ARGOMENTI PROPOSTI DA Mario PULIMANTI: 1) GOVERNO 2) E’ MORTO RIGHETTO 3) FIGLI 4) LO SCIOPERO DEGLI STATALI 5) PENSIERI 6) COMA

1) GOVERNO

Panico.

Mi riprendo però subito e rispondo:

come si fa a parlare di scandali e gaffes della precedente legislatura quando l'attuale Governo, oltre a non goder più del consenso popolare -se mai l'ha poi avuto veramente- ogni giorno ci stupisce con decisioni incredibili.

Io al loro posto non avrei più il coraggio di continuare. Preferirei ingoiare un rospo piuttosto che mietere insuccessi come il prode Prodi & co.

Dove ci porterà questa legislatura?

All'inevitabile... baratro finanziario.

Intanto camminano lugo il dirupo, lentamente, tra un'acrobazia e l'altra.

Certo, gradirei un nuovo Governo...Che c'è di male a sognare?

2) RIGHETTO

Abito ad Ostia, ho vissuto tanti anni alla Garbatella, ma sono nato nel rione Testaccio. Ed è una settimana che sono triste. Da quando è morto Righetto, storico edicolante testaccino. Righetto, che si chiamava Enrico Ferruggia, aveva 77 anni. Padre di quattro figli, gestiva da tantissimi anni l'edicola davanti al mercato, che nel 2006 ha celebrato il centenario dell'attività. Nel suo lavoro Righetto è sempre stato aiutato dalla sorella Alba, che era stata una carissima amica di mia nonna. Sono contento che Don Manfredo, il parroco del Testaccio, lo abbia più volte ricordato durante la Processione di domenica 29 maggio. Ciao Righetto. Ciao Nonna Jole.

3) FIGLI

Gabriele e Alessandro

E' d'oro questo tramonto

vicino al mare.

Chiudo gli occhi e sogno

Un soffio leggero…

il tempo sembra fermo

in realtà si muove

e mi muove.

Dal riflesso dell' acqua vedo la mia anima

Dal soffio del vento sento il mio cuore.

Due fiocchi azzurri su una porta

La mia.

Gabriele

Alessandro.

I miei figli.

Ecco la mia anima.

Ritorno a guardare.

E’solo una carezza di vento.

Cammino vicino al mare

solo il vento mi insegue

e il tempo non mi riguarda,

il tempo mi appartiene.

4) STATALI

Firmato il contratto degli statali. Le richieste dei sindacati sono state accolte solo parzialmente. Se questo accordo fosse stato concluso durante la precedente legislatura, lo sciopero sarebbe stato revocato? Non credo. Dite che questa è una semplificazione? Non è questo che voglio dire. Ci spintonano, ci prendono i giocattoli, un calcio qui e uno schiaffo là, e noi non ci ribelliamo mai. Chiniamo la testa e…Vabbè, penso che ci manchi qualcosa. Sì, un buon Governo. A kiss and a big hug.

