Lampedusa: siamo in Italia (e c'é anche un po' di Valtellina!)

di Alberto Frizziero



PREMESSA

Durante l’estate capita spesso leggere sui giornali articoli
di colore su località turistiche. Il giornalista infatti,
anche se in vacanza, resta giornalista, anche con notazioni
soggettive legate alla vacanza e quindi all’esperienza
personale. Non abbiamo la presunzione di ritenere di essere
immuni da questo condizionamento, ma sicuramente, come
riscontrerà il lettore, il taglio di questo “Rapporto da
Lampedusa, estremo sud d’Italia” risulta diverso, forse
anche atipico, perché lo spunto non è venuto solo da un
angolo di Paradiso ma anche, forse soprattutto, dalla gente,
da Italiani d’Africa o quasi visto che il loro parallelo è
molto più a sud persino di Tunisi.


L’ANTEFATTO

La gente, nei posti che si va a visitare, è importante per
capire, magari anche per capirci. E in proposito vale la
pena di raccontare la prima esperienza di questo genere,
fondamentale.

All’inizio dell’Università decidemmo di andare in vacanza
sino a Gibilterra. In Italia e in Francia c’erano fior di
autostrade, in Spagna si stava solo cominciando a farle, la
benzina era così bassa di ottani da far battere in testa il
motore, e talora era difficile trovarla, magari a un
distributore da archeologia industriale con pompa manuale.
Di turisti quasi manco l’ombra: un solo incontro, al sud,
con un’auto italiana di gente di Bologna, e in compenso
prezzi da favola (in un Grand Hotel di Gandia spendemmo meno
di quando avrebbe voluto una bettola italiana!).

Al ritorno scrissi un articolo, probabilmente pubblicato dal
Direttore solo per la fiducia nel suo collaboratore visto
che nessuno lo condivise ritenendo che lo scenario futuro
ivi delineato fosse il frutto di un colpo di quel sole che
specie in Andalusia batteva molto forte con la consolazione
di un vento africano che persino trasformava l’acqua del
mare in una sorta di brodo caldo.

In buona sostanza prevedevo che Franco, allora al potere,
sarebbe morto nel suo letto ancora “Caudillo” di Spagna,
previsione che non sfiorava neppure lontanamente i
politologi di allora.

Fu così. Ma come è possibile che loro sbagliassero
clamorosamente e un ragazzino, o quasi, no? I politologi
ragionavano nel e con il Palazzo. Il ragazzino, o quasi, si
basava su quanto aveva ascoltato dalla gente. A Madrid non
eravamo andati al Prado, a Granada non all’Alhambra, così
come a Parigi il Louvre lo avremmo visitato molti anni dopo.
In compenso avevamo parlato con tantissima gente. Con
seguaci calorosi di Franco, con suoi oppositori, con gente
comune, con persone qualificate. Avevo tratto l’impressione
che Franco non fosse amato, ma che fosse rispettato, anche,
appunto, dai suoi oppositori. Una parola era ricorrente: la
“tranquillidad”. Dopo la sanguinosa tragedia della guerra
civile Franco era quello che aveva riportato la “tranquillidad”,
la cosa più importante, persino più importante di valori
come democrazia, libertà e simili, tanto più che avemmo
l’impressione di una situazione atipica. L’impressione si
consolidò nel tempo. C’erano in Università molti spagnoli.
Un Grande di Spagna, il nipote di chi ospitava, quando
andava a Valencia, la Regina Madre, altri che non tornavano
a casa perché oppositori cresciuti. Poco alla volta si
delineò il quadro, sinteticamente delineato in quel primo
incontro in terra iberica. Franco infatti, al contrario di
Tito che aveva assoluta fiducia, per il dopo, nel Partito,
sapeva che senza di lui la Falange non avrebbe retto.
Diffidava, come i Falangisti, dell’unica forza reale, l’Opus
Dei (che prenderà sì il potere ma con lo stop violento
allorché il suo leader, divenuto leader del Paese,
l’ammiraglio Carrero Blanco salterà in aria in pieno centro
di Madrid). Franco aveva puntato, per l’unità nazionale, sul
re. E Juan Carlos, che da Re studiò nel posto migliore
possibile, dove l’umanità e il valore della gente lo si
respira ogni giorno, quantomeno assai di più che in altri
Paesi, e cioè in Italia, a Roma, ha dimostrato di avere
messo a frutto i suoi “studi”. Egli rappresenta oggi l’unità
nazionale più di qualsiasi altro monarca nel mondo, avendo
quasi subito dimostrato, in occasione del tentato golpe del
capitan Tersero (ma con forti mandanti alle spalle) la sua
statura, meritando l’appoggio popolare.

