ARGOMENTI PROPOSTI DA Mario PULIMANTI: 1) MALEDETTO SOGNO 2) WEEK END

1) SOGNO

Spesso e volentieri mi capita di fare sogni senza capo né coda. Cosa ho sognato? Ho sognato Nicole. Nicole Kidman. Ma non è stato un gran che, come sogno, dico con faccia di cuoio. La Nicole del sogno ha la voce di un soprano che canta un'aria leggera. Gli occhi sono due stelle che rischiarano la notte, e risplendono nello

squallore della stanza come diamanti nel deserto. Abbandono ogni difesa di fronte a tanta grazia.

"Signorina, che piacere" balbetto arrossendo. Lei mette un broncio appena scherzoso. Gli occhi restano seri.

Il suo corpo pare animato di vita propria tanto è sinuoso e vitale. Quello che io vedo squadrandola con occhi da troppo tempo digiuni di pane e companatico non si possono raccontare a tutti.

Lei è una donna bionda e magra. E scaltra. La Kidman, insomma.

Si accorge della mia reazione e decide di porre fine al mio imbarazzo "Mario, soffri di paresi facciale?" Certo nei sogni può succedere di tutto. Anche che la bella australiana mi chiami per nome.

Reagisco. "Domando scusa signorina, stavo seguendo il filo di un mio...personale ragionamento".

Lei riprende con tono grazioso ma fermo: "Meglio che torni domani, Mario".

Mi scuoto "Le domando di nuovo scusa, signorina, stavo pensando...per i fatti miei e non avevo afferrato bene cosa mi stava dicendo. Rimedio subito. Lo gradisce un caffè?" dico. Quando voglio la parte del

ruffiano mi riesce alla perfezione. Lei accetta il caffè.

Anche lei non è indifferente al mio fascino discreto. Mi trova simpatico con quegli atteggiamenti da anatroccolo goffo che prende a cazzotti le forme verbali. Merita un bacio. Al volo ci capiamo.

Bella donna e bel cervello. Chi l'ha detto che l'una esclude l'altro?

E poi, mi sveglio. Mi sento stanco, di quella stanchezza buona che prende dopo uno sforzo felice, o dopo

l'amore. Mi alzo. Entro in cucina. "Vedi di levarti quella faccia da due novembre", dico ad un Alessandro

agitato per il compito in classe di greco che dovrà fare da qui a un paio d'ore. In bocca al lupo!

Saluto una Simonetta contenta. Mi fissa con occhi di donna. Stamattina farà un salto a Collevecchio. Con Silvia, che è intanto arrivata da noi. Simonetta la saluta regalandole uno di quei sorrisi che tra donne sono una rarità. Buon Viaggio!

Saluto Gabriele. E' livido come un'alba di gennaio. Domani ha l'esame di Procedura Civile. In bocca al lupo!

Esco. Prendo la metro alla stazione di Ostia centro. Nuvole a grappoli si rincorrono nell'azzurro. Il mattino frizza di tramontana lidense. Scendo alla stazione della Piramide. Un braccio di sole intiepidisce Roma irrorandola di raggi benefici. Arrivo in ufficio. Entro nella mia stanza. E' presto. Chiudo la porta a chiave, apro il secondo cassetto della scrivania e mi tuffo sui cracker salati. Mangiando penso. E pensando rifletto. Penso a mio nonno Angelino. Parlava poco, ma ogni parola era pesata. Papà Valeriano glielo rimproverava

ma lui lo guardava e diceva: "Ascolta il vento, figlio mio. Il vento parla". Ho voglia di piangere."Ti voglio bene papà". Guardo fuori dalla finestra del mio ufficio. C'é il sole. E piove. Sciabolate di luce cade a pioggia

sulla terra. Come lacrime del cielo. Aculei d'ortica mi dilaniano il torace. Entra una collega. Un donnone. Mi

chiede lo stato dell'arte i una pratica. Le rispondo. Il donnone ciondola il capo dubbioso. Poi esce maestoso portandosi dietro mezzo quintale di fondoschiena. Con un amico vado a prendere il caffè. Al bar, colleghi stanno affrontando mistici discorsi. Parlano di quelle sette che richiamano strampalate e farneticanti teorie supportate da pseudointerpretazioni di testi antichi per giustificare l'ingiustificabile. Rientrando in stanza, mi imbatto con una consulente. Una signora dei trucchi, una maliarda, che sta portando scompiglio nell'ufficio. Sa come stornare gli uomini, e come ondannarli a una dipendenza vergognosa. Torno a

riprendere il totale controllo di me stesso. Allora prendo il mouse, ci penso un tantino sopra e poi mi metto a lavorare.

