Stefano Accorsi e Baliani

Sul nudo assito, sovrastato da giganteschi destrieri ovattati verde asparago e carminio soffuso, la magia scenica dell’Orlando ariosteo con due funamboli della parola come Marco Baliani e Stefano Accorsi. Accoppiata vincente sulle oniriche vicende dell’“Orlando Furioso”, che si sfida a singolar tenzone all’ultima fronda rimata discorrendo amenamente di epiche gesta e dell’amor cortese. Meglio, conteso. Nulla del dantesco “ch’a nullo amato amar perdona”, per Angelica la bella, che tutti incanta, di un incantamento muliebre dettato più dalle sue belle membra ignude che dal salubre sorso di una fonte che dispensa odio marcio, o cieca irresistibile passione. Vince chi fugge in amore. E Angelica, quasi diva hollywoodiana bramata da scafati magnati e teneri pischelli, vaga per il mondo sedotta infine dal dolce Medoro con cui tesserà gli orpelli di una grotta che ha accolto i loro sfinimenti d’amore. E al prode Orlando, signore di mille ardimentose imprese e di cotanto multiforme ingegno, non resterà che sbarellare, consumato dalla livida rabbia e dal livore estremo, svellendo arbusti e piante secolari, devastando tutto al suo passaggio insano, finché il buon Astolfo non gli abbia reso il senno finito in un’ampolla sulla luna. Il regista Marco Baliani modera sapientemente i registri di un organo che canta ad ance aperte, con un Accorsi in stato di grazia, amministrando, saggio, dramma e tensione, stemperando i toni e raddrizzando a tono la barra del timone. Scorrazza spedito tra stanze forbite e versi sublimi, assaporando un po’ della Francesca da Rimini e della Desdemona ingiuriata, portando innanzi il suo vessillo alato. Sulla giostra disadorna del palco e della vita, coglie il profumo del femmineo fiore chi sa volare in groppa a un Ippogrifo, o delle umane contese se ne impipa. Meglio l’amor conteso in aspra lotta. Questo l’assunto. E il buon Ariosto in questo ci ha lasciato il segno. Invito infine in proscenio da parte del regista Baliani ad avvicinarsi ad un capolavoro senza tempo raccogliendo, con un grande Accorsi, l’ovazione del pubblico. 

Nello Colombo
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