APPELLO PER I VALORI AGLI EX-DC
Questo spazio può
ospitare i "contributi" esterni, su qualsiasi tema e da
qualsiasi provenienza. Stimolo per il dibattito, anche se a dire
il vero in provincia il dibattito non solo si é affievolito ma é
sparito quasi del tutto.
La nota inviata da Oliviero Barbetta, e
pubblicata in questa stessa sezione del giornale, rende
necessaria anche la pubblicazione della nota che segue, che
ovviamente ha carattere del tutto personale e non ha nulla a che
vedere con il giornale. Viene ospitata come se l'avesse inviata
altra persona.
La presente nota é stata inviata a Mario Pighetti, che in
conferenza-stampa ha presentato "la nuova DC", e a molte persone
che hanno rivestito incarichi importanti come DC.
Ho letto i resoconti della conferenza stampa nella quale avete
dato notizia della “rinascita” della D.C. dando seguito al
colloquio di tempo fa quando mi avevi chiesto notizie in
relazione a qualche contatto che avevi avuto anche in relazione
a contatti che avevo avuto io.
Ripeto ora, anche agli altri amici in indirizzo quanto ebbi a
dire in tale occasione, dal momento che tempo fa ero stato
interpellato. Ero andato a Roma, proprio a Piazza del Gesù –
risalendo lo scalone dell’antico Palazzo che avevo salito
innumeri volte con una certa emozione -, dove si trovava, e si
trova, la sede della “nuova D.C.” rimessa in piedi dal compianto
Flaminio Piccoli ed altri.
In quella occasione mi era stata anche offerta la cooptazione in
Consiglio Nazionale, ma avevo declinato l’invito in quanto ormai
fuori dalla politica attiva. Nel declinare l’invito avevo però
detto in tale sede di che cosa c’era, e c’è ancora,
primariamente bisogno. Lo ripeto in sintesi.
Guardandomi intorno vedevo i democristiani di allora
sparpagliati in undici case diverse, anzi una parte in dieci
case politiche e un’altra parte, me compreso, a casa propria.
Avevo sostenuto allora e sostengo oggi che quanti erano nella
D.C.- o perlomeno quanti c’erano convintamene e non perché
ritenessero il Partito un tramway della linea per il potere -,
pur al suo interno con sensibilità e posizioni diverse, avevano
in comune alti valori ispiratori e la condivisione di una linea
risultata vincente. Il collettivismo marxista si è infatti
rivelato una illusione, il liberalismo che chiamavano avanzato
ha dovuto fare i conti con la domanda sociale. La dottrina
sociale cristiana si è rivelata la forma più compiuta di
organizzazione equa della società.
La società del benessere ha però affievolito i valori, la
cultura sembra, almeno in parte cospicua, dissolta, un
grandissimo Pontefice non basta ad arginare la crisi della
Chiesa, lenta ad interpretare le trasformazioni intervenute. La
politica ha pagato lo scotto maggiore con i Partiti, che
dovrebbero essere i pilastri della nostra democrazia
repubblicana, ridotti allo stato evanescente.. Il deficit di
politica è sentito da tutti, anche dallo stesso Partito di
maggioranza relativa che a un grande consenso elettorale non
riesce ad affiancare un’adeguata militanza con l’alimento
culturale e politico che questa, se attiva, produce, anche
dall’opposizione in cerca di una strada.
Io credo che gli amici sparsi in quelle undici case, oggi
qualcuna meno, pur avendo fatto scelte diverse non abbiano
dimenticato quei valori,. Io credo che essi restino, come ieri,
comuni, e cito, per tensione morale ed anche patriottismo di
Partito, come specchio di questa realtà quanto scritto da Guido
Visini sul quotidiano La Provincia qualche giorno fa:
“…Ero e sono democristiano nella concezione di una politica
socialmente aperta e progredita, ma anche rispettosa e
garantista delle libertà individuali. Una democrazia senza
protezioni e privilegi corporativi, aperta e libera al confronto
e rispettosa della pluralità delle opinioni, ma tenace
assertrice delle regole del vivere civile e del rispetto di
valori morali e sociali così come la nostra religione e
tradizione ci hanno trasmesso. Così era la Democrazia Cristiana
alla quale aderii nel lontano 1967 che si ispirava ai grandi e
insuperati Don Sturzo, De Gasperi e Vanoni, maestri di vita e di
pensiero. Sogno un partito che interpreti una rigorosa
osservanza di regole e principi democratici, rispettoso delle
volontà popolari, che propugni il rispetto umano e garantisca la
pluralità. Il tutto in una visione dove la libertà economica,
scevra da legacci o legacciuoli, rispetti la persona e con
un’attenzione particolare verso i più deboli e indifesi…”.