Certo!

2) WEEK END

Stavo sognando prati fioriti. Alle sette meno un quarto, nonostante sia sabato e l'oscurità avvolga Ostia come un manto umidiccio profumato di mare e di muschio, sono in piedi. Mi ficco sotto la doccia per sciacquare gli incubi, e mi abbandono alla prolungata carezza dell'acqua. Mi rado con cura, poi mi bagno la faccia, mi

asciugo e mi rinfresco guance e mento col nuovo dopobarba. Completo la toilette, infilandomi le pinzette nel naso per estirpare un paio di peli lunghi e bianchicci. Vado in cucina mezz'ora dopo. Simonetta è già alzata e

sta leggendo. Quando mi vede, accende il fornello e mette la caffettiera sul fuoco.

Novembre. Questi giorni di questo maledetto mese dei morti flagellato dalla tramontana. Guardo fuori dalla

finestra. l cielo indossa il cappotto nero, scuro come il mio umore. evo il caffè. Sto già meglio. angio un dolce.

Diverso. Dolce al punto giusto, un misto di sapori che richiamano la terra e il mare, sa d'aria e di vento.

E' poesia.

Mastico a occhi chiusi, lentamente, e ogni boccone è un ricordo, è una carezza gentile. Gabriele irrompe

nella cucina con gli occhi di fuori. giudicare dalla barba lunga e gli occhi gonfi e inviperiti, ha dormito poco e male. La camicia a quadri, d'un azzurro violento, penzola fuori dai jeans. Balla, tanto

è nervoso. Fa una smorfia, contraendo le labbra secche, le mani si muovono nervose. Mi guarda, lampi d'ira si affacciano su abissi di sconforto, rivelando un ragazzo, un pezzo di legno sballottato dalla furia del mare, travolto dalle onde gigantesche e approdato infine sulla rena, di fronte a me. Fa pena. "Papà, la Lazio non meritava di perdere la partita" dice d'un fiato, liberando insieme vergogna e rancore che bruciano in petto.

Per poco non ruzzolo dalla sedia. Poi si rilassa e mi parla di una ragazza. "Che fortuna avere alla scuola

di teatro una così splendida discendente di Venere", mi dice. Poi esce.Il groviglio dei miei pensieri è sempre lì, e ristagna come la fuliggine nei comignoli. Penso al lavoro. Per quale motivo non reagisco mai? Difficile

darsi delle risposte quando stanno sepolte negli abissi del cuore. Ho voglia di piangere. Dentro mi urla la

rabbia antica dell'uomo impotente di fronte alle ingiustizie della vita. Penso a un collega. La mente umana è un abisso infinito di miserie umane nere come il diavolo. Penso a una collega. Racchia. Tutta casa, avemaria e padrenostro. Esco. Passeggio sul lungomare. Alzo gli occhi. Ora il cielo non è più nuvoloso. L'indaco lambisce il turchino e il violetto carezza il turchese fino a sfumare nel grande respiro dell'infinito.

Dio che spettacolo! Perché gli uomini hanno smesso di guardare il cielo?

Davanti a me, una barca. Dietro, una coppia. Lui, anziano. Avvinghiato a una giovane donna, tradisce sua

moglie. Un amplesso violento, animalesco, antico. Sto sudando freddo. Mi allontano.

Giorno di mercato, oggi. Manca ancora a Natale, ma l'aria sa di festa. I banchi del mercato straripano di

festoni, ghirlande e alberelli di plastica perfino raffinati e con le palline incorporate, di golfini tempestati di piume e di paillette, di scarpe dai colori sgargianti, dalla forma azzardata e il tacco a spillo. Domani sarà

domenica.Andremo a Collevecchio. Collevecchio. Una scorciatoia attraverso la campagna di mia suocera.

Novembre ha aperto le pance agli sterminati apprezzamenti bruni, le zolle rivoltate si aprono nei colori della

terra, pronte ad accogliere semi da gonfiare e far esplodere alla vita. Un ciclo antico in questi luoghi immoti si ripete anno dopo anno, perpetuando nella natura e negli uomini gesti che profumano di farina impastata

e pane ancora caldo, cotto nel forno a legna. Lunedì mi prenderò ventiquattrore di vacanza. Niente impicci e

rotture. La pace dello spirito e la salute del corpo vengono prima di ogni cosa.

Approfondimenti