ARGOMENTI PROPOSTI DA Mario PULIMANTI:: 1) NINO MANFREDI 2) LA FESTA DELLA LIBERAZIONE 3) PRIMO MAGGIO

1) NINO

E’ un pomeriggio di primavera. Entro in Chiesa. Pochissimi fedeli. Qualche donna tuttavia c’è: anziane o vedove, quelle che frequentano assiduamente tutte le funzioni a qualsiasi ora, sempre decorosamente vestite di nero, veri pilastri della Chiesa. Verrà il giorno in cui tutto sarà chiaro. E allora sapremo, mentre adesso crediamo soltanto di sapere. Vabbè: esco dalla Chiesa e me torno risoluto a casa mia. Entrando lascio mia moglie a guardarmi con espressione profondamente pensierosa, dopo che le ho detto il motivo per cui ho fatto tardi. Ceniamo. Quand’abbiamo finito usciamo sul balcone. Ci gustiamo una splendida serata romano-lidense. Forse è il clima gradevole, forse il vinello sabino che ci siamo portati da Collevecchio, forse il fatto che siamo abbonati al teatro di Ostia che porta il suo nome, ma ad un certo punto ci viene spontaneo canticchiare il ritornello di “Tanto pè canta” del grande Nino. Sì, proprio lui, Nino Manfredi. Non finiremo mai di ringraziarlo per la sua arte e per aver scelto Roma come sua città. È vero che ci restano i suoi film, ma da quando non c’è più ci sentiamo più soli, senza di lui. Con lui se n'è andata una generazione di grandissimi artisti. Nonostante questo Nino è sempre stato semplice e disponibile con tutti, senza assumere mai aria da divo. Dentro di noi Nino sarà sempre vero Rugantino. Mica sarebbe male se lo Stato si ricordasse di questo grande artista, sia per la sua famiglia che per noi cittadini che lo abbiamo sempre stimato, unico anche ad esprimere disincanto e disillusioni con la sua recitazione e con quel suo inconfondibile sguardo a metà tra l'ironico e il malinconico. Ci manca moltissimo. Troppo! Ah, sì, è vero…vi ho detto la verità. Si è fatto tardi, mia moglie rientra, dopo avermi detto che mi giudica un bambinone viziato. Grande, grosso e bonaccione, ma poca spina dorsale. Ma certamente non un uomo subdolo. Poi, sulla soglia, si volta e, guardandomi con un sorriso abbagliante, mi chiama. Vado da lei. Dove? A dormire. Ciao, Nino!