Il ragazzino, o quasi, aveva visto giusto, ma aveva anche
imparato non dimenticandosene mai nel tempo che sarebbe
venuto, sino ad oggi.

Perdoneranno i lettori questo excursus davvero lunghissimo,
svolto per far capire taglio e angolo visuale nel momento
che ci accingiamo a riportare qualche impressione sul punto
più meridionale d’Italia, così lontano come neppure
immaginavamo, fiduciosi nei ricordi scolastici di geografia,
dimostratisi fallaci. Fallaci come tante valutazioni che si
fanno, qui al Nord, o all’estremo Nord, su una Regione così
splendida, oltre che ricca di storia e cultura – ingredienti
essenziali dei cromosomi di chi vi è nato – come è la
Sicilia, distantissima da quell’abusato cliché, “mafia e
spaghetti”, così ricorrente all’estero ma non assente
neppure nel nostro Paese.

Come in quell’avventura in terra iberica così in questa
vacanza, scelta quasi per caso, navigando in Internet, anche
questa volta ci siamo affidati, con un po’ più di esperienza
rispetto ad allora, ad una serie di colloqui, non importa
dove, magari anche con il comandante mentre in motobarca si
girava l’isola, su mille argomenti di vita quotidiana, di
riscontri passati, di anticipazioni del domani.


RAPPORTO DA LAMPEDUSA


E chi penserebbe che Lampedusa è 200 km sotto la Sicilia, al
punto che per raggiungerla il traghetto impiega otto ore,
più di quanto non occorra per andare da Genova in Corsica, e
che per raggiungere Palermo occorrano 45 minuti di volo, un
tempo di poco inferiore a quello che impiega un aereo per
arrivare a Roma da Milano?

E chi penserebbe che i bambini dei Lampedusani nascono a
centinaia di Km di distanza, a Palermo, sede dell’USL che ha
giurisdizione sull’isola, nella quale esiste una struttura
sanitaria ma non ospedaliera? E che la gente che ha bisogno
di ricovero deve essere portata là? E che i familiari devono
spendere cifre ingenti per assistere i congiunti, per
l’aereo, l’albergo e quant’altro? E che per sbrigare una
pratica nel capoluogo di provincia, Agrigento, devono
prendere il traghetto per Porto Empedocle alle 10 del
mattino per arrivare alle sei di sera, andare in albergo,
sbrigare le faccende il giorno dopo, riprendere il traghetto
a mezzanotte per essere a casa alle otto del mattino?

E che per tante cose, alimentari compresi nonché in parte
anche per l’acqua potabile essa pure in arrivo per nave, si
deve dipendere dai rifornimenti che provengono dalla
Sicilia?

Lampedusa è un posto speciale per i turisti. E’ il Paradiso
dei sub. E’ il Paradiso degli amanti della natura, sia
perché le tartarughe hanno scelto una sua spiaggia, quella
detta “dei conigli” per depositare le uova dalle quali
usciranno, un paio di mesi dopo, un centinaio di piccole
tartarughe molte delle quali sarebbero il cibo dei gabbiani
se non ci fossero i volontari di Legambiente a tenerli
lontani, sia per il Centro di Ricerche sui delfini. Fondali
affascinanti sulla parte nord, una decina di Km di scogliera
alta con piccole insenature, grotte, scogli. Cale in serie
sulla parte sud e sud-est con spiagge di sabbia bianca
(bianchissima quella dell’ampia Spiaggia dei Conigli, con
l’isola omonima, dai colori tipici dei Caraibi. Posto di
osservazione, dalla parte del faro, anche, in certi periodi
dell’anno, per il passaggio dei capodogli, mastodonti del
mare con il loro soffio caratteristico.

