Concerto di Capodanno al Teatro Sociale con l'Orchestra Vivaldi
Capodanno. Una porta spalancata su un nuovo mondo tutto da vivere. Sarebbe bello chiudere i conti a scadenza dei nostri pensieri per ricominciare con nuova lena, lasciando nel cantuccio più oscuro della nostra mente ogni inquieto travaglio. Oppure affidare le vele volte al prossimo approdo con la ferma determinazione che al nuovo viaggio arrida se non sempre il sole, almeno la speranza di lasciarsi alle spalle i tumulti delle quotidiane urgenze, lasciando che sia la musica l’ineffabile traghettatrice dell’oltre. E così la notte dei fuochi e dei brindisi in città ha pagato dazio alla voracità insaziabile del tempo col beneaugurante concerto dell’Orchestra “Antonio Vivaldi” al Teatro Sociale. Sempre più “maestro del suo pubblico”, Lorenzo Passerini, vistosa rosa rossa all’occhiello e il bianco papillon sul nero dell’impeccabile frac, che dopo spade e alabarde spaziali alla “Star Wars”, imbeccato dal magnifico maestro di cerimonie in gran livrea, Sergio Dagasso, ha indossato le vesti di un improbabile Thor armato di nudi martelli da battere su due incudini bitonali sul ritmo della Polka francese “Feuerfest” di Josef Strauss. E’ sempre lui, infine, in proscenio, a dirigere nel festoso finale a sorpresa una vigorosa “Marcia di Radetzky” occhieggiando divertito al “suo” pubblico che si è scaldato al punto giusto con la sua andatura alla marsch, sommergendolo con la sua ovazione, mentre lui dispensa baci a destra e manca e rivolge la giusta mercede ai suoi alfieri, amministrando applausi per tutti. Fino al gustoso finalissimo, quasi in zona “Cesarini”, dal sapore di un gratificante, simpatico “Tombolino”, con la scansione ritmica di “Tanti auguri di Buon Anno”. “Teatro Sociale” in festa, infiocchettato a dovere di rosso carminio e d’argento champagne, con gli orchestrali che pian piano si sono sciolti nell’esaltante Ouverture de “La gazza ladra” di Rossini nel suo parossistico crescendo invidiato da un titano come Beethoven. In scena poi il primo ospite della serata, il calabrese Roberto Armocida, della nobile stirpe di Riace, brunito in volto come i celebri “Bronzi”, elegante, sussiegoso e fiero col suo sax contralto delle meraviglie, capelli crespi e barba appena colta, con l’unico vezzo di uno strass all’orecchio sinistro, che dà estro e colore al “Concerto per sassofono e orchestra d’archi” di Alexandr Glazunov. Pastoso il suono, efficaci i suoi rallenty prima dei virgolettati liberi fino al cielo. Grande virtuosismo nel suo fuori programma del “Capriccio in forma di valzer” di Paul Bono, prima di raggiungere la sua piccola Cecilia stretta teneramente al collo della mamma. Mette ancora tutti d’accordo il “Gran valzer brillante” che Nino Rota orchestrò per la celeberrima scena del capolavoro di Visconti con un superbo Burt Lancaster che affida l’affascinante Claudia Cardinale alle braccia del bel Delon orbo di un occhio reso con onore durante l’avanzata garibaldina, fuori dalla logica gattopardesca di cambiare tutto per non cambiare niente. Ingresso poi in campo del giovanissimo magentino Marcello Miramonti, lunga zazzera fluente, quasi impacciato come un timido albatros nel suo destreggiarsi tra il fitto degli orchestrali, ma, appena il suo archetto sfiora le prime note della incommensurabile “Meditation” di Jules Massenet, si avverte un brivido. Prodigiosa la sua delicatezza mentre tziganeggia fino al ponticello giocando felicemente con gli armonici, o glissando facondamente sulla quarta corda stoccando di fino nell’arena infuocata rosso sangue della “Carmen” di Bizet. Pubblico in tripudio e chapeau da parte degli orchestrali. Bis assoluto. Lui e il suo violino. Null’altro. Dopo una sollazzevole e leggiadra “Danza delle ore” di Ponchielli, seconda parte del concerto stile “Capodanno viennese” con la Polka-schnell “Plappermaulchen” di Josef Strauss con tanto di crotali e raganelle a consulto, messi a tacere proditoriamente da una pentolaccia vile da cucina. Affondo poi con il più classico dei valzeroni da danza come quello della “Bella addormentata” di Ciaikovskji, per finire con l’affascinante valzer di Johann Strauss “Sul bel Danubio blu” e la sua spumeggiante Polka “Tik-tak”. Vero coup de théâtre il tema del celeberrimo film col compianto Jerry Lewis “Dove vai combini solo guai” con un abile e imperterrito percussionista alla macchina da scrivere con tanto di partitura debitamente accordata con un “la” di tromba. Inestricabile nel suo sferragliare ritmico disincagliato reiteratamente da Passerini che regge la grande fatica di una obsoleta “Olivetti” tra gli spari festosi di mille coriandoli rossi. Capodanno è lì. In quel sapore antico che ti riporta a un passato gravido d’incognite, ma che s’apre alla speranza che qualcosa possa veramente cambiare. Finalmente.