MOLA. Da Giotto a Mulligan e al CNR
"Giotto, l'Italia. Da Assisi a Milano"
Mostra per Giotto. Aperta al pubblico dal 2 settembre 2015, e allestita da Mario Bellini (l’architetto ed il designer celebre in tutto il mondo) in quelle sale di Palazzo Reale in cui Giotto, in epoca viscontea, eseguì la sua ultima fatica, sciaguratamente perduta: gli affreschi nel Palazzo di Azzone Visconti. L’esposizione è un punto nodale nel programma di Expo in città, nella traccia di iniziative che guidano la vita culturale ed artistica della città durante il semestre dell’Esposizione Universale, ed è inserita in “Agenda Italia per Expo 2015”.
La mostra mette a frutto un elevato Comitato Scientifico formato da studiosi ed esperti che, nel corso di una vita, hanno contribuito non solo alla conservazione e alla tutela delle opere di Giotto, ma anche – e in misura eccezionale – alla conoscenza e all’approfondimento scientifico, storico e tecnico della pittura del maestro, con studi e interventi a livello internazionale. Il Comitato è composto, oltre che dai curatori Pietro Petraroia e Serena Romano dal presidente Antonio Paolucci e da Cristina Acidini, Davide Banzato, Caterina Bon Valsassina, Gisella Capponi, Marco Ciatti, Luigi Ficacci, Cecilia Frosinini, Marica Mercalli, Angelo Tartuferi. La mostra è ordinata in maniera evocativa attraverso un percorso di opere che favoriranno di vedere con la mente lo stile dell’affresco perduto. Il cui spessore innovativo, in quegli anni, fu così grande da essere senza indugio recepito dagli artisti locali. Si pensi al tributo di Chiaravalle per mano dell’allievo Stefano Fiorentino. L’eredità artistica diretta di Giotto è presente non solo a Milano ma in tutta la Lombardia, in numerosi luoghi che la mostra incoraggia a visitare. La mostra intende far scoprire il genio creativo di Giotto. Giotto supera lo stile bizantino e reinterpreta il mondo classico e romano, ripropone la realtà del proprio tempo (dalla natura ai vestiti, gli arredi, gli attrezzi …) in chiave attuale, cioè la realtà del suo tempo. Al di là della sua riconosciuta genialità pittorica, colpisce la modalità con cui Giotto la portò su larga scala attraverso la sua “compagnia”, cioè la sua azienda. Con i suoi collaboratori si spostava da una città all’altra dando avvio a grandi progetti che poi erano portati avanti da chi apparteneva alla compagnia, dirigendo le persone e al tempo stesso approfondendo le tecniche, senza inventarne di nuove ma traendo il meglio da ciò che c’era. Così facendo il suo stile si diffuse in poco tempo in tutto il Paese, e non si poteva prescindere dalla novità che si era introdotta. Sono 13 opere, di diversa provenienza, riunite per la prima volta in un'unica esposizione. Vi spicca il Polittico Stefaneschi, che non aveva mai lasciato il Vaticano da quando il cardinale Jacopo Caetani Stefaneschi lo aveva donato per l'altare maggiore della Basilica di San Pietro. L'opera, poi è stata trasferita presso i Musei Vaticani, e la relativa donazione, sono menzionate nel Liber Anniversarium della Basilica, in occasione del necrologio per la morte del Cardinale, avvenuta nel 1341. Sulla fronte anteriore del polittico vi sono San Pietro con due coppie di santi a lato. Al centro è dipinto Cristo in trono e a fianco appaiono le raffigurazioni dei grandi santi e martiri San Pietro e San Paolo. Nella predella sono rappresentati la Madonna in trono e altri santi. La rassegna vuole offrire una panoramica anche, ma non solo, cronologica dell’attività dell'artista fiorentino in diverse zone d'Italia. Il frammento della Maestà della Vergine da Borgo San Lorenzo e la Madonna di San Giorgio alla Costa sono la testimonianza del periodo in cui Giotto si stava imponendo ed era impegnato tra Firenze e Assisi. Vi è quindi il nucleo della Badia fiorentina, con il polittico dell'Altare Maggiore, attorno al quale sono ricomposti alcuni frammenti di decorazioni in affresco dello stesso Giotto.
