LA FAMIGLIA UNA MADRE (con la Cuccarini)
di Nello Colombo
La tragicommedia della vita proiettata in un’altra dimensione. Il Teatro che si riprende il suo karma ieratico di subliminale ammaestramento nel sedizioso sussulto di coscienze intorpidite, e di quella leggerezza effimera, impalpabile, quasi carezzevole, che è il sale che condisce le mille illusioni che aiutano se non a essere felici veramente, almeno a campare con quella dignità sospesa di un viaggio verso l’ignoto in compagnia di volti amici. Tutto per raccontare la parabola di un amore che va sfamato, giorno dopo giorno, sfuggendo alle stucchevoli abitudini, evitando che ristagni nelle stanche pozze di un’esistenza fatta di stantie parole aggrappate sulle grucce di malconce accondiscendenze. Tutto questo nella pièce teatrale di Gabriele Pignotta “Non mi hai più detto ti amo”. Sul palco del Teatro Sociale una super Cuccarini, wonder woman dello spettacolo, come non s’è mai vista: serenamente audace, freneticamente assorta, galvanizzantemente complice di un gioco emotivo consumato a piccoli quadri inghiottiti nel buio. Al suo fianco la solida sicurezza del baffuto Giampiero Ingrassia che sa come cavalcare la scena. E infine due coriacei virgulti, frutti del malessere sociale delle nuove generazioni, Tiziana e Matteo, diversi e malversi come il sole e la luna, asimmetrici, eppure contigui, vicini, anzi indivisibili come un Giano bifronte, figli annoiati, infingardi, talvolta finanche strafottenti (credibili quanto mai Raffaella Camarda e Francesco Maria Conti), nei panni di due ruvidi esemplari della contemporaneità telematica, svogliata e disadorna di ideali, che, dinanzi all’ineluttabile, cambiano pelle facendosi custodi degli affetti più veri. A rompere l’unità dello smarrito cerchio familiare, uno sprovveduto, scomodo omone (un gagliardo Fabrizio Corucci) in crisi d’astinenza di una madre che troverà infine in un’attempata amica. La Lorella nazionale sa spingere sull’acceleratore delle emozioni, facendosi mamma tuttofare ingrippata nel più annichilente dei “pap test positivi” che la gettano in un baratro angoscioso, persa come un ascensore impazzito tra attacchi di musichite acuta e riverberi architettonici di una gioventù fallace. Quant’è duro accettare quando le mamme si ammalano e a volte se ne vanno dopo aver speso un’intera vita a vivere solo della gioia riflessa dei propri figli che solo allora si accorgono dell’immenso vacuo che niente e nessuno potrà mai colmare. Per loro si è dissolto il punto fermo, inossidabile nel tempo, il vincastro più saldo e sicuro nelle tempeste di una quotidianità scontata su cui contare fino all’ultimo respiro. Ed oltre. Resta solo l’abisso sconfinato di un silenzio assordante che rimbomba nelle stanze quiete della solitudine, inseguendo un vano soliloquio che non dà conforto né consola. La famiglia è tutta lì, attorno ad una madre che pure nel dolore insegna a crescere e maturare. E là dove l’immortalità materna sembra infrangersi nel fragore tempestoso dell’ultimo commiato dove è facile smarrirsi, “Non mi hai più detto ti amo” riavvolge le trame sfilacciate di fantocci alla deriva ricomponendo il nucleo familiare che la “nuttata” l’ha passata alla grande.