ARGOMENTI PROPOSTI DA Mario PULIMANTI: 1) LAVORO 2) CONCERTO 3) ICI E CORTE 4) SCUOLA

1) LAVORO

Ufficio. Mi piace la mia stanza. E’ luminosa e ha una bella vista sul cortile. Silenzio. Passano alcuni minuti. Lavoro. Mi interrompo. Entra un dirigente. Immagino che lui appartenga alla categoria di persone insicure che iniziano una frase con una risatina e scusandosi per qualcosa. Lui parla e io guardo fuori della finestra. Esco. Dall’altra parte del corridoio, una collega si muove lamentandosi. Per un attimo sostiene il mio sguardo, poi si volta, il viso di pietra. I suoi occhi sono senza luce, vuoti, come sempre. Eppure usufruisce di una indennità integrale che a me spetta solo parzialmente. Cerco di sorridere. Poi un velo di sudore mi copre la fronte e il labbro superiore. Mi fermo. Faccio una pausa, sentendomi un perfetto idiota. Chiudo gli occhi. Ho scoperto che al lavoro sono stato ingannato tante volte. Anche da quelli che credevo amici. O amiche. Scuoto lentamente la testa. Penso: non sono ancora troppo vecchio per incominciare a non farmi sorpassare sul lavoro da colleghi prepotenti e raccomandati. Nella mia famiglia siamo gente malinconica. Troppo spesso ci crogioliamo nell’autocommiserazione. Accettiamo la sconfitta e la sofferenza, come fatti ineluttabili, anzi come necessità. Diciamo, la vita continua. Nel mio caso non si tratta di una resa al fato. Sono pragmatico. Mi sembra di sentire mio padre: “Esiste solo ciò che fai e ciò che non fai”. Mi manca moltissimo. Incontro un collega. Anzi un amico. L’unico che ho in questo ufficio. Apro la bocca per salutarlo, ma ne esce un suono inarticolato. Mi passo la lingua tra le labbra e riprovo. Scuoto di nuovo la testa. “Che cosa vuoi dire, Mario?” La sua voce è forte, quasi un tuono. Sospiro e mia abbandono sulla sedia. C’è una striscia di sole nella sua stanza. “Stanco di tutto”. “Che cosa posso fare, Mario. Dimmelo”. Non so fare altro che fissarmi le mani. “Voglio quello che mi spetta. Voglio il giusto riconoscimento. Reggenze. Incarichi. Voglio tornare a lavorare sorridendo”. Non sa che cosa rispondere né dove guardare. Si gira su un fianco volgendomi la schiena. Rimane in silenzio a lungo. Poi, quando ormai pensavo che si fosse addormentato, dice con voce soffocata. “Sponsor. Santi in paradiso. Servono solo quelli”. Ritorno in stanza. Riprendo a lavorare. Sono stanco. Tanto stanco. Tra me e l’ufficio qualcosa si è spezzato. Quando tempo dovrà passare prima che ritorni a sorridere? Prima che mi fidi nuovamente dei miei colleghi, ammesso che ci riuscirò? Lascio il lavoro e torno a casa. Camminando, abbasso la testa. Inquieto. Durante il viaggio di ritorno penso. Penso al Mercato di Piazza quarto dei mille, vicino a casa mia. Quel labirinto di stradine e vicoli fiancheggiati da file ininterrotte di bancarelle, è intasato di ciclisti, pedoni e dalla troupe di Stefano Locci di Canale 10. Quasi fosse un Bazar di Ankara, vicino agli italiani, molti venditori extracomunitari, avvolti in leggeri drappi di lana vendono paralumi di pergamena, scialli ricamati e recipienti d’ottone. Il mercato e le zone limitrofe sono un guazzabuglio di rumori: alle grida dei venditori si mescola musica napoletana trasmessa a tutto volume, gli scampanellii delle biciclette e lo scalpiccio delle suole dei numerosi passanti. Nel mio naso entrano odori forti, alcuni piacevoli, altri meno, l’aroma speziato delle anguille marinate, che mia moglie e mio figlio Gabriele adorano, misto alle esalazioni pungenti dei motori diesel, alla puzza di spazzatura in putrefazione e di sudore. Pensando, pensando, sono arrivato a casa. Entro. Abbracciando mia moglie, sento il profumo di mela dei suoi capelli. Le bacio l’orecchio. Solo più tardi mi accorgo di sentirmi meglio. Il dolore ha fatto i bagagli e si è allontanato senza neppure avvisare. In silenzio.