L'attività a Padova è magnificamente attestata dalla tavola con Dio Padre in trono, proveniente dalla Cappella degli Scrovegni. Vanno dietro il polittico bifronte destinato alla cattedrale fiorentina di Santa Reparata.
Infine due opere della parte finale della carriera di Giotto: il polittico di Bologna, che il maestro dipinse in Bologna, al ritorno in Italia da Avignone, dove era stata trasferita la corte papale; il polittico Baroncelli, dall'omonima cappella della chiesa fiorentina di Santa Croce. Per l'occasione, a questa opera viene ricongiunta la cuspide raffigurante il Padre Eterno, conservata nel Museo di San Diego, in California. L'impiego di particolari tecnologie fotografiche, usate in occasione di un recente restauro, permette infine una visione dei dipinti murali che Giotto realizzò in Santa Croce per la Cappella Peruzzi.
Giotto, l’Italia è l’evento espositivo che concluderà a Palazzo Reale il semestre di Expo 2015 a Milano. La mostra è prodotta e organizzata da Electa Mondadori in collaborazione con Palazzo Reale. Il Ministero dei Beni e delle Attività culturali ne è co promotore con il Comune di Milano. Curatori della mostra sono Pietro Petraroia (Éupolis Lombardia) e Serena Romano (Università di Losanna). Notizie raccolte a cura di Carlo Mola.
Mostra "Giotto, l'Italia. Da Assisi a Milano". Palazzo Reale, dal 2 settembre 2015 al 10 gennaio 2016. Lunedì: 14.30–19.30 Martedì, mercoledì, venerdì e domenica: 9.30-19.30 giovedì e sabato: 9.30-22.30
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I disegni di Mulligan
Chiamiamo in causa Gerry Mulligan (New York, 1927 – Darien 1996): Ci sono parole che si sono come perse nel linguaggio contemporaneo, bellezza, grazia, nobiltà. Rappresentano ciò che io per tutta la vita ho cercato di trasfondere nella mia musica. Questo, la musica può donare agli esseri umani. Tutti quelli che fanno musica dovrebbero ricordarlo alla loro coscienza …
Abbiamo fiducia che gli stessi pensieri possano essere serenamente accostati alle arti figurative e riteniamo di totale attrattiva la scelta della Galleria Arte Milano di esporre i disegni di Mulligan. La Galleria Arte Milano presenta per la prima volta in Italia un numero rilevante di lavori su carta di Gerry Mulligan, NOTO A LIVELLO INTERNAZIONALE COME MUSICISTA, COMPOSITORE JAZZ E SINFONICO, OLTRE CHE COME SASSOFONISTA, MA MENO COME ARTISTA FIGURATIVO. IL ricco catalogo, pubblicato per l’occasione, include testi di Alfonso Alberti, David Amram e Daniel Salvatore Schiffer. Nei disegni è presente una ricca musicalità, ed un sicuro richiamo alla logica formale che l’artista segue nella sua musica: una materia inquieta organizzata in gesti rapidi e in una superficie schiusa che viene alimentata dal colore. E riportiamo “È quest’ultimo a scandire il ritmo del foglio, a conferire agli spazi bianchi, ai vuoti, l’aspetto tipico della pausa musicale: un’interruzione che non è cioè puro silenzio, ma spazio poetico nel quale respira e trova il suo senso il pieno del segno espressivo”. «I suoi disegni, appena accennati nondimeno intensi, sono come altrettanti contrappunti alle note delle sue partiture, hanno anch’essi un ritmo: il ritmo dell’immagine» (Daniel Salvatore Schiffer). Durante il periodo espositivo, in data da stabilire, il sassofonista Mario Marzi, accompagnato da un gruppo, suonerà le musiche di Mulligan in galleria. Martedì 15 settembre, presso il Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, si terrà un concerto in omaggio a Gerry Mulligan. Suoneranno i saxofonisti Mario Marzi e Achille Succi, accompagnati dall’Orchestra Sinfonica del Conservatorio. L’evento fa parte della manifestazione MITO Settembre Musica 2015. La mostra, organizzata in collaborazione con la Gerry & Franca Mulligan Foundation, fa parte del programma Arte Milano che, in occasione di Expo 2015, riunirà sette importanti gallerie e fondazioni: tra maggio e novembre Galleria Milano, Galleria Blu, Lorenzelli Arte, Fondazione Marconi, Fondazione Mudima, Galleria Tonelli, Studio Visconti offriranno un ricco calendario espositivo.