5) PENSIERI

Che tristezza. Scrivo perché questa per me è la sola opportunità di essere guardato e non soltanto visto, di essere ascoltato e non soltanto udito. Esco. Passeggio sul lungomare di Ostia. E penso. A tutto quello che mi viene in mente. Penso a quando ero ragazzo. A volte giocavo a calcio. Ma in campo mi comportavo in modo patetico, facevo un errore dopo l’altro, rovinavo le azioni dei compagni e stavo sempre tra i piedi a bloccare un buon passaggio. Scorrazzavo in modo inconcludente urlando che mi passassero il pallone, ma più gridavo, gesticolando come un matto, meno mi consideravano. Quando fu chiaro che non avevo neanche un briciolo di talento calcistico, decisi di trasformarmi in un tifoso appassionato. Era più facile gridare di gioia quando la mia squadra segnava e urlare insulti all’arbitro quando infliggeva un calcio di rigore contro il mio club. Penso agli anni della scuola. Quando frequentavo il ginnasio al Sacro Cuore, avevo un salesiano che ci insegnava filosofia. Era anche il preside dell’istituto, ma non mi ricordo come si chiamasse. Il problema era che vedeva il mondo in bianco e nero. Era lui a decidere cos’era bianco e cos’era nero. Non si può amare una persona così senza temerla Forse nemmeno senza odiarla un po’. E fui rimandato in filosofia. Penso a nonno Angelino. Ricordo in che mese e anno sia successo. E il ricordo vive in me, un frammento di passato perfettamente conservato. Difatti sono diventato la persona che sono oggi all’età di ventitre anni, in una calda giornata estiva del 1979. Ricordo il momento preciso: ero seduto su una panchina del parco Sant’Angelo a Collevecchio. E’ stato tanto tempo fa. Ma non è vero, come dicono molti, che si può seppellire il passato. Il passato si aggrappa con i suoi artigli al presente. Sono ventotto anni che sbircio di nascosto in quel parco. Oggi me ne rendo conto. Seduto sulla panchina all’ombra di un salice mi torna in mente la frase che mio fratello Stefano mi aveva detto: “Nonno Angelino è morto”. Mi ricordo che alzai gli occhi verso il sole e piansi. Penso alla mia vita fino a quell’estate del 1979. Quando tutto è cambiato. E io sono diventato la persona che sono oggi. Penso a Hitler: un pazzo, che ha fatto uccidere milioni di innocenti. Come Stalin. Penso a Vanessa Russo. La giovane rumena non solo non ha espresso alcun rimorso per l'accaduto, ma ha anche continuato a negare di aver fatto qualcosa di male, attribuendo ogni responsabilità a Vanessa, la vittima. E' stata arrestata, ma essendo al suo primo rato se la caverà, prevedibilmente, con una lieve condanna. Penso all’ufficio. Un mio amico, oltre che collega ha un Patek Philippe Star Calibre 2000, realizzato con oltre mille componenti, che indica l’ora dell’alba e del tramonto, giorno, data e mese, stagione, fasi lunari, orbita lunare, con in più un calendario perpetuo e la carica del movimento e delle varie sveglie incorporate. Lui è un collezionista, possiede molti orologi. Ci possono essere, però, delle complicazioni. Il problema delle complicazioni, tuttavia, è quello che lascia intendere il loro nome: distraggono dall’obiettivo principale di un orologio, ossia dire l’ora. Possiede splendidi cronografi, ma alcuni modelli che possiede contengono così tanti quadranti, lancette e funzioni secondarie, dal cronometro al regolo logaritmico, che diventa difficile distinguere le lancette delle ore e dei minuti. Comunque gli orologi sono apparecchi molto fragili, a pensarci bene. Cinquecento, mille minuscole parti mobili, piccole viti, molle e rubini, pressoché microscopici, assemblati con precisione, dozzine di movimenti che lavorano all’unisono. Talvolta un piccolo pezzo di metallo risulta difettoso, altre volte un meccanismo funziona perettamente in un ambiente ma non in un latro. Il mio amico possiede, infatti, anche un Rolex Oyester Perpetual, il rivoluzionario orologio subacqueo di lusso che, però, resiste a una pressione limitata sott’acqua. Del mio amico mi fido. Di altri miei colleghi, invece, non bisogna fidarsi, perché con una mano ti battono sulla spalla mentre con l’altra ti rubano il portafoglio. Sul corridoio incontro un dirigente. Gonfia le guance come un suonatore di tromba e sbuffa. “Non ci sono soldi per lei”. Non replico, non sono all’altezza del suo intelletto. E’ un uomo piccolo e tarchiato con la faccia piena di cicatrici da acne e una voce sgradevole. Esco dall’ufficio. Fuori dal palazzo, dietro le transenne, c’è folla che applaude e sventola bandierine mentre arrivano le macchine di servizio del Ministro e dei Sottosegretari, sotto uno stretto controllo di sicurezza. Sono molti i contestatori: giovanastri, hippy stagionati, professori politicamente impegnati con le loro signore. Agitano cartelli e recitano slogan che non riesco a sentire ma che, presumibilmente, non sono favorevoli alla politica agricola italiana. Penso a mia suocera. Abita a Collevecchio, in un incantevole villino. Di fianco al soggiorno c’è la sala da pranzo. Dal soffitto pende un lampadario di cristallo e al centro della stanza c’è un tavolo di mogano. Sulla parete di fronte alla porta c’è un imponente camino di marmo che per tutto l’inverno splende di fiamme rosso-arancio. Un’ampia porta di ingresso da sul cortile. Di fronte c’è un prato con alcune file di ciliegi. Lungo il lato orientale mia suocera ha seminato un piccolo orto con pomodori, peperoni, verdure e melanzane. All’estremità meridionale del giardino, all’ombra di un’acacia, c’è una piccola serra. Penso a miei genitori. In tasca ho una piccola foto del loro matrimonio. Davanti alla Chiesa del Testaccio. Mio padre elegantissimo nel suo completo nero, mia madre una giovane e sorridente principessa in bianco. Ricordo mio padre: “Ho un problema, Mario”. “Un problema?” “Di salute. Niente di serio. Devo farmi curare.” E’ morto due mesi dopo, il 20 aprile 1992. Ne è passato di tempo, ormai, ma il ricordo è ancora vivo. Bruciante. Proprio come allora. Che tristezza.

6) COMA

Panico. Se non fosse una storia vera, quella accaduta ad un ferroviere polacco di 65 anni, Jan Grzebsky, sarebbe il soggetto dal quale è stato tratto il film "Goodbye Lenin". Precipitato nel 1988 in uno stato di totale incoscienza per un trauma cranico in seguito ad un incidente di lavoro, Grzebsky era stato giudicato dai medici non guaribile. Un coma di 19 anni e poi, dopo un inaspettato risveglio, il comunismo non c'è più, la Polonia è un paese democratico e l'economia di mercato è in piena espansione. In 19 anni Grzebsky ha attraversato un tunnel buio durato il tempo di una rivoluzione incruenta, e durante il quale i suoi quattro figli si sono sposati e gli hanno regalato ben 11 nipoti. Ora è vivo e può raccontare la sua storia: la storia dell'uomo che è passato dormendo dal tetro regime del generale Jaruzelski all'ossessione della "decomunistizzazione" dei conservatori gemelli Kaczynski. Fine della storia. Le cose cambiano. Stavolta in meglio. Non ci credete?

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