2) LA FESTA

Stasera di pensieri ce n’è un’insalata. Chiaramente non sono saggio come Marco Aurelio Antonino, imperatore filosofo e valoroso. Non so tenere una conversazione brillante, ma forse un ho pregio ce l’ho: sono abituato a contare solo su di me senza aspettarmi mai favori piovuti dal cielo, come mi aveva insegnato Nonna Jole. Non posso dimenticarmi il suo volto saggio e profumato, gli occhi celesti e i capelli grigi raccolti dietro la testa. Brrr. Mi sento gelare a questi ricordi. Lasciamo stare. Con mia moglie decidiamo di cenare al Reginus di Collevecchio. Tortellini alle noci e Merlot del 2004. Complimenti, Pierangelo! Ma ecco che, riflettendo e rimuginando, a un tratto ci troviamo, ahinoi, coinvolti in mistiche congetture. Nostro malgrado, sia ben chiaro! Ecco, davanti a me vedo il discepolo senza nome vicino a Maria di Cleofa, mentre al suo maestro crocifisso gli viene inferto un colpo di lancia nel petto. Intanto Anna, il sacerdote assassino, ride del Gesù morente sulla croce, insieme a Satana, capo delle forze del male, che perde però la battaglia definitiva quando Cristo, l’Unto, risorge. “Eli, Eli, lemà sabactàni?” Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato? Io, cattolico ciellino, mi servo del dogma per uscire fuori dai miei dubbi razionali. Quindi penso al Corano, che non ha difficoltà nell’esortare a diffondere le sue verità religiosa anche con la forza fisica. E’ facile dire che la nostra arma è la parola. Mi ricordo che alcuni giorni fa ho rivolto queste mie devote perplessità a Stefano, mio fratello. Ricordo anche che lui, sornione, mi ha lanciato un’occhiata stupita, consigliandomi di non fumare troppo pakistano nero. Mah… Cosa avrà voluto dire? Simonetta, mia moglie, interrompe bruscamente le mie divagazioni mistiche, ricordandomi che dopodomani è Festa. E che Festa! Cavolo, il prossimo 25 aprile sarà il 62° anniversario della Liberazione dell’Italia dagli occupanti nazisti. Una pagina importante della storia italiana, che fu scritta grazie ai soldati alleati ma con il contributo determinante degli italiani, partigiani e militari, chiudendo il periodo della dittatura e aprendo la strada alla libertà, alla nascita della Repubblica e alla nuova Costituzione. Certo, la Festa della Liberazione è una giornata per ricordarci che i diritti, il benessere, la libertà dei quali godiamo non sono qualcosa di scontato. Troppa gente se ne dimentica. Non riesco a capire. Eppure molti sono morti per garantirci queste conquiste. Forse il punto è questo: spetta a noi difenderle, tenendole vive nella coscienza e negli atti di ogni giorno. E’ proprio vero: per questo il 25 aprile deve essere veramente una giornata di Festa! Ritorniamo a Ostia, sazi e contenti. Ho deciso, del resto. Dopo questa ottima cena al Reginus di Collevecchio, domani mi rivedrò “Roma città aperta”, il film che racconta una storia ambientata nella Roma del 1944. Un capo della Resistenza, l’ingegner Manfredi, è braccato dai tedeschi. Trova rifugio da Pina, una donna del popolo, vedova con un figlio, che sta per risposarsi con Francesco, un tipografo anche lui legato alla Resistenza. Marcellino, il figlio di Pina, riesce a mettere in contatto l’ingegnere con don Pietro, un prete che ha già collaborato in passato con i partigiani. Quando anche Francesco viene portato via, Pina corre inseguendo il camion, ma una raffica di mitra la uccide sotto gli occhi impietriti della gente e del figlio. Manfredi viene sottoposto a tortura e muore, ma senza parlare; don Pietro, anche lui arrestato, è costretto ad assistere alla scena e maledice gli assassini. Poi, nel piazzale di un forte, don Pietro, fatto sedere su di una sedia, viene fucilato alla schiena sotto gli occhi dei ragazzini della sua parrocchia. E questa è la fine del film. Che bello! Vi piacciono tutte queste ingiustizie? Figuratevi: a me manco per idea.

