I

di Mario Pulimanti


Fondamentalismo islamico


Woody Allen dice che “ La fortuna bussa una sola volta
nella vita. Per giunta quando sei in bagno." Questo,
ovviamente, capita a me e a tutti quelli che hanno la
fortuna di Paperino. Favoriti dalla sorte sono stati,
invece, i tre imputati islamici accusati di terrorismo
internazionale per il reclutamento di kamikaze da
inviare in Iraq, assolti da un giudice milanese.
Infatti, secondo il giudice “la guerriglia non è
terrorismo. E finanziare non vuol dire essere terroristi
e organizzare violenza contro i civili”. Io, al
contrario, rimango incredulo nel constatare che questa
sentenza, come ha detto l’On.le Fini “mette sullo stesso
piano vittime e carnefici”. Tanto è vero che, leggendo
le motivazioni con cui il giudice milanese ha assolto
questa cellula di integralisti islamici, si prova un
sentimento di incredulità. E questa rabbia ti tocca
ancor più intensamente se pensi che i compagni d’armi di
questi terroristi (perché per me sono terroristi e non
guerriglieri) hanno appena fatto la loro ennesima
vittima italiana, uccidendo l’eroico maresciallo Simone
Cola, lui sì un eroe e non i terrorist iracheni.
Oltretutto non solamente in Iraq, ma in tutto il resto
del mondo, il fondamentalismo islamico continua la sua
guerra dura e crudele, sia che la si definisca
terrorismo sia semplice guerriglia. Mario Pulimanti
(Lido di Ostia –Roma)

Sono ormai cinque anni che in Italia possediamo l’euro.
La moneta unica europea ci ha fatto entrare, in questo
modo, pienamente in Europa. Tuttavia, l’entrata
dell’Italia in Europa ha significato anche l’entrata di
Roma in Europa. E quindi di noi romani. Ma, mentre il
resto dell’Italia si sta progressivamente europeizzando,
non mi sembra che lo stesso stia capitando qui da noi,
“nell’urbe eterna”. Tanto è vero che, contrariamente ai
padani i quali sono ben felice di sentirsi
mitteleuropei, o ai piemontesi i quali sognano di fare
un po’ i francesi, o agli snob fiorentini che vorrebbero
tanto chiamare le loro colline Chiantistiche, a noi
romani, invece, di diventare inglesi, o francesi, o
tedeschi, o per lo meno spagnoli non ci interessa per
niente. Ed io, nativo dello storico rione del Testaccio
con discendenze trasteverine, cresciuto nel quartiere
“giardino” della Garbatella e, dopo essermi sposato da
più di venti anni, residente ad Ostia “il mare di Roma”
-e, quindi, profondamente romano e ben lieto di esserlo-
posso, a ragione, affermare che noi romani, da più di
duemila anni, a torto o a ragione, ci sentiamo superiori
a tutti. E’ un atteggiamento che fa parte della nostra
storia, del nostro carattere e del nostro modo
fanfarone, ma sincero, di affrontare la vita. Ce lo
vedete un romano fare la fila alla posta di Testaccio
come Mr. Jones al post office di Kensington? Ce lo
vedete un romano parcheggiare la sua automobile come un
danese a Copenaghen? O ridere delle insipide barzellette
fiamminghe? E quando va in spiaggia vestirsi come quei
tedeschi con sandali e calzini che incontri non solo sul
lungomare di Ostia, ma anche, con lo stesso look, nel
centro di Roma? No, non è bastato certamente l’euro a
convincerci che un wurstel vale una coscia d’abbacchio
né che la pancetta con le uova fritte sia più saporita
dei rigatoni con la pajata o della coda alla vaccinara
che cucinava mia nonna Jole. E, fortunatamente, allo
stesso modo la pensano anche i miei figli Gabriele e
Alessandro e tanti loro amici. Il romano è un osso duro
per l’Europa. Prima di piegarci ad un nuovo modo di
vivere e di pensare passeranno molti anni, forse diverse
generazioni. E, probabilmente, non ci riusciranno mai!
Del resto “civis romanus sum!

