«Fazione» o «Nazione»? A noi la scelta!

Circoscrivere, focalizzare e
comprendere le innegabili differenze etimologiche e la
profonda antinomia formale e sostanziale che intercorrono
tra il concetto di «Fazione» e quello di «Nazione», sembra -
a prima vista - un esercizio abbastanza ovvio e
lapalissiano. Eppure, la maggior parte di noi, nella pratica
quotidiana - spesso senza volerlo, sovente senza saperlo ed,
in certi casi, addirittura senza nemmeno riuscire ad
accorgersene o a sospettarlo! - continua il più delle volte
a confonderli, fraintenderli o equivocarli.


Diciamo che siamo frequentemente “fonte” e “veicolo” di
quella paradossale ed incontrollata tendenza, poiché -
irrefrenabilmente spronati e distratti dall’innato e
congenito egoismo e dall’istintivo e spontaneo egocentrismo
che, in generale, albergano all’interno della nostra natura
- siamo portati falsamente a credere di essere, in ogni
occasione e circostanza, gli unici depositari assoluti e
privilegiati della “verità” tout court. Ivi compreso,
dell’insieme delle “verità” che usualmente sono
individualmente e collettivamente espresse e/o manifestate
da coloro che, come noi, in quello stesso momento, vivono,
operano, agiscono e/o interagiscono all’interno di un
identico gruppo umano e/o di una medesima società!


Com’è agevole e perspicuo riuscire ad intuirlo o a dedurlo,
è certamente più semplice e più facile - a partire
esclusivamente da sé stessi, dai propri punti di vista,
dalle proprie specifiche sensibilità e predisposizioni,
nonché dalle proprie ed esclusive capacità di valutazione,
di discernimento e di giudizio - distinguere, evidenziare ed
inquadrare le problematiche che normalmente assillano e
travagliano l’uomo, la società ed il mondo. Ed è ugualmente
ed indubbiamente più semplice e più facile immaginare,
formulare o proporre delle soluzioni alle suddette
problematiche, facendo unicamente riferimento alla propria
ed esclusiva determinazione, deliberazione e risoluzione. Ma
questo - com’è altresì palese ed elementare riuscire a
poterlo arguire o desumere - è semplicemente infantilismo o
banale puerilità.


E’ il bambino, infatti - e non certo l’uomo adulto, in
generale più equilibrato ed assennato - che pensa che la
totalità dei giocattoli del mondo sia stata inventata,
prodotta e diffusa, solamente per il suo unico ed intrinseco
appagamento e/o per la sua mera e specifica soddisfazione o
felicità. E’ il fanciullo che - quasi sempre - è fermamente
ed unilateralmente convinto che il mondo esista e si dipani
intorno alla sua esistenza, esclusivamente in sua funzione,
ed unicamente per rendere servizio o agevolazione ad ogni
sua singolare o eccentrica stravaganza. E’ l’immaturo che -
invariabilmente - crede che siano sempre gli “altri” a
sbagliare e ad avere sistematicamente torto, mentre lui - in
ogni sua possibile ed immaginabile manifestazione - ha
sempre ed inevitabilmente ragione. Ragione - in certi casi -
perfino di avere avuto preventivamente torto e/o di essersi,
magari, volontariamente o accidentalmente sbagliato!


Queste, in ogni caso, sembrano essere le usuali o ordinarie
«tendenze», «tare» e/o «handicap» che emergono dallo studio
dell’essere, dell’esistere e dell’agire della quasi totalità
delle «Fazioni» ideologiche, politiche, economiche, sociali,
culturali e religiose del nostro tempo. In particolare, di
quelle che - privilegiando normalmente il dogma o il
pensiero unico, ed ignorando volontariamente o
involontariamente la dinamica societaria ed il contesto
storico (ma ugualmente, le reali aspirazioni e gli effettivi
gli aneliti) da cui i diversi e variegati sistemi di idee e
di pensiero che si tende a privilegiare sono comunque
scaturiti - cristallizzano un compendio specifico o
particolareggiato (o soltanto qualche “frammento”)
dell’esperienza iniziale alla quale si riferiscono e tentano
caparbiamente ed irrazionalmente di estrapolarlo e di
trasporlo, immutato ed immutabile, nel presente di una
cornice epocale e circostanziale completamente differente.