Posto speciale dunque per turisti ma c’è chi, circa seimila
persone, che non si ferma lì solo la settimana, o i
quindici-venti giorni o magari anche il mese se ha lì la
seconda casa. C’è chi lì deve starci 365 giorni all’anno
(qualcosa meno per i pochi che riescono ad evadere per
10-15-20 giorni).

Com’è dunque questa gente? Si ricordi cosa dicevamo
all’inizio, quello cioè che si impara parlando con la gente,
cercando di cogliere gli stati d’animo, che sono il vero e
genuino specchio di una situazione di vita.

E così diremo di Cosimo, di Pietro, di Jerry 1, di Jerry 2,
dei gentilissimi proprietari dell’appartamento affittato
(lei conduce l’unico fotostudio dell’isola, lui panettiere,
le splendide bimbe gentilissime), di Angela, leader, nel
Comune più a Sud d’Italia, della Lega Nord (20,2% alle
ultime elezioni comunali), citando anche, en passant, due
valtellinesi, uno autentico, l’altro di adozione. Già perché
appena sceso dall’aereo, percorsi i 30 metri che separano
dalla piccola aerostazione per recuperare il bagaglio, che
lì arriva subito, mi sento chiamare “Frizziero!” E’ un
sondriese trapiantato là, e ne parleremo. Così come il fatto
che tutti conoscano Sondrio per via di quell’illustre
valtellinese di adozione, il dr. Magi, che lì ha da anni una
casa e che si è fatto benvolere da tutti.


AVVENTURE E
DISAVVENTURE


Appena arrivati, subito puntata alla Spiaggia dei Conigli e
occhiata alla villa di Modugno, inserita benissimo
nell’ambiente, ove nacque “Nel blu dipinto di blu”, ma non
solo quella. Non ricordano con simpatia il grande artista i
Lampedusani e ci spiegano perché. Per rispetto ad un defunto
e in ricordo della sua grande musica sorvoliamo. Torniamo a
noi. Scendere, e poi salire!, giù alla spiaggia è impresa da
quasi-montanari ma il gioco vale la candela anche quando il
sole picchia forte. Siamo in una riserva curata da
Legambiente. Appena sistemato l’armamentario di maschere,
pinne, asciugamani un ragazzo – stiamo fumando – ci viene a
chiedere se abbiamo il portacenere. Domanda singolare, ma
poi, pensandoci su, riconosciamo che hanno ragione. Spiaggia
pulitissima, fondo del mare senza una carta, una plastica,
nulla. Fondale basso tanto che bisogna andare verso l’isola
o oltre, in direzione della Tabaccara, perché la profondità
aumenti e si possa gustare la bellezza del fondo.
Organizzazione inappuntabile, compreso il servizio di
ombrelloni, sdraio, panini, bibite, gelati. E anche di
soccorso (in un pomeriggio abbiamo contato tre interventi,
uno dei quali via mare con l’arrivo della Guardia Costiera.
Gli imprudenti, anche in fatto di attenzione a sole e caldo,
riflesso dalle rocce circostanti, sono un dato statistico.

L’indomani incontro con una disavventura. Dopo una
ricognizione fra molte delle belle cale arriviamo alla Cala
Pisana, preferita dai locali. Lì c’è il dissalatore da cui
esce un getto d’acqua ricco di sale, e il galleggiamento
migliora. Spiaggia, poco affollata, banchina per i tuffi un
po’ oltre. C’è un chiosco che un cartello avvisa “soggetto a
sequestro penale”. La curiosità è femmina, dicono, ma non è
vero. Ci facciamo dire dal proprietario che prende la
pratica e ci fa vedere. Non è affatto il solito abuso
edilizio come si potrebbe pensare. Domanda, documenti
dell’iter ecc. Nella sostanza tutto in regola. Un peccato
formale. Il Comune aveva dato il suo OK condizionato al
parere favorevole della Soprintendenza, che è, come detto, a
otto ore di traghetto. Il parere era positivo e il
proprietario il chiosco lo ha montato. Il pezzo di carta, la
formalità, non c’era ancora. La lettera da Agrigento è
arrivata quattro giorni dopo. E quindi il sequestro, pratica
ex novo dall’esito ovviamente positivo ma spese per tornare
ad Agrigento, viaggio, albergo ecc., e intanto settimane
perse e poi attesa del dissequestro.

