Un "Regalo di Natale" al Teatro Sociale

La ludopatia regna sovrana. Assoluta e inesorabile, sovrasta le precarie velleità dell’uomo che compulsivamente schiaccia la cloche di una slot machine fino allo sfinimento finché, le tasche ormai vuote, la testa in delirio, tornerà mestamente sui suoi passi per raccontare a casa nuove frottole melense senza capo né coda, mentre le finanze e il destino della famiglia se vanno allo sfascio. Implacabile come può esserlo una maledettissima partita a poker.  E non c’è rito sacro che tenga. “Né dolcezza di figlio, né ’l debito amore lo qual dovea una povera consorte far lieta”.  Pupi Avati ne sa qualcosa dipingendo a tinte fosche e didascaliche il suo prezioso “Regalo di Natale” che celebra l’acrimonia felpata di amici allo sbaraglio che si ritrovano dietro a un tavolo da gioco dell’azzardo. Su tutto la spietata roulette russa di una partita a poker che non si presta ad alcuna metafora della vita. Magari forse dell’inferno sempre più raccapricciante e terrifico, che attende nel girone più fondo gli incalliti giocatori della sindrome da Dga, carne da macello di uno sprezzante burattinaio. Schiavo del bisogno che si alimenta del desiderio smodato che si torce contro di sè, succube del regno dell’effimero, dell’illusione tossica di una ricchezza che lascia alfine spossati, incapsulati e maldigeriti in un’ideologia malsana, malata, assurta a infame marchio di potere assoluto, il giocatore d’azzardo non esita a vendersi l’anima per un tozzo d’amaro argento a un banco che comunque vince sempre. Suo malgrado. Sergio Pierattini e il regista Marcello Cotugno del film di Avati hanno provato a farne una trasposizione scenica contemporanea dal titolo omonimo che è stata presentata al Teatro Sociale di Sondrio con un ben assortito quintetto di validi attori come Gigio Alberti, Giovanni Esposito, Valerio Santoro, Gennaro Di Biase e Pierluigi Corallo che ci hanno messo l’anima, caratterizzati forse anche oltre le righe, a far rivivere le angosce esistenziali e gli spasimi ludopatici di amici di vecchia data, separati da un trentennio e riaccomunati attorno al desco familiare di una pedana rotante con tanto di tavolo verde già imbandito di mazzi di carte intonsi. “Nel mezzo del cammin di nostra vita” ognuno ha ancora un sogno da realizzare, pur sapendo che troppe sono le disillusioni da affrontare. Pierattini è abile nel tessere “monologhi a più voci” che si sovrappongono in una pacifica e reciproca indifferenza camuffata da abbracci e strepiti mordaci su figure evanescenti di critici teatrali da blog a cui basta scrivere sempre bene di tutti per farsi la scorza dura di alta nomea, equivocando sull’identità sessuale di qualcuno dei simpatici amici che sembrano interagire su un set di “Scherzi a parte”, bluffando sui sentimenti privati di ognuno che segnano lo sbilenco bilancio della propria vita condita da un pinzimonio agrodolce di un “tris” o una sventagliata di “scala reale”. Del film immaginifico di Pupi Avati la pièce teatrale non ha però quella tensione scenica, quel tragico pathos narrativo crescente, angoscioso come una condanna annunciata, penalizzata forse dai flashback rievocativi di taglio cinematografico. Eppure l’intero cast sa indossare con cura il vestito di timidi agnelli belanti che intendono succhiare amabilmente il latte di un’amicizia annacquata da oltre 6 lustri, pur se avvelenata da roventi dissapori che mal si conciliano con gli amori sprecati per una donna-falena, l’unica di una squallida esistenza incocciata in un devastante “Non sai vivere”. E chi raccoglie i cocci poi non sa che farsene. Non restano infine che lacrime asciugate da tempo ma incancrenite nel velenoso disegno di una revenge sulfurea che va consumata tardi, come un piatto freddo. Ci pensa il quinto incomodo, il classico pollo da spennare, quel mefistofelico Santelia che livellerà l’umana presunzione, pur dopo aver offerto una “terza” via di fuga all’ultimo disperato rilancio: un “regalo di Natale” che si fa impietoso in quel tragico “vedo” che getterà l’impresario fasullo nel più cupo sconforto. L’orologio ha appena scandito la mezzanotte: è Natale, è Natale! Ma quale Natale!
Nello Colombo

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