La pari opportunità sul luogo di lavoro resta ancora un sogno per le donne

Discriminazione femminile = discriminazione umana

Leggo dal
Corriere della Sera del 17 maggio scorso la seguente notizia:

“”- La pari opportunità sul luogo di lavoro resta ancora un
sogno per le donne Italiane.

Le nostre connazionali restano infatti tra le più discriminate
del mondo, rispetto agli uomini, nella partecipazione al lavoro
e nella vita sociale.

Meglio sono addirittura le donne dello Zimbabwe, la thailandesi
e le sudafricane, mentre ci superano in peggio la Grecia, la
Turchia e l’Egitto.

E’ quanto emerge da uno studio appena pubblicato del World
Economic Forum che ha elaborato la Gender gap Index (indice
delle differenze uomo - donna) da cui, senza alcuna sorpresa,
spiccano in cima alla classifica le donne del Nord Europa: le
Svedesi al primo posto (con un indice del 5,53% in una scala da
1 a 7), seguite da norvegesi, islandesi, danesi e finlandesi.

Le Italiane, con un indice del 3,50 punti, arrivano solo in
45esima posizione all’interno di una classifica di 58 Paesi che
vede ultimi in assoluto Pakistan, Turchia ed Egitto -“”

Quella appena letta non è una notizia che fa onore agli
italiani, anzi…..

A questo proposito mi sono posto alcune domande, tentando di
dare qualche timida risposta:

Perché in Italia permane una tale discriminazione nei confronti
delle donne?

Che cosa impedisce loro di emergere dalla palude in cui si
trovano?

Forse l’eccessivo maschilismo che ancora permea la società
italiana?

Magari l’atavico senso di inferiorità che ancora perdura nelle
donne di fronte alla strafottenza mascolina?

E’ solo pigrizia mentale degli uni e delle altre?

Oppure è forse il “sistema” (economico, politico, sociale), che
costringe l’uomo ad adattarsi ai suoi ritmi e non viceversa?

Se appena si fa mente locale sui contenuti delle varie leggi di
tutela delle donne (le migliori in Europa), sulla protezione
della maternità, sui lavori pesanti e pericolosi, sull’aborto,
sulle pari opportunità, sugli asili nido e ora sulla
fecondazione assistita, e si osservano i riferimenti più
specifici contenuti nei contratti di lavoro delle singole
categorie, non si capisce come mai ci sia ancora questa carenza
nelle presenze femminili al top degli organismi decisionali.

Il fatto in sé è grave e umiliante, sia per le donne che per gli
uomini.

La donna del XXI secolo meriterebbe una serie di interventi
liberatori ben più seri di quanto non sia stato fatto sino ad
oggi.

Anzitutto meriterebbe una attenzione particolare la protezione
della sua salute e della sua fertilità in grado davvero di
andare alle radici dei suoi problemi (che poi sono anche i
problemi dei maschi), sia sul piano biologico e psicologico, che
sul piano degli stili di vita.

Tutelare la dignità umana e della salute della donna significa
pensare ad un progetto sociale di più ampio respiro, più
radicale nella sua azione, che consenta l’evolversi dei suoi
processi naturali nell’età giusta, per esempio consentendole di
diventare madre (se lo desidera) in tempi fisiologicamente più
adeguati, garantendole spazi, modi e mezzi, che le permettano di
realizzare sia un progetto materno – famigliare, sia un
programma di inserimento professionale adeguato alle sue
legittime aspirazioni, senza doversi sottoporre a tempi
stressanti e accelerati o a condizionamenti esterni alla sua
biosfera.

Pensare ad un progetto di tutela integrale della dignità della
donna significa anche affrontare alle radici il problema
dell’inquinamento a cui tutti siamo quotidianamente sottoposti e
che spesso pregiudica, talvolta in modo grave, il delicato
equilibrio della nostra salute, quindi della nostra capacità
riproduttiva, ergo della continuità della specie nel ceppo
comunitario locale, o regionale o nazionale a seconda delle
nostre legittime naturali aspirazioni.

Impera oggi una subcultura che vuole subordinare il diritto alla
procreazione (un figlio spesso rappresenta un ostacolo o un
rischio) a progetti o programmi imposti da leggi cosiddette di
mercato specie quello del lavoro, che spersonalizzano e
abbrutiscono l’uomo, privandolo della sua naturalità e delle sue
aspirazioni spirituali, religiose, politiche e sociali.

Bisogna pensare ad un progetto che in qualche modo corregga la
deriva umana in cui il sistema in cui siamo immersi ci ha fatto
precipitare.

Dovremmo forse fermarci un momento su alcuni fronti. Per esempio
su quello del consumo sfrenato, su quello degli sprechi,
dell’inquinamento. E dovremmo anche riflettere sul senso che
desideriamo dare alla nostra vita e a quella dei nostri
discendenti.

Se fossimo capaci di fare queste piccole, banali, scelte, forse
saremmo in grado di realizzare il contenuto di tanti buoni
propositi scritti nel nostro Ordinamento Generale e mai
concretizzati; di restituire così alle donne la dignità che
meritano e con buon diritto consentire loro di poter
tranquillamente occupare tutti gli spazi e svolgere tutti i
ruoli che vogliono.

Per concludere, una società che non sogna e che non progetta
investimenti sul suo futuro è destinata a soccombere!

Noi non dobbiamo rassegnarci e arrenderci al fato; siamo esseri
umani con una intelligenza e con una coscienza. Usiamole.
Valerio Delle Grave



GdS 30 V 2005 - www.gazzettadisondrio.it

Valerio Dalle Grave
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