Quando ci occupavamo di queste cose, anche a livello
nazionale, siamo sempre stati molto rigorosi ma c’è un
limite ed è quello sintetizzato dal detto latino “summum jus
summa iniuria”.

Il proprietario, ancora giovanile, ha fatto anni di pesca e
fino in Sud Africa e molte altre esperienze. Quella spiaggia
l’ha pulita e sistemata lui e la tiene in ordine. Svolge un
servizio utile ai bagnanti, toilette compresa. Aggiungerò,
visto che, provocato, ha mostrato quello che sa fare,
aiutato da Jerry uno, alla sera pizzaiolo, che i suoi sughi
per la pasta, sempre diversi e “con le verdure del mio
orto”, compreso un basilico formidabile con un profumo
esplosivo, meritano il sacrificio di un paio d’ore senza
scendere in acqua!

La simpatia è di famiglia. Per il giro dell’isola, dalla
mattina alla sera, pranzo a bordo e con un costo modesto (20
€ a testa), scegliamo la motobarca del fratello. Due ponti,
una ventina a bordo. Noi di sopra, al sole, a parlare con
lui mentre pilota, almeno quando si viaggia perché appena
buttata l’ancora, in quattro successivi e suggestivi punti
sotto la scogliera di oltre 100 metri, tutti in mare fra i
pesci e, in un punto, sopra un piroscafo affondato perché
nella nebbia è andato diritto e a tutta forza, a cozzare
contro l’isola. Anche da lui il racconto di lavori lontano e
della vita nell’isola. Si arrabbia, ed ha ragione, quando
passando vicino ad una grotta si vede che qualcuno, arrivato
lì nel solo modo possibile e cioè in barca, ha lasciato una
bottiglietta di birra. Si sa che le madri degli imbecilli
sono sempre in cinta…

Ma c’è anche Jerry due. Fermandoci alla Cala Francese, ove
vengono riportate in acqua le tartarughe ferite e curate, ci
dà l’ombrellone e le sdraio. Appena rientrati dalla, prima,
lunga nuotata ci vediamo rivolgere l’invito, a noi come agli
altri presenti in spiaggia, ad andare a mangiare il pesce.
Offre lui, unitamente ad un ottimo vino siciliano. Non è
della famiglia di cui avanti, ma la simpatia è la stessa. E
siccome ha un furgone di quelli attrezzati con cucina e
altro lo ritroviamo la sera, in fondo alla via del
passeggio, Via Roma, dove c’è il balcone sul porto. Ci sono
molti di quelli che hanno gustato il pesce. Anche da lui
altri scampoli della vita da isolani.

Ma altri ancora, trovati alla Cala Pisana. Il pescatore che,
uno degli ultimi giorni, arriva soddisfatto dell’esito della
pesca: un tonno di 250 kg, così pesante da richiedere due
ore di travaglio per caricarlo a bordo del peschereccio.
L’omone, forse Piero di nome, con superlativi baffi bianchi
e il berretto da ufficiale di marina con la scritta “Captain”,
che fra l’altro ci racconta i suoi 15 anni di lavoro in
edilizia ad Auxerre. Anche lui, quando parla di “noi
Lampedusani”, sprizza orgoglio da tutti i pori. Orgoglio con
connotazione positiva, da tradurre nel termine “grande
dignità”.


SIAMO IN ITALIA


Siamo quasi in Africa. La “Punta Sottile”, all’estremità
sud-orientale dell’isola, piena di gabbiani, è il punto più
meridionale d’Europa, assai più a sud di Tunisi.

Ma siamo, ci sentiamo, in Italia, nel senso più vero e
profondo del termine.

Tanto che, iniziate a scrivere queste note, via via abbiamo
dilagato. Era giusto così. E non abbiamo ancora finito. Per
non far diventare quest’articolo un romanzo degli altri
nostri protagonisti parleremo nel prossimo numero.
Alberto Frizziero


GdS 28 VII 03  www.gazzettadisondrio.it

Alberto Frizziero
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