Andraous: 1) Platea plaudente 2) Legalizzazione dell'ipocrisia 3) Cuscini invisi persino alla discarica

LA CRETINETTI E LA PLATEA PLAUDENTE

Il video della cretinetti che picchia una coetanea con calci e pugni alla faccia e alla testa, imperversa sul social-network, una ubriacatura di violenza gratuita, in bella mostra, alla mercè di emulazioni e fascinazioni, manuale per pavidi e sconfitti della vita.
La cretinetti travestita da combattente, porta colpi sotto la cintura, usa le mani e i piedi come fosse una praticante di MMA, dove possono accedere contendenti di qualsiasi disciplina, invece non pratica proprio un bel niente, perché disconosce la correttezza, la lealtà, soprattutto il rispetto che un atleta vero nutre per  il suo avversario.
Una cretinetti come tante altre altre, circondata da altri ebeti che fanno platea plaudente, che fanno stadio, che fanno gabbia, che fanno recinto dove tutto può e deve esser condiviso.
Una platea di stacanovisti della noia che paralizza i neuroni, della adrenalina agognata invano, del vicolo cieco da perforare con urgenza, un miscuglio di disagi e compromissioni familiari, scolastiche, una adultità perennemente votata all’assenteismo.
Platea vociante di bestemmie e invocazioni a fare più male, a essere più cattivi, a colpire subito senza attendere oltre, giovani a perdere un briciolo di pietà per chi urla disperata: AIUTATEMI VI PREGO.
La vittima cade ripetutamente sotto i colpi intenzionali, persistenti, asimmetrici,  è nauseante lo squilibrio, la disparità, tra chi colpisce e chi incassa, il branco ride, schiamazza, incita con ferocia, vuole il divertimento, esige il sangue, il dolore, la sofferenza  della sfigata,  agnello sacrificale del proprio delirio di onnipotenza.
Senza quella platea di vili imberbi, non potrebbe esistere né proliferare la cretinetti, il bullo di turno.
Credetemi so quello che dico, cos’è la violenza, che rumore fanno le nocche infrante sui denti, so perfettamente che razza di individuo è l’iracondo, il prepotente, il prevaricatore, sono stato bullo, sono stato il mio peggior nemico, la persona peggiore che ho incontrato nella mia vita, proprio perché ne conosco ogni anfratto, nel vedere quel video, quella cretinetti, quel popolo di stolti plaudenti, ho sentito male alla testa, male alla pancia, male alle mani, male alle gambe, ho sentito male al cuore, un male lacerante per quella ragazzina impaurita, sola in mezzo a tanta gente, a cui si è cercato nel modo più miserabile di rapinarle la dignità.
Quel video non è solamente la denuncia sconvolgente di una società bullistica, ma anche la rappresentazione di una solitudine armata nei riguardi della vittima, la giustizia sarà un sollievo passeggero, in fin dei conti  come mi ha risposto qualcuno: “ora non facciamola troppo esagerata, queste cose sono sempre accadute”.
Sarà senz’altro così, ma una volta se non incorro in amnesie, lo scontro era con il mondo adulto, una volta non si diventava degli imperatori, e quando ciò accadeva eri già autoescluso, non c’era bisogno di buttarti fuori da quell’ istituto, accadeva in automatico, dovevi trovartene un’altro.
Oggi la competizione è con il gruppo dei pari, con quelli più fragili, oggi non si diventa soltanto bulli o famosi per forza, ma addirittura pezzi pregiati di edilizia scolastica, non si viene allontanati, perché errato criminalizzare, parlarne troppo, è più consono recuperare, riproporre un progetto e un percorso.
Ma la sanzione per accadimenti di questa portata dove sta di casa?
Forse è vero, una volta ogni colpo sotto la cintura rimaneva dentro la classe, perché la forma bullistica ai miei tempi tempi denominata nonnismo,  era prontamente addomesticata dall’autorità del docente, degli adulti, dei responsabili della condizione psico-educativa dell’adolescente.
Oggi i nativi digitali sono accompagnati per l’intera giornata dal loro smartphone, dalle messaggistiche istantanee, dai social, con un semplice movimento sanno che possono sconquassare un paese, una città, un mondo, devastare una vita, mandare in frantumi il futuro di una persona, oppure diventare per una frazione di tempo ciò che non si è, in quanto il bicipite è potere, il denaro è potere, la forza e la furbizia sono il grimaldello del potere.
La cretinetti e quei bulli nascosti dietro la funzione video-fotografica, ci dicono che non c’è soltanto una indifferenza che non fa prigionieri, spesso nessuno vede, ci voltiamo da un’altra parte, non soltanto per paura, omertà, menefreghismo, ma perché non siamo disposti, quindi non ci disponiamo a essere e fare maturità educativa, eludendo il dovere di imparare a conoscere per quello che è il mondo della cretinetti, dei bulli, della stessa vittima, cioè l’universo delle nuove tecnologie che non formano al carico obbligante delle responsabilità.
A quella ragazza ribadisco di non sentirsi mai sola, alla cretinetti di trovare dignità sufficiente per chiederle perdono. (Vincenzo Andraous)