Arte Milano è un’iniziativa patrocinata dal Comune di Milano. Gerry Mulligan Il ritmo dell’immagine Inaugurazione: giovedì 10 settembre 2015. Periodo espositivo: fino a lunedì 16 novembre Orari: da martedì a sabato dalle 10,00 alle 13,00 e dalle 16,00 alle 20, Galleria Milano Arte Via Manin13, Milano (A cura di Carlo Mola)
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CNR 1 Uomo e Drosophila
Come sempre e come ormai siamo abituati, un’altra sconcertante notizia dal CNR: I moscerini? Quasi nostri gemelli. La 'Drosophila melanogaster’, volgarmente detta 'moscerino della frutta’, è uno degli organismi più studiati nella genetica e tema di comunicazione biologica. Insetto dell’ordine dei ditteri perfettamente allevabile in laboratorio, presenta caratteristiche impensate, il 70% del suo Dna è simile al nostro, pur essendo il suo genoma dieci volte più piccolo, in ogni caso usato come modello per indagare il meccanismo biologico del sistema immunitario, addirittura del cancro e del diabete, e disturbi neurodegenerativi come il morbo di Alzheimer e di Parkinson. Infine la somiglianza si rileva nella determinazione sessuale: una coppia di cromosomi identici per la femmina (Xx), diversi per il maschio (Xy). Allora sorge la domanda: Ma se il corredo genetico di questo moscerino è così simile al nostro, perché siamo così diversi? “Che l’uomo e la Drosophila non siano così diversi lo si pensa a posteriori da quando la sequenza di tutto il genoma è stata ottenuta, ma si poteva sospettare anche prima in quanto entrambi prodotti dell’evoluzione”, spiega Paolo Vezzoni, ricercatore dell’Istituto di ricerca genetica e biomedica (Irgb) del Cnr di Milano e responsabile del Laboratorio di biotecnologie mediche dell’Istituto clinico Humanitas. “Come disse Francois Jacob (François Jacob biologo francese, vincitore, insieme ad André Lwoff e Jacques Monod, del premio Nobel per la medicina nel 1965, per «le scoperte riguardanti il controllo genetico della sintesi di virus ed enzimi», dobbiamo immaginare la natura come un bricoleur (dilettante di lavori di artigianato) che mette insieme i pezzi che ha a disposizione e che, quando a partire da tre miliardi di anni fa ha raggiunto dei risultati, ha poi riutilizzato quanto di buono aveva creato”.Possiamo dire quindi che le proteine finali non sono il semplice risultato della traduzione di un gene, ma il risultato di combinazioni tra pezzi dello stesso gene. “Ciò che ci differenzia è la complessità. Agiscono infatti due meccanismi: la regolazione e lo splicing (In biologia molecolare e in genetica, splicing, dall'inglese montaggio, è usato per produrre una corretta proteina tramite la traduzione o sintesi proteica). Il meccanismo della regolazione dice quando esprimere una proteina; il meccanismo dello splicing, dall’inglese 'congiungere’, è il processo per il quale i nostri geni, pur simili nella quantità alla Drosophila, danno vita a forme diverse”, conclude Vezzoni. “In altre parole, bastano 25.000 geni per produrre le oltre 150.000 proteine delle cellule umane, non è tuttavia il numero della semplice sequenza di nucleotidi a fare dell’Homo sapiens un uomo, ma come questi nucleotidi vengono espressi. Meccanismo più che sufficiente per fare la differenza tra noi e un moscerino”.
