UN COMPLEANNO SURREALE AL TEATRO SOCIALE

di Nello Colombo
Teatro dell’assurdo o l’assurdità del teatro in scena al Teatro Sociale con “Il compleanno” (The Birthday Party) del drammaturgo britannico Harold Pinter. Eutanasia di un disamore vaneggiante sulla solitudine umana in cerca di sensazioni forti per sentirsi ancora vivi. La scena si apre sulla “pensione” degli attempati coniugi Petey e Meg (l’incisiva Maddalena Crippa, unica luce di una spenta magione, e voce dolcissima sulle note de “La vedova allegra” di Franz Lehàr), servizievole fino all’assurdo, affetta da una vacuità affettiva che lei riversa ossessionatamene sull’unico “ospite”, tale Stanley, visionario disfattista dell’ultima ora, mollemente pigro, in allarmante afasia comunicativa. Eppure oggetto delle molli attenzioni dell’ultrasessantenne donna a caccia di un brivido esistenziale. Materna e un po’ civetta, Meg dondola sul pentagramma sgrammaticato di una melodia ballonzolante annunciando un cambio di passo con l’arrivo di due nuovi ospiti visti come fumo negli occhi, anzi come acqua santa per il diavolo, dallo stralunato Stanley, oggetto del desiderio di una creatura avvenente e sanguigna, l’avvenente Lulu, messa all’angolo dalle sue disattenzioni nei suoi confronti. Ma è l’arrivo dei due pensionanti, Goldberg e McCann in rigido doppiopetto scuro, a sconvolgere l’assetto asettico del giovinotto senza troppe speranze, consolato dall’inaspettato regalo di un tamburo infantile su cui si destreggia spasmodicamente quasi in preda ad un raptus ossessivo. Assordante. Come l’assurdo cicaleccio della complicità dei due compari pronti a godersi il clima godereccio di una bella festa di compleanno per l’infastidito Stanley che crolla sotto i colpi micidiali dei due intrusi, abdicando ad ogni minima reazione, ridotto ad un farneticante silenzio. Ma il party surreale inizia tra stereotipati e strampalati discorsi e brindisi altisonanti in un vortice violento innescato da una “innocente” moscacieca durante la quale McCann schernisce a muso dura il giovincello disorientato e infoiato dall’adescamento della bella Lulu, Barbie-Lolita che si struscia amenamente sul tavolo da cucina. E’ un improvviso blackout a far sbarellare Stanley che mette le mani alla gola di Meg e infine si ritrova a ridosso dell’oggetto del suo desiderio pronto a consumare la sua violenza carnale su Lulu. Demenziale il suo grido represso troppo a lungo. L’intervallo non stempera la prolissità di una messa in scena lenta e macchinosa che nel retrobottega della mente tenta di recuperare un finale uroborico di un omuncolo impaurito, scollinato ormai oltre le barriere del senno, quando tutto è cambiato. Eppure nulla sembra cambiato nelle attese vaneggianti di Meg che insulsamente millanta la piena riuscita della festa di compleanno. La farsa dell’assurdo è ormai in un vicolo cieco. E il teatro è in trappola. Accoglienza tiepida da parte del pubblico del Teatro Sociale in questo viaggio nella drammaturgia pinteriana che disarma la mente innanzi alle assurdità di un’esistenza scialba di un ciclo dei vinti senza speranza alcuna.
Nello Colombo

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