Quell’epitome o quella frazione d’esperienza, inoltre,
essendo semplicemente l’immagine soggettiva ed arbitraria
che ogni successivo adepto di un determinato sistema di idee
e di pensiero è riuscito fino a quel momento a cogliere,
interpretare e/o interiorizzare, è inevitabile che le
«Fazioni» di cui sopra, si riducano - per tentare di essere,
di esistere e di agire - a porre puerilmente al centro della
loro visione ideologica e della loro prassi politica,
l’esclusiva e personale esegesi o decifrazione di chi sta
tentando, in prima persona, in quello stesso istante, di
tramandare e/o di perpetuare nel tempo, la sua sintesi o un
suo qualsiasi stralcio dell’originario sistema di idee o di
pensiero.


Come se non bastasse, le medesime «Fazioni» hanno ugualmente
tendenza a mettere bambinescamente al centro della loro
struttura associativa ed organizzativa, la preventiva e
pregiudiziale identificazione dell’adepto con il capo o il
leader pro-tempore. Questo, naturalmente, senza contare
l’imitazione gestuale o comportamentale di quest’ultimo e/o
l’assoluta ed indiscutibile applicazione letterale o
testuale dei suoi detti o dei suoi scritti.


Dimenticando il quot homines tot sententiae dell’ancestrale
saggezza latina, ed obliando altresì che nessuno di noi - in
nessun caso e per nessuna ragione - può essere,
rappresentare o divenire realmente il “modello” di nessun
altro uomo (essendo ognuno di noi, volens, nolens,
fatalmente ed infallantemente unico, originale ed
irripetibile!), diventa ineluttabile che le «Fazioni» del
nostro tempo tendano immancabilmente a produrre e/o a
riprodurre dei sodalizi statici, ristagnanti ed inoperanti.
Delle congregazioni “blindate” e fini a se stesse. Delle
conventiones ad excludendum. E, nel migliore dei casi, delle
sette di disciplinati ed attoniti “pappagalli” che - al
massimo - manifestano la scimmiesca qualità di ripetere a
menadito la “lezione” proposta o imposta dal capo o dal
leader pro-tempore della loro associazione.


In altre parole, le «Fazioni» del nostro tempo - lontano
dall’essere l’elemento dinamico ed evolutivo di una
qualunque dialettica societaria che potrebbe sfociare, in
caso di bisogno o di necessità, in una qualsiasi
coincidentia oppositorum ad esclusivo vantaggio e tornaconto
dell’intera «Nazione» - sono semplicemente dei “cani che si
mordono la coda”. Oppure, se si preferisce, delle vere e
proprie “isole d’infantilismo” e di “bambinesca ottusità”.



Le strutture di quei “bunker di cartapesta”, infatti -
pretendendo essere (ognuna per suo conto e le une nei
confronti delle altre e viceversa) le uniche depositarie e
portatrici assolute ed indiscutibili della “verità”
tout-court (o del solo interesse immediato di chi le
dirige?) - si limitano esclusivamente a fare “muro” contro
“muro”, senza mai apportare nulla di dinamico, di dialettico
e di costruttivo al cantiere della comune «Nazione»: quella
realtà vivente ed operante, cioè, che - oltre a
rappresentare il privilegiato luogo geografico delle loro
sterili, inutili e contraddittorie dispute - dovrebbe in
tutti i casi impersonare o simboleggiare il principale scopo
e la primaria ed inalienabile finalità del loro modo di
essere, di esistere e di agire.


