CHI HA LA COSCIENZA E LA FEDINA PENALE SPORCA NON PUÒ ERGERSI SULLO SCRANNO DEL GIUDICE
CHI LA COSCIENZA E LA FEDINA PENALE SPORCA NON PUÒ ERGERSI SULLO SCRANNO DEL GIUDICE
Caro Direttore, in Italia per una sorta di codice non scritto interno alle carceri, è costume che i “detenuti comuni” insultino in malo modo (arrivando talora a minacce di morte), chi si è macchiato di delitti contro l’infanzia. E fin qui si può capire, perché umanamente parlando, chi ammazza o abusa dei bambini, non merita “delicatezze di trattamento”. Ciò che invece suona ambiguo, sono i toni censori di chi vorrebbe impartire lezioni di moralità nei confronti dei compagni imputati di pedofilia e reati connessi. Chi la coscienza e la fedina penale sporca, seppur per crimini di diversa entità e gravità, non può ergersi sullo scranno del giudice implacabile e dispensare insegnamenti di stile di vita. Tutto ciò, sapora di ipocrisia! Se i “detenuti comuni” non manifestano la pur minima pietà e comprensione verso chi, come loro ha sbagliato, potrebbe sorgere il sospetto che le molteplici attività ludiche, artistiche e creative tanto pubblicizzate dagli stessi detenuti attraverso i media italiani (solitamente lettere ai giornali), altro non siano che tentativi “pelosi” di trasmettere all’opinione pubblica un’immagine di cambiamento e rinsavimento, che però nella realtà non esiste! Chi non sa, non si dice perdonare, ma capire un proprio simile (soprattutto di cella), difficilmente può reclamare indulti o amnistie, e magari pretendere il perdono della maggioranza dei cittadini onesti.
Gianni Toffali