Fonte: Paolo Vezzoni, Istituto di ricerca genetica e biomedica del Cnr, Milano Da uno scritto di Alessia Bulla (A cura di CARLO MOLA)
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CNR 2 Modello animale nelle sperimentazioni?
Siamo ad analizzare uno dei problemi più dibattuti in questo periodo E’ necessario il modello animale nelle sperimentazioni? Sembra proprio che del modello animale, non se ne possa fare a meno Quando si parla di sperimentazione animale è sempre presente il programma emotivo staccato da quello scientifico e l’opinione pubblica si divide tra pro e contro. Ma qual è la posizione della comunità scientifica?“Al momento non possiamo assolutamente farne a meno”, afferma Francesco Clementi dell’Istituto di neuroscienze (In) del Cnr di Milano. “Senza passare per il modello animale non è possibile studiare sistemi complessi quali il sistema nervoso centrale poiché al momento nessuno degli altri modelli validati o in via di validazione è in grado di fornire informazioni sull’organismo completo”.Anche un caso infelicemente noto come quello della talidomide, farmaco assunto da molte donne incinte che causò la nascita di bambini focomelici alla fine degli anni '50, conferma questa imprescindibilità. “Il farmaco era stato testato in modo non approfondito su roditori, ma solo attraverso i successivi studi su altre specie animali si è riusciti a spiegarne l’effetto e da allora non si sono più verificati casi simili”, afferma il neuroscienziato: “Un successo recente è uno studio pubblicato su 'Science’ sul legame tra un vaccino, chiamato Pandemrix, e la narcolessia, che non si sarebbe potuto spiegare senza la sperimentazione sugli animali”.D’altra parte, il lavoro dei ricercatori si ispira al principio delle '3 R’, proposto nel 1959 da William Russell e Rex Burch: replacement, reducement, refinement. Si utilizzano, quando possibile, modelli diversi da quello animale, mirando meglio gli esperimenti, in modo da ridurne il numero al minimo. “Conviene anche da un punto di vista economico. I costi dei modelli in vitro o in silico sono molto inferiori a quelli dei test in vivo”, spiega il ricercatore dell’In-Cnr, “ma i dati biomedici di background raccolti sugli animali servono a dare indicazioni ineludibili”.Per refinement, invece, si intende il miglioramento delle condizioni degli stabulari esigenza che risponde a motivazioni etiche e scientifiche. La ricerca sperimentale in Italia è severamente controllata dal ministero della Sanità, che deve approvare ogni protocollo di ricerca e vigila, attraverso le Asl, sulle condizioni degli animali. “Il benessere degli animali incide positivamente sul successo della ricerca e sulla riproducibilità dei dati, dunque cerchiamo di sottoporli a meno stress possibile. Siamo per questo molto colpiti dall’azione di alcuni attivisti che, portando le cavie fuori dal nostro stabulario, le hanno condannate a morte certa”, continua Clementi, riferendosi al blitz del 20 aprile 2013 ai danni del Dipartimento di farmacologia della Statale di Milano. In Italia, la Direttiva europea 63/2010 sul tema è stata recepita con alcune forti restrizioni. “Tra i limiti, il divieto all’uso di animali negli studi sugli xenotrapianti o sulle sostanze d’abuso, nonostante i milioni di persone che muoiono per patologie causate da fumo di tabacco”, dichiara lo scienziato. Vista la delicatezza del tema, è molto importante un’informazione chiara e trasparente a riguardo. “Per questo ne parliamo molto nelle scuole, con docenti e studenti, perché tutti possano farsi una propria opinione, ma a partire da basi scientifiche e non solo da rispettabilissime istanze emotive”, conclude Clementi. (CARLO MOLA Ripreso da CNR)