2) CONCERTO

Ho cenato pensando alle reggenze e incarichi che in ufficio vengono assegnati a colleghi arroganti e raccomandati. Intanto, su Ostia cade una notte nera, senza stelle. Vado a dormire. Sono passate alcune ore e non mi sono ancora addormentato. Mi alzo. Vado in sala da pranzo. Davanti a me un tavolo ingombro di giornali e riviste spiegazzate. Certo, Gabriele, il grande, non è molto ordinato. Fa caldo. Ho bisogno d’aria. Mi alzo e apro la finestra. Dalla zanzariera entra aria umida e calda che porta odore di mare. Mi costringo a farne una grande riserva, ma l’aria non scaccia il senso di ansia che sento in petto. Dovrò cercare qualche santo in paradiso anch’io? Ricado sulla sedia. Prendo un giornale e lo sfoglio. Non riesco a leggere, non riesco a mettere a fuoco le parole. Lo getto sul tavolino e ritorno a osservare il pavimento. Mi trasferisco in cucina. Osservo un angolo tra il soffitto e le pareti. La mia attenzione è attratta dall’orologio sulla parete. Sono le tre del mattino appena passate, da sedici ore ho finalmente capito che mi è stato interdetto l’accesso alle stanze dei poteri. Anche se nessuno mi ha ancora detto niente. L’ho capito da me. Il mio respiro si è fatto più lento e pesante. Vorrei dormire. Chiudo gli occhi e appoggio la testa sul tavolino. Mi appisolo. Forse, quando risveglierò, scoprirò che tutto ciò che da qualche tempo vado vedendo in ufficio è un sogno: i soldi e gli onori sono arrivati anche a me. Tutto inutile. Più di ogni altra cosa vorrei dimenticare il mio lavoro. Sento ancora chiacchiere, pettegolezzi soffocati, gemiti, sospiri, le porte dell’ascensore che sbattono, un dirigente che impartisce ordini in burocratese. Riapro gli occhi. So che cosa devo fare. Mi guardo attorno, con il cuore che mi batte in petto. Alla mia sinistra c’è il porta-dvd. Lo apro e trovo quello che cerco. Afferro il dvd del Concert al Central Park del 1981 di Simon e Grafunkel e torno in sala da pranzo. Mi fa male la gola e mi bruciano gli occhi, ma non importa. Inserisco il dvd nel lettore. Menre lo vedo, ripenso al concerto che Simon e Garfunkel hanno tenuto al Colosseo. Sì, il 31 luglio 2004, tra la moltitudine di persone accorse ai Fori Imperiali per il primo concerto di Simon & Garfunkel in Italia, c'ero anch'io. Ricordo. E’ stato una grande emozione. Infatti tutto è cominciato e finito con un'emozione, un brivido, una sequenza di note che ti sono entrate dentro, liberando sogni antichi in armonia con il tuo passato, con quello che ora sei diventato anche grazie a loro due: Paul Simon ed Art Garfunkel, che la musica l'hanno davvero amata, nell'arco della loro parabola di vita. Al concerto c’era una folla sterminata. E loro lì davanti a cantare e a regalarci emozioni, mentre alle loro spalle il Colosseo, che sta in piedi da duemila anni, con ostinata bellezza sembrava anche lui perso in quelle struggenti note, rapito anche lui dal “suono del silenzio” dei due menestrelli che, per noi che li amiamo da sempre, sono sempre i Simon ed i Garfunkel del “Concert al Central Park del 1981”, come le loro canzoni, che sono rimaste eternamente giovani nello spirito, nei testi e nella melodia. Del resto loro sono la coppia più famosa nella storia del pop, una delle più note del Novecento e hanno celebrato la loro amicizia lunga quasi 50 anni con il tour di riunione, "Old friends" ("Vecchi amici") che ha preso il nome dalla canzone con cui hanno aperto il concerto al Colosseo. Si è detto molto sul loro sodalizio, i maligni dicono che in realtà abbiano litigato e siano tornati insieme solo per i soldi. Può darsi, ma allora sono dei bravi attori, perché sul palco l'intesa è stata enorme, un inno alla solidarietà umana. Le ultime suggestioni di una notte romana di afa e plenilunio sono state la filastrocca "Cecilia", la lirica "The boxer" e la festosa "The 59th St. Bridge song". Ricordo. Si sono spente le luci, ma non sono taciute le voci. E’ restato nel cuore proprio quell'emozione, che è il principio e la fine di tutto. Torno al letto. Sono le cinque. Mia moglie dorme, non si è accorta di nulla. Arriva il sonno e io mi lascio prendere. Sogno cose che non ricorderò.

