenato al teatro greco di Segesta, dove forse debuttò una delle prime repliche di quell'opera di Eschilo, più di 2500 anni fa! Mi è davvero difficile scegliere.
Cinema e teatro: un modo diverso per esprimerti?
Alla fine la recitazione è una sola, non c'è davvero differenza tra recitare su di un palco o davanti alla macchina da presa. Ciò che conta è aver studiato per poter rendere al meglio, per capire ciò che si nasconde fra le parole del testo che abbiamo a disposizione o dei gesti che dobbiamo compiere. Spesso è nei non detti, nei silenzi, nei vuoti che si nasconde la verità dei personaggi. Certamente nel teatro abbiamo la possibilità di essere più autori, siamo davvero noi che portiamo lo spettacolo sulle spalle, gli attori in scena. Al cinema c'è la fotografia, la scelta delle inquadrature, il montaggio e a volte si ha l'impressione di non essere padroni del nostro lavoro. Alla fine però, ciò che rimane negli occhi del pubblico sia a teatro che al cinema sono gli attori, le loro facce e i loro corpi, le loro voci e quindi non c'è una grande differenza tra i due modi di espressione.
Da attore a regista per scelta?
Da attore a regista un po' per caso, a dire il vero. Negli ultimi anni ho cominciato ad avvertire la voglia forte di vedere a teatro cose che mi somigliassero di più: un certo tipo di testi e di argomenti, un certo modo di stare sul palco e di recitare. Non amo molto il teatro ultra pop degli ultimi anni, credo che un testo forte sia necessario, il teatro performativo in cui gli attori mettono in scena sé stessi non mi interessa un gran ché. Credo che ci sia bisogno di grandi e belle storie e che la recitazione non possa dimenticare sé stessa ovvero che è un gioco in cui si fa finta di essere altri, che si debba aver cura della parola e del gesto, amo la pulizia degli attori russi o inglesi. Così ho cominciato a fare da me, ho fondato una compagnia con alcuni colleghi e collaboratori di ottimo livello e ho cominciato a produrre e dirigere i miei lavori, a volte essendone anche interprete. È così per esempio che abbiamo realizzato "Iliade - mito di ieri, guerra di oggi" che alla fine di quest'anno realizzerà più di novanta repliche rimanendo in cartellone al Piccolo Teatro di Milano per più di un mese! Difficile chiedere di meglio come regista! Ma mi è capitato di dirigere anche altri lavori come "Eclissi d'uomo" sulla Grande Guerra che è stato anche al Sociale di Sondrio oltre che in tournée all'estero, oppure di dirigere un'ottima attrice come Valentina Carnelutti al Festival di Internazionale di Ferrara per uno spettacolo sul tema dei migranti. Ho scoperto che dirigere gli attori, studiare insieme a loro i testi e guidarli per la realizzazione di uno spettacolo che io organizzo e osservo da fuori può essere molto bello: è una grande responsabilità ma che da grandi soddisfazioni.
Come riesci a conciliare i tuoi impegni professionali con la vita privata e quali sono i tuoi progetti futuri?
Non è sempre facile conciliare questo lavoro con la vita privata: sono spesso in giro, fuori casa, a volte anche per dei periodi lunghi. Mi aiuta la mia compagna, per fortuna, che facendo il mio stesso lavoro ne capisce i ritmi e le necessità. Inoltre, a volte lavoriamo assieme e questo ci permette di essere lontani da casa ma almeno nello stesso posto! Per il futuro immediato dovrei girare alcuni lavori per il cinema e la TV ma ancora non ho nulla di definito. Quello che è sicuro è che realizzerò la regia di un'opera musicale contemporanea per il prossimo autunno e, dopo Iliade, dirigerò un mio nuovo spettacolo su di un altro grande testo classico, questa volta però anche recitandoci dentro: fare l'attore rimane comunque il mio lavoro preferito, il più emozionante!

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