Se è così, se la fonte di ispirazione è per tutti la stessa,
nobile ed alta, i principi che da essa discendono vorrebbero che
ciascuno ponga quei valori al di sopra di ogni altra cosa. In
altri termini quale sia la casa nella quale ci si trova, a
fronte di problemi che trascendono il quotidiano ma coinvolgono
tali valori, la risposta dovrebbe essere univoca. Intendiamoci,
non intendo affatto dire che coloro i quali si trovano in questo
o quello schieramento politico debbano venir meno ad un patto di
lealtà con le altre forze dello stesso schieramento. Intendo
dire che su alcuni problemi tutti noi dovremmo avere uno stesso
linguaggio, ciascuno portandolo poi nella residenza domiciliare,
con un compito particolare per quelli come me che sono al di
fuori. Al di fuori della politica attiva sì, ma non della
società, ma non della comunità nella quale si vive e si opera,
ma non dell’essenza dei problemi della nostra gente, ma non
estranei agli strumenti di informazione, ma non estranei a un
dibattito culturale anche se viene spesso da chiedersi se non si
debba prendere la lanterna di Diogene per andare a cercare dove
siano finiti gran parte “degli attivisti della cultura”, così
attivi in provincia, e non sempre appropriatamente, sino a
qualche anno fa. Non sto né montando in cattedra né facendo una
sorta di “predica inutile” e moraleggiante avvalendomi del
vantaggio di non avere, in quanto fuori dalla politica attiva,
vincoli di coerenza con scelte di campo invece fatte da altri.
Da quando, nel 1970, ho avuto l’incarico prima della segreteria
cittadina della DC,, poi di quella provinciale e via via
incarichi multipli, istituzionali e politici, in provincia e
anche a Roma, ho sempre sostenuto, e praticato, quello che
chiamavo e chiamo “il modello inglese”, traducibile in sintesi
nel motto “tutti sulle mura” quando ci sono problemi grossi che
coinvolgono punti focali del vivere comunitario, non confondendo
con il consociativismo, forma deteriore, lo sforzo di sintesi
che invece è la parte più nobile della politica.
Sostenevo, e sostengo, l’applicazione del “modello inglese” tra
forze politiche diverse, con diversa, talora contrapposta,
ispirazione ideale. Mi sembra assai più agevole e comprensibile
quando serve veramente chiamare “tutti alle mura”, tutti,
intendo, coloro che hanno uguale ispirazione, uguale sentire per
valori e principi, anche se la scelta di schieramento,
dipendente da una serie di fattori anche contingenti, è stata
diversa.
Da quando la D.C. è implosa, - in parte per errori, in parte per
disegni molto complessi seppur non portati a compimento perché
anche i loro progettisti hanno scontato un deficit di quello di
cui pensavano di poter fare a meno, cioè proprio della politica
-, non ci sono state occasioni perché i democristiani di un
tempo potessero trovarsi insieme, rispettando ciascuno le scelte
degli altri, ma trovando un denominatore comune nei valori di
tutti.
Io credo che la nostra società da incontri di questo tipo
potrebbe averne giovamento.
Persino gli stessi schieramenti
politici potrebbero averne, anche per effetto di uno stimolo per
altre correnti di pensiero, pure sopite o addirittura in sonno,
a ricercare le ragioni profonde delle scelte politiche.
Ciascuno deve operare nell’ambito suo proprio.
Siamo tutti bravi
nel risolvere i problemi dell’ONU, dell’Europa, del Medio
Oriente e così via, vale a dire tutti quei problemi nei quali
non abbiamo la minima capacità di influire. Diventa più
difficile invece discutere, magari offrendo ipotesi di soluzione
utilizzando una enorme quantità di esperienze oggi inutilizzate,
i problemi più vicini a noi, quelli del paese, della città,
della provincia. Quelli per i quali, superate le incrostazioni,
le vischiosità del contingente, magari piccoli interessi di
bottega, in realtà sarebbe più facile produrre rendendo un
servizio alla gente, realizzando cioè il vero fine della
politica nobile.
Scrivendo questa nota, di getto, con lo stesso entusiasmo di un
tempo, con la serenità della maturità, con l’obiettività di chi
è fuori dalla militanza politica, so benissimo di rischiare
l’accusa, al minimo, di velleitarismo, o di attivare gli
specialisti della dietrologia. Ma sento, parlando con tanta
gente, o leggendo la stessa citata lettera di Visini, che una
domanda di discussione, di incontro c’é.
Come concretizzare, come tentare di porre sul terreno concreto
il tema, che iniziativa varare?
Non avrei soverchia difficoltà a farlo io stesso, con tutte le
cose, più o meno importanti che ho organizzato, anche a livello
nazionale, anche in termini innovativi, anche andando
controcorrente. Non mi parrebbe però coerente con quanto detto
prima. Io sono in una delle undici case, sia pure la più neutra
di tutte. Potrebbe però esserci chi suonasse la campana per
chiamare a raccolta, su temi concernenti i valori al di fuori
delle problematiche contingenti, quanti in quei valori hanno
comune matrice. La cristianizzazione avanzante della società non
è elemento che interessi unicamente la sfera religiosa in quanto
a valori che vengono meno, a precetti di vita che svaniscono non
subentrano altri valori, altre regole di vita, ma sale il vuoto
che inaridisce la società, che apre prospettive non liete per le
generazioni a venire, addirittura che può aprire la strada ad
altre culture più attente ai valori dello spirito.
Non mi tiro indietro naturalmente.
A quanti invio la presente
chiedo di pensarci. Ci fosse un minimo di disponibilità da parte
di tutti, ripeto, lasciando da parte qualsiasi problema
contingente che può vedere legittime posizioni diverse, e
puntando l’attenzione sulle cose che contano, quelle del
profondo della coscienza, potremmo anche dar vita ad una
iniziativa di incontro, “Incontro per le cose che contano,
guardando al futuro, attingendo al passato”.
Sondrio 25 aprile 2002, Alberto Frizziero
GdS - 18 V 02