3) ICI E CORTE

Ho recentemente letto che la ragione di esistere della Corte Costituzionale sta nel porsi al di là e al di sopra della volontà espressa dalla maggioranza parlamentare. Secondo me questo di ritenere la Corte Costituzionale un parlamento di seconda istanza è un errore. Infatti la Corte, quando giudica, deve senz’altro rispettare la volontà del Parlamento espressa in leggi, ma sembra più che legittimo aspettarsi: 1) che si astenga dallo scrivere le leggi (vedasi quelle “additive”);

2) che si limiti a depennare quelle incostituzionali. Attenzione però, quelle scritte, non quelle: “nella parte in cui non dispone...”, che equivale a cancellare leggi mai scritte e a scrivere leggi mai approvate.

Ritengo, inoltre, che sarebbe meglio conferire il reale valore all'articolo 47, comma 2 della Costituzione Italiana il quale così recita: "Favorisce l'accesso del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione...". Leggendo questo comma si comprende bene come non sia giusto pagare la tassa sulla prima casa. In questo modo molte famiglie, dopo anni di risparmi, si trovano costrette, praticamente, a pagare una tassa sui risparmi.

4) SCUOLA

Negli ultimi tempi televisioni, giornali, riviste e Internet ci hanno raccontato di una scuola in crisi. Notizie e immagini impietose hanno riportato vicende di bulli, di sesso in aula, di droghe. Più che un luogo di educazione, la scuola è sembrata ridotta a un campo di battaglia. Sotto assedio. Tanto è vero che ora si sta insinuando in molti insicurezza e sfiducia verso le strutture scolastiche. D'altra parte è probabile che garantismo, buonismo e tolleranza abbiano peggiorato la situazione. Altroché. Non ci resta che lanciare un'occhiata piena d'angoscia verso la scuola, preoccupati per i nostri figli, che rimangono nell'atrio circondati dai barbari. Bel posto, la scuola italiana! Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

Lavorando al centro di Roma tutte le mattine prendo il trenino nella stazione di Lido Centro. Recentemente è entrata in servizio sulla nostra ferrovia Roma-Lido la “Freccia del mare”. E noi utenti stiamo, ora, cominciando a prendere confidenza con queste nuove vetture, che comunque non sono proprio come le hanno descritte. Non essendoci ancora l’aria condizionata, fa molto caldo dentro i convogli perché i finestrini si aprono a compasso e, specialmente se questi treni sono stati in sosta prolungata nella stazione capolinea della Piramide, è indescrivibile il surriscaldamento delle vetture, ma è ben immaginabile il conseguente disagio per noi sudatissimi pendolari di questi mesi estivi. Ci sono, oltretutto, pochi posti a sedere. Mi hanno detto che la “Freccia del mare” è così chiamata perché doveva garantire corse speciali dirette tra la Piramide (Porta San Paolo) ed Ostia senza fermate intermedie. Invece le fermate sono rimaste le stesse. L’entrata in esercizio della “Freccia del mare” doveva anche ridurre i tempi medi di frequenza sotto i cinque minuti. Anche queste promesse non sono state mantenute. E dire che, aumentare la quantità di servizio e migliorarne il comfort, dovevano essere i due obiettivi primari della Società Met.Ro. Del resto, lo stesso Sindaco Veltroni aveva definita un’operazione strategica importante quella di non acquistare nuovi treni, ma di ristrutturare quelli vecchi. A suo dire un nuovo convoglio della “Freccia del Mare” sarebbe costato 10 milioni di euro, contro i 600.000 euro spesi per la sua rimessa a punto. Addirittura si parlava di collegare la Roma Lido con la linea B, in modo che Roma avrebbe finalmente avuto una vera metropolitana del mare che avrebbe collegato Rebibbia ad Ostia. Come dicevano Mina ed Alberto Lupo: “Parole, parole, parole…

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