LEGALIZZIAMO  LA NOSTRA IPOCRISIA
Insomma quando il gioco si fa duro ognuno spara a destra e a manca senza badare troppo a chi colpisce, quel che conta è fare muovere le pedine in un senso o nell’altro, se poi ci va di mezzo un giovane, risulterà una sofferenza accettabile.
Effettivamente non sempre accade che chi fa uso di sostanze sia destinato a rovinarsi, a morire, a uccidere, non sempre la vita diventa un vicolo cieco.
Alle mie obiezioni sulla legalizzazione qualcuno risponde così: non sempre, solo qualche volta, c’è il ferito, il morto, il botto e il silenzio.
Forse bisognerebbe farci i conti con quel ”qualche volta”, con quelle vite dimezzate, azzoppate, disperate, annullate, scomparse, per una svista, non certamente causata da un eccesso di zuccheri.
Possiamo metterla giù come meglio crediamo e vogliamo, ma legalizzare non toglierà mercato alle mafie, non farà diminuire le utenze, la pratica del minor danno-sballo non risulterà politica risolutrice.
Ciò che domani sarà mercato istituzionale, consegnerà percentuali importanti di principi attivi, guadagni e sfruttamento dei più deboli e fragili, a un altro mercato parallelo, ben più efficace e provvisto di alternative comode, a pronta consegna.
Salute, vita umana, dignità, responsabilità, capacità di fare delle scelte, di avere soprattutto delle scelte, stanno diventando concime per fintamente nuove ideologie, le quali negano diritti fondamentali ai più giovani, ai più esposti, dentro una società di adolescenti al palo, in attesa di varcare la soglia del vicolo cieco, perché di cecità giovanile si tratta, quindi occorre fare i conti con il Dna di ogni nuova generazione.
Anche e soprattutto con l’ottusità  politica, etica, morale, di quanti dovrebbero ergersi in piedi, non in quanto rigoristi, ma perché in tutta coscienza e nel rispetto degli altri, non intendono fare da rampa di lancio, da spazio neutro, da finestra cui rimanere a guardare, ingrossando le fila di una indifferenza sociale che non salverà vite umane, non maturerà individui disacerbati, non aiuterà a fare i compiti per conoscere i propri limiti.
Campagne, slogan e manifesti, contro questo e contro quello, adesso occorrerà farne anche contro la Maria, la Giovanna, la Elisa, sarà necessario ferirsi e lacerarsi ancora di più: auto sequestrate, patenti ritirate, pendenze penali, lavoro pubblica utilità, gambe tranciate, corpi in scadenza, assenze eterne che divengono ulteriori presenze costanti.
Qualcuno proporrà, come accade sempre, altri interventi di ripiego, cercheranno di tranquillizzarci sostenendo che i minori non potranno accedere a questo nuovo supermercato dello sballo, ma noi sappiamo bene che potranno ugualmente riempirsi gli zainetti di fumo e erba, infatti c’è sempre chi scalpita e si presta alla festa prossima.
La droga non è normale quanto un bicchiere di vino, la droga non fa bene, uno spinello “aiuta” a lenire “terapeuticamente” il dolore insopportabile a chi è costretto a letto da un male terribile, ma non rende lucidi coloro che sono protagonisti attivi della propria vita e del proprio benessere, responsabili di se stessi e degli altri, come libertà insegna a ognuno.
Uno spinello è sufficiente a pensare, sbagliando, di essere a mezz’aria, sopra e sotto il tuo problema, dentro un’esistenza mai sotto osservazione, subita come una condizione di inferiorità.
Legalizzare la roba non renderà meno duro il linguaggio del mondo, meno feroce l’ansia e lo stress per l’ignoto che ci attende,  è puerile giustificarne l’uso (e l’eventuale abuso ) per risolvere il sovraffollamento carcerario causato dalla severità di alcune leggi di contrasto allo spaccio di sostanze.
Ho l’impressione ci sia davvero urgenza a mettersi di traverso a fronte di dichiarazioni semplicistiche, c’è bisogno di non dare mai le spalle a zone buie come queste, perché sono volti e maschere della stessa identica tragedia, che incombe, non s’allontana, e non sarà la legalizzazione a domare una violenza insita in ogni responsabilità negata. (Vincenzo Andraous)

