A cosa servono le mostre, se non ci sono veramente dei geni?
Siamo alla seconda settimana di film proclamati “eccezionali, meravigliosi, assolutamente particolari”, ma finora di visibile e gradevole ne abbiamo visti ben poco (La Favorita, The Ballad of Buster Scruggs, Freres Ennemis, The Sisters Brothers, At Eternity’s Gate ,22July…) ma tutti- nel loro insieme- mostrano i danni e le novità della globalizzazione. Il cinema “speciale” come Lanterne rosse, Orlando, Fuochi d’artificio, nella nostra contemporaneità sarà difficilissimo, incontrarlo perché ormai siamo tutti mistificati, dal Nord al Sud, sebbene proprio qui a Venezia ci sono degli inguaribili nostalgici della propria razza, lingua e cultura. Rien de rien!
Allora, proprio per mostrarvi che i fatti che si succedono l’uno dopo l’altro e che stupiscono, il cinema li “afferra “al volo e li mostra tale e quali sono avvenuti. Così non saremo mai solo nel passato, ma sempre e comunque nel presente con un occhio al futuro.
Eccovi- allora- 22 Luglio- una data che ad alcuni non ricorderà nulla, mentre il film presentato nella 75.ma Mostra di Venezia, spinge a porsi delle domande angosciose e a cui ciascuno di noi darà una risposta secondo la sua coscienza.
22 Luglio
Siamo in Norvegia, il 22 luglio 2011, dove avviene uno dei più grandi attacchi e massacri avvenuti ad Oslo e dintorni.
(l’isola di Utoya) dalla Seconda Guerra Mondiale concorrendo nella selezione ufficiale del Festival. Il film 22 July, è ispirato all’attentato terroristico perpetrato da un sostenitore dell’estrema destra, tale Anders Behring Breivik, prima ad Oslo e poi alla colonia estiva sull’isola di Utoya e basato anche sul libro Uno di noi, di Åsne Seierstad.
Anders Breivik vuole che il Primo Ministro attui un cambiamento nella Norvegia contemporanea, promuovendo leggi che limitino il multiculturalismo e l’immigrazione. Il terrorista, così, si fa promotore di una causa intenta a colpire i sostenitori della politica pro-immigrazione, organizzando non uno ma ben due attentati terroristici a distanza di poche ore. Il primo, con l’obiettivo di colpire il palazzo in cui è situato l’ufficio del Primo Ministro, e il secondo – ancora più crudele – volto ad annientare una colonia estiva di ragazzi sull’isola di Utoya, gestita dal Partito Laburista. Il regista, Paul Greengrass, dopo aver diretto la trilogia action di Jason Bourne e aver raccontato fatti di cronaca in film come Captain Phillipps – Attacco in mare aperto, conferma di sapersi destreggiare sapientemente tra i generi, alternandosi tra fiction e drammi politici estratti da avvenimenti reali. La sceneggiatura lineare ed estremamente meticolosa – anch’essa a cura di Greengrass – consente di approfondire la vicenda che sconvolse il mondo intero da più punti di vista, quella del carnefice e soprattutto delle vittime, oltre alle prospettive dei burocrati e personaggi politici (avvocati, primo ministro, giornalisti) che si muovono attorno. Piano piano penetriamo nella folle psicologia del fanatico killer, ascoltando le motivazioni e le convinzioni che lo hanno persuaso a uccidere quasi 80 persone e a ferirne più di 200. A un certo punto c’è anche un tentativo, inutile, di comprensione, una ricerca di umanità verso l’omicida, che non arriverà mai, nemmeno nella fase del processo. Nessun pentimento, nessun cedimento. Il processo, per come è stato concepito cinematograficamente, ricorda – con ovviamente le dovute differenze del caso – quello attuato contro Adolf Eichmann nel secolo scorso: entrambi lucidi calcolatori che agiscono per un’organizzazione superiore, intenzionati a sradicare dai rispettivi paesi (Germania e Norvegia) la presenza delle minoranze sociali. L’unica differenza è che Eichmann era al servizio del proprio governo, mentre Breivik è un sovversivo. La successione di inquadrature che costruisce il processo mira proprio a evidenziare la totale assenza di pentimento nell’attentatore, proprio come accadde con Eichmann. Anche dopo le testimonianze dei superstiti, Breivik non accenna alcun cedimento, continuando ad approvare e giustificare le sue azioni. La pellicola passa poi a indagare le conseguenze del terribile atto, dal punto di vista di uno dei sopravvissuti, il giovane Viljar, vivo per miracolo e in continua lotta tra la vita e la morte – lo spostamento di alcuni frammenti di proiettile rimasti nel suo corpo possono essere fatali in qualsiasi momento. Gli attori Anders Danielsen Lie e Jonas Strand Gravli, nei panni rispettivamente di Breivik e Viljar, persuadono nelle loro performance, lasciando che lo spettatore ascolti con estrema attenzione le loro testimonianze e la loro “fede”, pur giusta o sbagliata che sia. Anche il resto del cast di supporto contribuisce a rendere il dramma una apprezzabile opera, rendendo 22 July un film corale, che risuona nel profondo dell’umanità. Una tensione crescente si percepisce fin dai primi minuti, permettendo un’identificazione istantanea. Dallo stato di agitazione si passa, progressivamente, a un’atmosfera più tenue e pacata, focalizzata sull’elaborazione del lutto e sulle reazioni di un paese prima apparentemente sconfitto, e in cui poi subentra la rabbia e il desiderio di giustizia. 22 July è un ritratto realistico, dotato di una fotografia suggestiva, con paesaggi tipicamente norvegesi che non sono altro che il riflesso di una rottura più profonda. Uno sguardo ravvicinato a ciò che il mondo è diventato in seguito al terribile evento che ha dato una svolta al nuovo millennio – più volte rammentato nel corso del film -, l’attentato dell’11 settembre 2001. Un inno al coraggio, alla tenacia, alla solidarietà, denunciando le atrocità della nostra contemporaneità, in nome di un cambiamento, di una pace che forse in futuro non sembrerà così utopica.
E’ quello che speriamo tutti per noi e per i nostri discendenti siano essi del Nord o del Sud. Se il cinema serve a questo, ben vengano anche mille Mostre, come quella ineguagliabile di Venezia.