Mostra a Napoli, "Utopia Distopia", andiamoci

(Maria De falco Marotta)  La mostra di Napoli è plurisemica, globale, locale, intima e corale al tempo stesso, di respiro molto più che episodico, in cui anche opere non recenti assumono rinnovati sensi in una cornice rigenerante.
Si inizia con lo straniamento ironico del prelievo urbano scultoreo e fotografico di Giulio Delvè, che rappresenta in modo vivo potere e ribellione come globi energetici, emergenti dalla disattenta quotidianità urbana. Scrollata dalla rabbia ben più dura di Domenico Antonio Mancini, che scambia veicoli comunicativi pubblici ‒ neon luminosi ‒ cambiandoli però in messaggi assolutamente non politically correct. La stessa luce si distende invece come velo poetico sulle cose nel riconoscimento fotografico di Raffaela Mariniello, che filtra speranza dalla lucidità sociologica riconsegna umana elegia.
Tutto è possibile nel raccoglimento, come nel nido-firma di Michele Iodice, raschiamento di spazi e forze individuali in strutture e simboli architettonici acronici e transbiologici, che accomunano tutte le specie. Oppure, la speranza può venire dalla condivisione, in un’arte relazionale che ordina connessioni esistenziali, mentali, visive, rendendo materia prima un intero paese e il suo inconscio collettivo e personale, come nella ricerca di Bianco Valente, da sempre spiega il senso profondo del connettere che accomuna digitale, umano, sociale.

GLI ARTISTI IN MOSTRA AL MADRE NAPOLI
La natura e l’artificio hanno uno scarto che è limen osmotico nella grafica rivelatrice organicismi urbani di Eugenio Tibaldi, o sono in scoraggiante contrapposizione, come nel neo pop di Baldo Diodato o gli incubi postsurreali di Mathilde Rosier. Onirismo che invece ritorna sereno negli archetipi ormai storici di Mimmo Jodice e Antonio Biasiucci, fotografanti anime, prima che reale.
La salvaguardia di Joseph Beuys ricorda la responsabilità individuale, come l’esperienza-esperimento naturale e sociale di Eugenio Giliberti, e la rigenerazione sociologica di Riccardo Dalisi. Con tutte le durezze del caso, come nella scoppio tra dignità individuale e stereotipi o strumentalizzazioni sociali di Melita Rotondo, Betty Bee, Giulia Piscitelli. Che si carica di pathos, sottilmente ironico e malinconico in Roxy in the Box, la quale rigenera la performance in multilinguismo sui dispositivi di comunicazione di massa odierni – in questo caso video e tv ‒ molto oltre il neo pop. O neoantropologico, nelle azioni di potente impatto narrativo ancestrale di Rosy Rox.
La narrazione della speranza è del resto un tuffo nel vuoto, reso possibile dalla fiducia di appartenenza a una rete culturale e di anime che sempre salverà, ricorda il citazionismo emotivo di Giulio Paolini, e ha la fragilità d’acciaio delle farfalle di Rebecca Horn. Ma le sue parole non possono mai essere disgiunte dall’empatia, come in quelle – esposte come opere tra le opere – di Anna Maria Ortese sull’ “uragano” che “sconvolse questa povera terra”. Che tuttavia, come la canta Pier Paolo Pasolini, incrollabilmente amante, sogna respira spera “in fondo al cuore di questi poveri viaggiatori: vivi, soltanto vivi, nel calore che fa più grande della storia la vita”.

Nome evento Utopia Distopia

Durata dal 12/7/2021 al 21/02/2022
Curatore Kathryn Weir

Generi arte contemporanea, collettiva
Spazio espositivo MADRE - MUSEO D'ARTE CONTEMPORANEA DONNAREGINA

Indirizzo Via Settembrini 79, 80139 - Napoli - Campania

Maria de falco Marotta
Cultura e spettacoli