Mario Pulimanti


Euro

Sono ormai cinque anni che in Italia possediamo l’euro.
La moneta unica europea ci ha fatto entrare, in questo
modo, pienamente in Europa. Tuttavia, l’entrata
dell’Italia in Europa ha significato anche l’entrata di
Roma in Europa. E quindi di noi romani. Ma, mentre il
resto dell’Italia si sta progressivamente europeizzando,
non mi sembra che lo stesso stia capitando qui da noi,
“nell’urbe eterna”. Tanto è vero che, contrariamente ai
padani i quali sono ben felice di sentirsi
mitteleuropei, o ai piemontesi i quali sognano di fare
un po’ i francesi, o agli snob fiorentini che vorrebbero
tanto chiamare le loro colline Chiantistiche, a noi
romani, invece, di diventare inglesi, o francesi, o
tedeschi, o per lo meno spagnoli non ci interessa per
niente. Ed io, nativo dello storico rione del Testaccio
con discendenze trasteverine, cresciuto nel quartiere
“giardino” della Garbatella e, dopo essermi sposato da
più di venti anni, residente ad Ostia “il mare di Roma”
-e, quindi, profondamente romano e ben lieto di esserlo-
posso, a ragione, affermare che noi romani, da più di
duemila anni, a torto o a ragione, ci sentiamo superiori
a tutti. E’ un atteggiamento che fa parte della nostra
storia, del nostro carattere e del nostro modo
fanfarone, ma sincero, di affrontare la vita. Ce lo
vedete un romano fare la fila alla posta di Testaccio
come Mr. Jones al post office di Kensington? Ce lo
vedete un romano parcheggiare la sua automobile come un
danese a Copenaghen? O ridere delle insipide barzellette
fiamminghe? E quando va in spiaggia vestirsi come quei
tedeschi con sandali e calzini che incontri non solo sul
lungomare di Ostia, ma anche, con lo stesso look, nel
centro di Roma? No, non è bastato certamente l’euro a
convincerci che un wurstel vale una coscia d’abbacchio
né che la pancetta con le uova fritte sia più saporita
dei rigatoni con la pajata o della coda alla vaccinara
che cucinava mia nonna Jole. E, fortunatamente, allo
stesso modo la pensano anche i miei figli Gabriele e
Alessandro e tanti loro amici. Il romano è un osso duro
per l’Europa. Prima di piegarci ad un nuovo modo di
vivere e di pensare passeranno molti anni, forse diverse
generazioni. E, probabilmente, non ci riusciranno mai!
Del resto “civis romanus sum!


mia moglie


Non ho il coraggio di dire queste cose a mia moglie,
così le scrivo sul giornale. Così come, sul versante
femminile, esistono le mani di fata, su quello maschile
esistono gli uomini veri, quelli da amaro Montenegro,
capaci di salvare cavalli ma anche di aggiustare
oggetti, di riparare guasti domestici, di lavare i
piatti e di cucinare. Io, ahimé, come molti altri
uomini, non appartengono a questa categoria. In realtà
so fare tante altre cose. Leggo moltissimi libri e me li
ricordo. Credo di cavarmela con la scrittura e malgrado
quello che dicono certi miei colleghi, penso di lavorare
con impegno e con discreta abilità. Faccio delle belle
fotografie. E poi quando c’è da bere e da mangiare sono
un vero professionista! Ma, come dice mia moglie
Simonetta, in tutto il resto, o quasi, sono un disastro.
E quando dico disastro non esagero. Perché la mia vita è
punteggiata, quotidianamente, da sconfitte imbarazzanti.
Prendiamo la botanica. Vi dico subito che Simonetta ha
il pollice verde. Ogni pianta che lei mette in casa
diventa un baobab. Io, invece, sono una catastrofe
vivente. Ogni pianta che metto in ufficio muore dopo
pochissimi giorni. Sono l’Attila delle azalee, dei ficus
e degli oleandri. Passiamo alla cucina. Per sintetizzare
il mio rapporto con i fornelli sarò esplicito: non so
cucinare nemmeno un uovo al tegamino. Quando prendo in
mano una padella divento Fantozzi. Confondo il sale con
lo zucchero. Mi brucio le mani quando scolo l’acqua
della pasta. E le poche volte che ho provato a cuocere
una bistecca i vicini hanno chiamato i pompieri per via
del fumo, che ho provocato nel palazzo. Poi c’è il
bricolage. Se c’è da attaccare un quadro mi prendo a
martellate da solo. Se devo bucare una parete col
trapano mi ritrovo nel salotto dei vicini di casa. Non
parliamo dei miei maldestri tentativi quando c’è da
sturare un water: provoco un maremoto e allago
l’appartamento. Se cerco di aggiustare una presa
elettrica faccio saltare la corrente in tutto il
quartiere. Da solo non riesco a mettermi un cerotto al
dito. E se prendo in mano un tubetto di attaccatutto
resto per tre giorni con il pollice incollato
all’indice. Piuttosto che cambiare una gomma della mia
automobile, vendo l’automobile. Perché potrei restare
lì, a combattere col crick, per intere settimane.
Impazzisco quando c’è da registrare qualcosa in Tv
usando il timer. Se decido di registrare un film mi
ritrovo sul nastro un documentario sulla vita delle
renne nella Lapponia orientale! Comunque sono un uomo
fortunato perché mia moglie, nonostante tutto, è
innamorata dei miei difetti e, sempre vigile sul destino
dei nostri due figli, Gabriele ed Alessandro, finisce
con l’essere lei il vero fulcro della famiglia, anzi ne
è l’unica colonna portante. E, anche se il suo tentativo
di trasformare la nostra famiglia in una unità di cui
andare socialmente fieri fallisce inevitabilmente,
eppure l’amore rimane ugualmente.
Mario Pulimanti



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