INVESTIMENTI NON MUGUGNI

Caro Direttore, ho avuto modo di leggere con molta attenzione il rapporto 2006 diffuso dalla Società di Sviluppo Locale della provincia di Sondrio pubblicizzato anche dal suo giornale.

Il quadro che ne emerge, molto ben argomentato dal presidente Sergio Schena, non è per nulla positivo e tranquillizzante. E’ un quadro che si ripete negli anni da molto, troppo tempo. Imprese troppo piccole, poco inclini all’uso delle nuove tecnologie, con scarsi o quasi nulli contatti con centri di ricerca & università e sofferenti di intenso isolamento.

Come è ragionevolmente ovvio pensare, a soffrire di questa endemica situazione è il mercato del lavoro. Un mercato che non è in grado di offrire occupazioni che rispondono alle aspettative dei lavoratori neo diplomati e neo laureati. Le imprese non riescono a trovare figure professionali con le competenze necessarie, perché manca una strategia connettiva tra domanda di lavoro, formazione professionale e offerta di lavoro. Da sempre, si può affermare, in questa provincia marginale nel sistema produttivo lombardo, è assente una politica di tutela e salvaguardia del Know-How acquisito dalle maestranze espulse dal mercato per cause contingenti. Pubbliche istituzioni e imprenditoria hanno lasciato disperdere competenze ed esperienze acquisite costringendo le migliori risorse umane ad accedere a mercati fuori provincia o all’estero.

Certo, ci sono nobili eccezioni e imprese dotate di spiccate sensibilità sociali alle quali va dato merito, ma per costruire un sistema economico e produttivo solido e in grado di competere sui mercati nazionali e internazionali ci vuole ben altro che incentivi monetari, stampelle, orpelli e favori di casta (elettorale) o di censo (politico). Men che meno servono piagnistei o il vecchio e logoro modo di lanciare anatemi contro questi (lavoratori e sindacati) e quelli (istituzioni e pubblica amministrazione) perché gli affari non vanno bene. Ci vuole ben altro!!

Insomma, nel suo insieme il settore produttivo autoctono è bolso, residuale rispetto al resto della Lombardia, molto assistito, poco dinamico e sofferente di arretratezza.

Vecchi slogans come “piccolo è bello”, adottati più per propaganda politica che per consistenza del messaggio, hanno dimostrato tutta la loro inconsistenza e fallacità. Forse il “piccolo è bello” andava bene ieri, quando il sistema produttivo si stava riorganizzando e ristrutturando poi, però, la mancanza di innovazione di processo e di prodotto, la mancanza di investimenti tecnologici, la scarsa propensione all’associazionismo imprenditivo e la carenza di infrastrutture a sostegno dell’innovazione e della penetrazione nei mercati ha immiserito il sistema.

E’ un problema, questo, che riguarda non solo la provincia di Sondrio ma tutta l’Italia, come dimostra il “rapporto Annuale 2006” della Società Geografica italiana dedicato al ruolo del nostro Paese nell’Unione Europea.

Un solo esempio che riguarda il comparto dei mezzi di trasporto: In Italia, appartenenti a questo settore, ci sono 6.501 aziende che hanno prodotto 61 miliardi di euro;

in Germania le aziende dello stesso comparto sono 3.504 e hanno prodotto 278 miliardi di euro. Analogo discorso e relative proporzioni valgono anche per gli altri comparti (apparecchiature elettriche, apparecchiature meccaniche, alimentare) presi in esame.

Per tornare a noi, vale la pena di analizzare un altro documento uscito in questi ultimi giorni, promosso dalla società di lavoro interinale Adecco ed elaborato da OD&M Consulting, che mette in evidenza tutte le carenze, le differenze e le discrepanze esistenti tra il nostro sistema produttivo e socioeconomico e quello del resto della Lombardia: siamo agli ultimi posti in graduatoria per salari operai, per stipendi degli impiegati e quadri e, udite udite, al primo posto per il compenso dei dirigenti. Questa specie di anomalia, i dirigenti più pagati della Lombardia, presenta delle ambiguità e trova diverse spiegazioni. Le ambiguità si riscontrano nell’anonimato settoriale e categoriale a cui appartengono i dirigenti. In provincia, infatti, risiedono dirigenti che sono a capo di aziende che estendono i loro interessi e produzioni in tutto il territorio italiano e anche all’estero (banche, aziende energetiche, multinazionali, aziende pubbliche e private) i quali fanno lievitare di molto la media (112.000 euro). Una delle spiegazione, invece, a supporto della forte divaricazione tra gli stipendi dei top-managers e quelli dei sottoposti gerarchicamente (operai, impiegati e quadri),

è la forte polverizzazione delle aziende di ogni settore, che permette ai dirigenti ampie possibilità di manovra nei confronti dei sottoposti per difendere al meglio i loro interessi personali, spesso anche a scapito della solidità della azienda che dirigono. Altra spiegazione è la caduta verticale di poli produttivi qualitativamente eccellenti soprattutto nel comparo dei beni strumentali. Ulteriore spiegazione ancora, è la debolezza della strategia sindacale nei confronti di siffatta situazione. Un sindacato con strategie forti, chiare e moderne può essere solo un valore aggiunto e non un freno per lo sviluppo sociale, economico e produttivo del territorio.

Per tornare però al discorso iniziale, ovvero al rapporto della Società di Sviluppo Locale, il quale appunto evidenzia la endemicità dell’apparato produttivo provinciale, il presidente Schena introduce una nota positiva e piena di speranza, con proposte concrete rivolte alle imprese in particolare e anche alle istituzioni. Quindi la nascita del “Polo Tecnologico Provinciale” dovrà aprire i battenti il più presto possibile per innescare più stretti rapporti tra imprese e università e anche con le scuole professionali locali, favorendo percorsi formativi che siano coerenti con i bisogni delle aziende, rispondenti alle aspettative dei giovani e sinergici con un modello di sviluppo socio – economico compatibile con il territorio e in grado di competere con i mercati nazionali e internazionali.

Ovviamente le proposte contenute nel rapporto della Società di Sviluppo Locale hanno bisogno di forti investimenti. Da parte delle istituzioni ma soprattutto da parte delle imprese, le quali devono fare lo sforzo maggiore per recuperare il tempo perduto in lamentazioni e in cerca di inutili orpelli. Gli imprenditori, infine, devono mettere in soffitta per il futuro prossimo quel perverso vezzo della finanziarizzazione degli utili che in buona sostanza non fa altro che sottrarre risorse per gli investimenti nelle aziende, mettendole spesso fuori mercato con inevitabili ricadute sui livelli occupazionali.

Valerio Dalle Grave

Valerio Dalle Grave
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