Fondazione Creval ricorda Daverio

E’ MANCATO A MILANO IL FUNAMBOLICO CURATORE E CRITICO D’ARTE

DAL 1987, ANNO DI APERTURA DELLE GALLERIE D’ARTE CREVAL, FU PIU’ VOLTE COINVOLTO IN PROGETTI ESPOSITIVI, SIA COME STORICO CHE COME CREATIVO CURATORE DI MOSTRE E RASSEGNE. COSI’ CI PIACE RICORDARLO.  Un’istantanea dall’opening della sfavillante “Ultima Cena” di Andy Warhol al Refettorio delle Stelline il 22 gennaio 1987: Warhol, il protagonista, assalito da fotografi e fan come un’autentica rockstar indossa un giubbotto di pelle nera molto aggressivo in aperto contrasto con la candida chioma e col pallore del volto. Alexandre Iolas, il direttore artistico, accoglie il jet-set sotto una pelliccia dai toni confetto che volutamente stride con l’inappuntabile completo gessato. Daverio, consulente della mostra, se ne sta in disparte a fumare e ad osservare il movimento della sala dietro l’eterno papillon. Ha 37 anni ed è noto nel sistema dell’arte come tessitore di relazioni fra artisti singoli, neo-movimenti, territori e contesti di produzione. Il suo esordio come gallerista avviene però a New York, un anno dopo, quando prenderà vita la Philippe Daverio Gallery dove assieme al socio Paolo Baldacci, tenterà di portare all’attenzione del mercato americano i grandi nomi del novecentismo italiano: dai ‘dioscuri’ Giorgio de Chirico e Alberto Savinio, a Carrà, a Martini, a Severini.

Tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90 si colloca l’esperienza dell’omonima galleria milanese con sede in via Montenapoleone; una meteora molto luminosa sul piano della proposta e del sostegno di artisti poco noti ma di grande raffinatezza in una Milano sconvolta dagli eventi giudiziari di Tangentopoli.

E’ questo il periodo nel quale si consolida la collaborazione critica di Daverio fra il novero delle proposte espositive per il Refettorio delle Stelline e come “voce collaterale” durante la presentazione di mostre curate da altri. Indimenticabile l’introduzione critica alla prima retrospettiva di Gabriele Basilico (1989) o le presentazioni pubbliche alle monografiche dedicate a Rodčenko e a Beuys (1992) dove il personaggio inizia a segnalarsi per abilità divulgativa e dialettica marcatamente teatrale, unendo al dato storico memoria autobiografica, aneddotica e un particolare gusto per il retroscena insolito e piccante. Non secondari appaiono l’aspetto fisico ed il look, che contribuiranno a fissarlo nella memoria collettiva come un eccentrico dandy impegnato nella soluzione dei misteri dell’arte contemporanea, sulla falsariga di un Hercule Poirot (senza l’immancabile bastone da passeggio) o di un Maigret (senza l’immancabile pipa).

Nominato assessore alla cultura nella giunta Formentini rinuncia alla valorizzazione di tematiche artistiche autoctone o vernacolari – in aperta opposizione alla linea del partito di governo che lo aveva nominato – facendo di Palazzo Reale il primo collettore nazionale di mostre di grande successo, dagli impressionisti a Modigliani, da Klee a Kandinskji, attuando così nel concreto quel progetto di avvicinamento del grande pubblico ai temi dell’arte che culminerà con l’attività di tele-divulgatore per i programmi di Rai3 “Passepartout” e “Il Capitale”.

Risale al 2004 l’inaugurazione della Galleria Creval di Acireale che vede Daverio impegnato nella preparazione della mostra “Arturo Martini. Opere dalla Collezione Credito Valtellinese” nella quale sono esposte le migliori sculture in bronzo - oggi sistemate fra i Giardini di Palazzo Sertoli e il Grand Hotel de la Posta di Sondrio – tirate in multiplo da una storica fonderia sotto il patrocinio della sua Galleria.

In occasione dei vent’anni dalla mostra di Andy Warhol la Banca chiede a Ph.D (si tratta oramai di una sigla personale ironicamente giocata sull’assonanza con il prestigioso dottorato di ricerca statunitense) di curare la mostra “Ultime Ultime Cene”, dove 12 artisti sono invitati a misurarsi con l’interpretazione della celebre iconografia religiosa che trova nell’affresco di Leonardo il suo notissimo antecedente. La reiterazione della parola “Ultime” del titolo è un’astuzia tipicamente daveriana – un mix di desiderato disturbo lessicale e persuasività pubblicitaria – all’insegna di un’esposizione di indiscusso prestigio dislocata fra il Cenacolo Vinciano, l’abside domenicana di Santa Maria delle Grazie e Palazzo delle Stelline.

A Sondrio sono infine collocabili le ultime solide collaborazioni con la Galleria di Palazzo Sertoli: la ricca antologica di Willy Varlin (2009) illuminata dai potenti olii dedicati al lirismo e alla durezza della vita pastorale caratterizzanti l’ultimo periodo dell’artista svizzero – “Un Guggenheim sulle Alpi Retiche!” come ebbe a definirlo il curatore durante l’inaugurazione -; la retrospettiva itinerante fra Lombardia, Sicilia e Marche dedicata a Bruno Bordoli (2014), artista di autentica profondità religiosa e di pari forza espressiva, emerso da quel nutrito vivaio che Philippe Daverio ha coltivato con dedizione e intelligenza sin dagli esordi nel mondo della critica.

L’aroma di buoni sigari di cui era portatore, la passione per la luce di Sicilia e per i silenzi della laguna veneziana - di cui si sentiva figlio adottivo – così come quell’intercalare milanese confuso nell’incancellabile accento francese, ci mancheranno

Cultura e spettacoli