3) PRIMO MAGGIO

W il primo Maggio 2007. Il mondo ha bisogno di pace e di giustizia per garantire a tutti l’accesso ai diritti umani fondamentali, gestendo il bene pubblico globale attraverso istituzioni internazionali democratiche. Cibo, acqua, giustizia, libertà, pace e lavoro per tutti. Festeggiare il 1 maggio è una scelta simbolica: infatti, il 1 maggio 1886, una grande manifestazione operaia svoltasi a Chicago, era stata repressa nel sangue. Da oltre un secolo questa è una festa di lotta e di impegno civile per tutti: lavoratori, disoccupati ed emarginati. E' diventato un appuntamento anche il tradizionale concerto che i sindacati confederali organizzano in piazza San Giovanni a Roma. Ma mi accorgo solo ora di non essermi ancora presentato. Rimedio subito. Mi chiamo Mario ed abito ad Ostia. Sono un uomo di città, abituato alla minacciosa e benigna cacofonia metropolitana. Tanto che, a volte, le incursioni nel silenzio extraurbano mi innervosiscono. Nessuno sa niente di me. Mi sono tenuto fuori dai radar. Le persone che hanno conosciuto mio padre, affermano che sono il suo ritratto. Lui, il poeta Antonio Valeriano, ha più volte mostrato il proprio coraggio, ma ancora di più ne ha dimostrato nell’ultima battaglia, quella contro la malattia che nel 1992 lo ha ucciso, ma non piegato. Ho sempre fatto tesoro dei suoi consigli. So quando è il tempo di passare all’azione o di starne fuori. Tuttavia ci sono cose che facciamo perché ne abbiamo voglia e altre che facciamo perché ci tocca. Questione di sopravvivenza. E’ scontato dire che lavorare rientra nella seconda categoria. Certo, le mie finanze non sono proprio solide. Tuttavia non ho, per questo motivo, mai avuto problemi mentali o emotivo e non faccio uso di antidepressivi. Porto la fede all’anulare, ho i capelli precocemente argentati e amo prendere la vita con humour e noncuranza. In Ufficio non ho fatto molta strada. Non sono nemmeno rimasto al palo. Non tiro certo a campare ma, non avendo raccomandazioni da sfruttare, dovrei mettere ancora di più l’anima nel mio lavoro. In ogni caso mi sento il sole dentro questa mattina e non solo perché sta arrivando la festa del 1 maggio. Ma ora che succede? All’improvviso ecco che il cuore prende a martellarmi forte e sento una violenta scossa nel ventre. Sarà la fame? No, sto solo pensando a Simonetta, mia moglie. Lei non è una donna qualunque: è bella da togliere il fiato. Quando l’ho vista in volto per la prima volta il respiro mi si è fermato nel petto e non potevo far altro che guardarla. E lei aveva ricambiato lo sguardo. Per questo stiamo insieme dal 1975. A distanza di 32 anni, ancora oggi quando la osservo ho la sensazione che il pavimento sotto i miei piedi si muova, che tremi. Ha due occhi straordinari, di un azzurro intenso, come il fondo di una piscina fresca e limpida. Qualsiasi uomo può perdere la testa o la libertà in due occhi simili. Ed è esattamente quello che è accaduto a me. E’ intelligente, perspicace. Ma adesso basta con queste riflessioni personali. Ora desidero nuovamente rivolgere lo sguardo fuori dalle mura domestiche. Ecco, l’ho fatto. E cosa vedo intorno a me? Liberali, radicali, membri delle minoranze tanto sul piano razziale quanto sull’orientamento sessuale, sostenitori dei programmi sociali, dell’assistenza sanitaria migliore per i poveri, del diritto all’aborto, dei diritti dei gay, dei detenuti, dei lavoratori che giustamente lottano per difendere i loro diritti continuamente messi in pericolo da forze reazionarie più o meno temibili. Non amo i reazionari e detesto gli integralisti. Entrambi da evitare come la peste. Si pensa sempre che gli assolutisti, dogmatici e prepotenti, di qualsiasi colore politico, siano quelli che mettono le bombe negli edifici pubblici, ma quella gente non ha il monopolio quando si tratta di uccidere per i propri principi. Tanto è vero che buona parte del terrorismo risulta essere opera di fanatici religiosi, i soli veri estremisti radicali. Del resto gli eccessi confessionali non li ho mai compresi. Sono robe medievali, che appartengono a culture a noi europei ormai lontane anni luce! Quasi certamente in luoghi così distanti anche le regole del vivere sono diverse, forse ciò che è buono a Roma ed a Firenze non lo è a La Mecca o a Medina, dove gli uomini vedono la realtà secondo il loro modo di intendere e di considerare. Inquietante. Ma sono riflessioni che non mi toccano più di tanto, cose che non racconterò di certo al mio secondogenito Alessandro quando sarà più grande. Forse in quei posti la mancanza di libertà comprime ogni possibilità di progettare. Comunque io, romano “de Ostia”, da cittadino dell’Urbe auspico un ritorno alla riscoperta delle nostre tradizioni. Ma adesso, silenzio! Ho un’idea. Vado a san Giovanni, dove sta per cominciare il concerto del 1 maggio, evento da non perdere per un appassionato di musica come me. Nondimeno ricordiamoci che, musica a parte, dietro a questo concerto c'è un'ideologia importante. Quella della libertà. Da difendere a ogni ora. E non mi si venga a dire che sono un conservatore o un nostalgico baciabibbie. Sono solo un ciellino, forse utopista. Probabilmente un ingenuo sognatore. Buon 1 maggio a tutti!

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