“I CUSCINI PUZZANO DI SUDORE”
L’anno 2014 è iniziato da qualche giorno, suona la campana a morto per qualche disgraziato garrotato dal meccanismo perverso che il carcere mantiene, per poi vergognarsene senza pudore.
Un altro poveraccio se ne è andato con le gambe in avanti, un’evasione silenziosa, che non fa rumore come quell’altra con lima e lenzuola annodate, da qualche tempo s’evade così, con corda e sapone, senza documentazione, privati persino della propria storia personale, quella che non è mai raccontata per quella che è.
In fin dei conti la prigione non è zona di mare, di sole e divertimento, è quello che è, un lazzaretto disidratato, un contenitore, una catasta di cose, di numeri, di eccedenze e scarti, di sovraffollamento, e dunque, c’è bisogno di dare aria ai capannoni in disuso, consentendo disprezzo e indifferenza ulteriore al lessico quotidiano, che parla non di uomini, cittadini reclusi, non di pene da scontare, non di carcere a norma di sicurezza.
Contese politiche e trabocchetti ideologici, dove la sicurezza appunto è strattonata per meglio comprarla a seconda dei punti di vista, delle prospettive, dei vantaggi di casata, quindi per i detenuti rimane solo il tempo di un urlo strozzato in gola, per gli altri cittadini liberi uno sbadiglio, meglio sonnecchiare di fronte all’ultima ingiustizia, perché fin troppe  sono quelle irreggimentate per rendere inquieta e preoccupata una società.
Un altro prigioniero è finito sul ben noto capitolato degli “eventi critici”, letteratura amministrativa per meglio rendicontare certi accadimenti insanabili, che invece meriterebbero maggiore attenzione, dentro sensibilità certamente diverse, ma ognuna in possesso della propria patente di circolazione, ben connessa alla sostanza delle cose, non alla parzialità delle circostanze che di volta in volta fanno gridare, sbattere i pugni, per rivendicare ruoli e competenze, rafforzando i silenzi.
Ci sarebbe bisogno di chiarire questo buco nero profondo in forza di autorevolezza, gli ammanchi esistenziali di una giustizia anch’essa presa per i fondelli, infatti alla galera è possibile trarre un riassunto sociale che non lascia dubbio per il decoro venuto meno, perché autorizzato a scalare le vette più alte dell’inumanità.
Sovraffollamento, suicidi, malattia, solitudinarizzata persino  la morte, patologie border line, aree sempre più corpose di doppia diagnosi, tumefazioni e sangue, confermano il pericolo di un vero e proprio regresso insanabile del carcere italiano.
Qualcuno ha detto che sulle brande arrugginite “ i cuscini puzzano di sudore “. No, non è così: quei cuscini, dove ci sono, perché mancano, sono invisi persino alla consorella discarica più vicina.
A quante palline cadaveriche è arrivato il pallottoliere penitenziario?
Siamo a inizio anno, eppure tra una imu reintrodotta con gli interessi, una tares reinventata, una tasi spocchiosa, lo scoramento di una collettività diseduca alla compassione, alla pietà, alla giustizia che salva  dall’ingiustizia dell’abbandono.
A volte si ha l’impressione di una discussione oziosa sul carcere, è tutto talmente incancrenito e marcio che non c’è difficoltà ad autoassolversi con un giro di parole, raccontandoci una realtà che non esiste, perché non deve esistere.
A cosa serve una prigione che non custodisce, ma si limita a detenere, che non rieduca, ma addomestica all’attesa del morso che verrà, che determina un tempo bloccato, senza alcuna possibilità di crescere, di spostare l’asse di coordinamento sociale da puro terminale dell’esclusione, a linea di partenza per nuovi stili di vita, di responsabilità assunte.
Un carcere che uccide non serve a nessuno, un carcere che accartoccia l’umanità non serve, un carcere dell’ingiustizia genererà soltanto mostri, forse vecchi nel fisico, ma bambini nella testa, deresponsabilizzati dalla sofferenza cieca che non consegna nuove punteggiature.
Il carcere che uccide non serve perché non è con la vendetta travestita di buone intenzioni che si superano le gambe corte delle menzogne, delle panzane mediatiche, una galera che inghiotte, espelle carne morta, non sana il male di vivere, non ripara al male perpetrato, non diventerà mai protagonista attivo di un preciso interesse collettivo.
Amnistia, indulto, decreti, falsi allarmismi, carceri nuove e mantenimento di una politica del più forte contro il debole, significa consolidare una galera dell’intolleranza, che scardina valore all’autorevolezza delle istituzioni.
Non può esser considerata una pena affidabile, quella pena che priva di rispetto della dignità ognuno, una pena in cui il reato diventa l’unica identità possibile del detenuto, anche quando quella pena verrà scontata, non una volta come Costituzione comanda, ma una volta di più, rendendo vano ogni auspicio di risocializzazione, ogni richiesta di giustizia. (Vincenzo Andraous)

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