Tradizioni di Valtellina: la merla, li toli, l'urs del Del Felice, ciamà l'erba, sunà da mars
Sono appena trascorsi i 3 giorni della merla (29, 30, 31 gennaio; per alcuni invece un giorno di differenza: dal 30 al 1.2. Conosciuta da tempo memorabile la leggenda della merla con i tre piccoli, tutti dal piumaggio bianchissimo diventato nerissimo, come da allora tutti i merli, per il nerofumo dopo che per ripararsi dal freddo avevano cercato e trovato rifugio in un camino. Faceva freddo, troppo freddo come fu da allora per tutti in quei tre gioni.
Il flop
Per tutti? No. Quelli che avrebbero dovuto essere i giorni più freddi quest'anno hanno concluso il loro triduo con un flop eccezionale. Come a memoria non si ricorda a Sondrio pioveva. Nell'archivio i ricordi dei meno, meno, meno (anche meno 15 sul limedone vicino all'Adda) e di quei crostoni di ghiaccio in margine alle strade, piena la Piazza Garibaldi, che si autosmantellavano con difficoltà tanto che in qualche anno vivevano ancora, pur in parte esausti, a maggio. A Sondrio ma non solo. Se in alta quota sono arrivati, e non è finita, metri di neve, e sta anche nevicando, vuol dire che sono anche lassù giorni della merla, come si suol dire, dell'ella. E perchè mai? Se ha nevicato, e continua, vuol dire che anche lassù la temperatura è molto più elevata del solito, intorno a zero gradi. Una sberla alla tradizione.
Ma ci sono le altre dopo “i dì de la merla”.
“Tira li toli”
A Tirano nei secoli hanno trovato il modo di fare, senza volerlo, la raccolta differenziata. Barattoli, altri contenitori metallici e cose simili non venivano buttati via ma ammucchiati. Dovevano servire, legati tutti insieme e trascinati per le pubbliche vie, a fare un fracasso talmente forte da svegliare chi dormiva con un sonno profondo da mesi. Per alcuni l'orso in letargo nella sua tana, per altri la primavera dormiente in un non bene precisato giaciglio.
Il sito Valtellina così illustra l'evento: “Il 31 gennaio a Tirano appuntamento con l'antica e un po' chiassosa tradizione locale che trae le sue origini dal mondo agricolo. In questa serata la cittadina saluta l’inverno ed i ragazzi girano per il paese trascinando tolle di vario genere, dalla classica fila di lattine alle tolle più grosse come quelle degli imbianchini; non c’è limite alla fantasia purchè facciano il più baccano possibile, esprimendo così esultanza per la fine del periodo più freddo dell’inverno. Queste lunghe file di latte e barattoli (toli in dialetto) vengono trainate gridando la tradizionale frase dialettale " L’è fò ginée, l’è int febbrèe le fò l’urs da la tana ", si vuole risvegliare l’orso ed avvertirlo che l’inverno è ormai finito”.
S'è svegliato
Ci arriva dal tempo passato: "L’è fò ginée, l’è int febbrèe le fò l’urs da la tana", confermato da un secondo arrivo: “ L'è fòo l'urs el duu de fébrèe”. Si tratta di tradizioni che riguardano le popolazioni radicate sul versante orobico perchè era quello preferito dai plantigradi con una certa diffusione estintasi ai primi del '900. Si faceva cioè coincidere il risveglio dell'orso con la messa alle spalle del periodo gelato. Non ancora un anticipo di primavera ma, in un certo senso, addio all'inverno.
La Candelora
Il due febbraio data importante anche per la Chiesa che ricorda la presentazione di Gesù al Tempio con la benedizione delle candele 'il Cristo fonte di luce' il che comunque è il volgere lo sguardo avanti, inverno alle spalle, primavera in arrivo, così come era per una precedente festa celtica.
Il meteo
Questi giorni allora erano anche una sorta di meteo che non poteva affidarsi ai satelliti ma si basava sulla esperienza diretta delle popolazioni di questa o quella località. Di qui citazioni, poesie, filastrocche che secondo come erano stati i giorni della merla vaticinavano le settimane a venire. Fra le tante ricordiamo la più sintetica secondo la quale a giorni della merla freddi corrispondeva un arrivo anticipato della primavera che invece se la sarebbe presa comoda se il freddo non fosse stato così rigido. Visto come sono andate le cose quest'anno, se la regola è valida altro che primavera il 21 marzo! Più facile il 21 giugno. E in tal caso l'estate? La saggezza popolare non ci dice niente al riguardo; allora le cose erano molto diverse. Per esempio a Sondrio passavano settimane e settimane senza quella pioggia che ha scelto di arrivare all'Immacolata, a Natale e così via profanando dunque “i dì de la merla”.
E adesso "ciamà l'erba".
La tradizione ci invita a guardare ad un altro appuntamento, quello del chiamare l'erba perchè venga fuori in fretta. Scrive, al proposito, Giuseppina Lombardini, in "Costumi e proverbi valtellinesi", 1926, (Ristampa per l'Archivio del Centro di Studi Alpini di Isolaccia Valdidentro, 2002 – Massimo Dei Cas): "Marzo... è la festa dei prati, dove l'erba verdeggia molle e tenera per aderire all'invito dei ragazzi che l'hanno chiamata a calendi marzo, con un concerto di rustici strumenti e grida di giubilo. Gli eroi di questa festa gentile si chiamano i “marziröi” e, siccome tutti i salmi finiscono in gloria, anch'essi concludono l'impresa col fermarsi nelle case a chiedere qualcosa per far merenda, cantando: Marsin, marsèt incinem ul me sakèt.
Da citare però, vanto degli aprichesi, il 'Sunà da Mars' cugino de li toli tiranesi ma fatto con strumenti musicali, campanacci, bronze per provocare tale frastuono da svegliare per forza primavera, erba, e naturalmente anche le attenzioni d'un genere per l'altro.
Cultura
Tradizioni proprie di una civiltà contadina e di un tempo che pare lontanissimo anche se in realtà ancora vicino. Tradizioni che comunque costituiscono un patrimonio che va quantomeno conservato e fatto conoscere per evitare che nel cancellare il passato venga meno quella sorta di cinghia di trasmissione, per usare nomenclatura tecnica, che ha l'uomo grande, il soffio dello spirito.
a.f.