Sic stantibus rebus, inutile sbalordirsi se, nel nostro
tempo, nonostante che coloro che si oppongono all’arroganza
statunitense ed israeliana, al mondialismo imperante,
all’annichilimento globalista degli equilibri sociali, alle
classi dirigenti corrotte che governano i nostri paesi per
conto terzi (essendo totalmente asservite a degli interessi
che nulla hanno a che vedere con l’interesse generale delle
nostre società) o alla distruzione verticale, orizzontale ed
obliqua dell’originalità e dell’identità dei nostri popoli e
della nostra civiltà, rappresentino in definitiva la
maggioranza delle popolazioni dei nostri paesi, queste
ultime - a causa dell’ostacolante presenza delle suddette
«Fazioni» - non riescono mai a trovare un qualsiasi minimo
comune denominatore che permetterebbe loro di trasformarsi
in un incontenibile e travolgente movimento di popolo che
sarebbe in condizione - in qualche ora o qualche giorno - di
scrollarsi di dosso le avvilenti e degradanti catene della
schiavitù collettiva che, tutti insieme (qualunque possano
essere le nostre particolari sensibilità o predisposizioni
ideologiche, politiche, economiche, sociali, culturali e
religiose), continuiamo drammaticamente e supinamente a
sopportare e subire da più di 58 anni.


Superfluo sottolinearlo: quel minimo comune denominatore,
liberatorio per tutti, le diverse «Fazioni» cosiddette
antagoniste del nostro periodo storico, non solo non lo
vogliono trovare, ma - in realtà - non tentano nemmeno di
ricercarlo!


Se avessero voluto sinceramente investigarlo ed
individuarlo, infatti, lo avrebbero senz’altro scovato gia
da un pezzo… Non dico, per scatenare una rivoluzione
generalizzata, strutturare un fronte di liberazione
nazionale o mettere a punto un’irresistibile e risolutiva
alleanza elettorale, ma quantomeno per organizzare
un’innocua, goliardica, aperta, doverosa ed opportuna
manifestazione di protesta, contro la vomitevole,
obbrobriosa, riprovevole, sanguinosa ed illegale occupazione
militare dell’Iraq da parte degli Stati Uniti. Occupazione
che se riuscirà a durare ed a stabilizzarsi nel tempo,
segnerà definitivamente il tramonto - non solo della
libertà, dell’indipendenza, dell’autodeterminazione e della
sovranità politica, economica, culturale e militare
dell’eroico e, fino ad ora, martirizzato ed inascoltato
popolo iracheno, ma - di ogni possibile ed immaginabile
libertà, indipendenza, autodeterminazione e sovranità
politica, economica, culturale e militare, per l’insieme dei
Popoli e delle Nazioni del mondo!


Per quale ragione, allora, ed in nome di che cosa,
continuare a riporre la nostra ingenua e beffata fiducia nei
confronti delle succitate «Fazioni»?


In modo particolare, quando si arriva tristemente a
constatare che queste ultime, invece di mettere
momentaneamente e saggiamente da parte le rispettive
differenze ideologiche, politiche e pratiche, unirsi
sull’essenziale e sbaragliare rapidamente e facilmente i
comuni oppressori, preferiscono reciprocamente ostracizzarsi
e mutuamente escludersi, con veti, denunce, bocciature,
rifiuti, “sgambetti”, polemiche ed anatemi incrociati,
favorendo così, come al solito, il risaputo e proverbiale
“terzo incomodo” di ogni tragedia: chi continua, cioè, da
più di mezzo secolo, a farsi un grande diletto e ad avere un
immenso piacere, a tenerci - tutti - relegati e
neutralizzati all’interno della medesima, inamovibile,
insormontabile ed inesorabile “gabbia”!

Alberto B. Mariantoni



GdS 18 XI 03  www.gazzettadisondrio.it

Alberto B. Mariantoni
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