IDEE. Di Dalle Grave, Fiori, Andraous, Lena. Autori diversi, argomenti diversi, finalità diverse per quel confronto che è lievito di crescita

Pubblichiamo insieme cinque contributi, di autori diversi fra loro, con argomenti diversi tra loro, con finalità diverse fra loro ma accomunati da un dato di fondo: il desiderio di ciascuno di loro di mettere in circolo idee nella convinzione, nostra ma crediamo anche loro, che il confronto è lievito di crescita, che senza confronto la crescita inevitabilmente assume segno negativo (NdD)
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E NOI STIAMO ANCORA A GUARDARE?
In questi giorni trova  ampio spazio sui  media lo scandalo delle baby  prostitute, ovvero di quelle ragazzine che   vendono il proprio corpo per una ricarica del telefonino, o per  altre amenità del genere. Viene da dire un vizio provocato dalla crisi economica in atto, che ha interrotto lo stato di benessere generale che vigeva nel nostro Paese, prima del tracollo economico di tante famiglie.
Si sa, le abitudini al consumo sfrenato sono difficili da dismettere, specie quando non si ha voglia di combatterle, quando si rifiuta di prendere coscienza della mutata situazione e si finge di ignorarla. Ecco allora che si cercano tutte le strade, comprese le  scorciatoie, per mantenere in essere un trend di vita che al nuovo stato delle cose non c’è più.
Questi sono i nuovi mali che investono i Paesi del cosiddetto occidente benestante: insieme al fenomeno sopra descritto, si devono aggiungere le patologie da dipendenza, come droghe, alcol, gioco d’azzardo, corruzione, malaffare, eccetera.
E mentre noi siamo alle prese con questi nuovi fenomeni (o patologie) sociali, veniamo a sapere dalla Conferenza mondiale sul lavoro minorile, tenuta a Brasilia dall’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro), lo scorso mese di ottobre, che nel mondo ci sono ancora oltre 168 milioni di bambini e bambine costretti a lavorare contro ogni legge, morale e di natura.
Anche se i minori coinvolti si sono ridotti di un terzo dal 2000 (quando erano 246 milioni), l’andamento non consentirà infatti di raggiungere l’obiettivo fissato dall’OIL stessa, e condiviso dalla comunità internazionale,  di eliminare queste forme di sfruttamento  entro il 2016. “Ci stiamo muovendo troppo lentamente”. “La direzione è giusta, ma se vogliamo veramente porre fine a questo flagello nel prossimo futuro, dobbiamo raddoppiare gli sforzi a tutti i livelli”. “Abbiamo 168 milioni di buone ragioni per farlo”, ha dichiarato il direttore generale dell’OIL, Guy Ryder, chiudendo i lavori della conferenza.   
Più della metà dei 168 milioni di bambini e bambine lavoratori nel mondo svolgono lavori pericolosi che hanno conseguenze dirette sulla loro salute, sicurezza e sviluppo morale. Sono quasi 100 milioni i bambini che lavorano nei campi, soprattutto in Asia, Africa e America Latina per ottenere prodotti agricoli e alimentari destinati ai Paesi più ricchi. Dalle rose, alle banane; dallo zucchero di canna all’olio di palma, dal cacao al caffè fino ai gelsomini, sono i molti prodotti sui quali pesa l’ombra dello sfruttamento minorile.
Trentotto degli 85 milioni di bambini coinvolti in attività dannose per la loro salute e la loro crescita, fanno parte della fascia di età più fragile, ovvero quella fra i 5 e i 14 anni. Si tratta di bambini che lavorano di notte, che sono esposti ad abusi fisici o sessuali, che lavorano sotto terra o sotto l’acqua, a contatto con macchinari o strumenti di lavoro pericolosi, esposti a sostanze, e temperature dannose per la loro salute.
Il settore dove si trovano più minori lavoratori è l’agricoltura con 98 milioni; nel settore dei servizi 54 milioni; nell’industria e nell’economia informale 12 milioni.
Il fatto più eclatante, come si legge nel rapporto dell’OIL, è la rivelazione che non sono i Paesi più poveri, ma quelli a reddito medio o medio-alto, quelli in cui i bambini lavorano di più in termini assoluti: “93,6 milioni di bambini che lavorano nel mondo (su un totale di 168) si trovano in Paesi a medio reddito e di questi, 12,3 milioni si trovano in paesi a reddito medio alto. Questa è un’altra vergogna a cui bisognerà un giorno (non lontano) rimediare. 
Si, perché non è più accettabile che nei paesi a reddito medio e medio-alto si continui a sprecare cibo, a buttare cibo nella spazzatura (ogni anno 1 miliardo e 300 milioni di tonnellate), sapendo che grande parte di quel cibo che arriva sulle nostre tavole è prodotto  con lo sfruttamento del lavoro  di milioni di bambini.
Questa considerazione dovrebbe farci riflettere anche su altri temi che il presente ci sta propinando, per esempio quello dei profughi che approdano sulle nostre spiagge.
Cosa possiamo offrire loro come esempio di civiltà? Al di la di un suolo (quasi) sicuro, cosa possiamo offrire oltre a quanto che loro già possiedono? Sono domande che io mi pongo costantemente e sulle quali rifletto per vedere se riesco a trovare qualche risposta credibile. In questa mia riflessione sono confortato dal fatto che anche l’ultima indagine del Censis, presentata lo scorso 7 novembre a Roma,  dal titolo “I valori degli Italiani 2013, il ritorno del pendolo” aiuti  a comprendere come la crisi stia cambiando le nostre sensibilità. Analoga conferma l’ho avuta ieri sabato 9 novembre a Sondrio, nell’ambito del 3^ convegno promosso dalla CISL  e altri soggetti sociali per celebrare il 70° anniversario del Codice di Camaldoli. Tutti dobbiamo avere e coltivare la speranza, lavorando con insistenza per riempirla di contenuti.
Valerio Dalle Grave

NIENTE PIU’ RETORICA
Sulla facciata del palazzo della Civiltà del lavoro a Roma Eur, campeggia a caratteri cubitali una frase attribuita a Mussolini, che la pronunciò in un discorso del 1935, all’inizio della conquista dell’Etiopia, parlando del popolo italiano come “apportatore di civiltà nei secoli, a tutto il mondo”.
La frase recita: “Italiani un popolo di santi, poeti, navigatori, artisti,  colonizzatori e  trasmigratori”.
Quell’elogio delle qualità degli italiani, frase retorica proprio perché pronunciata dal dittatore, contiene però alcune affermazioni ancora oggi valide e presenti nel popolo: i santi, i poeti, gli artisti, e i trasmigratori.
I navigatori, dopo le note vicende che hanno visto coinvolta la nave Concordia,  hanno subìto un deciso crollo nella scala dei primati italiani. I colonizzatori, con la fine della seconda guerra mondiale, sono ormai andati fuori elenco.
Oggi, se dovessi per qualche recondita ragione essere chiamato a stendere un elenco dei pregi riscontrabili nel popolo italiano inizierei  con i trasmigratori, gli scienziati, i ricercatori, i volontari della protezione civile, gli operatori sociali, infine i lavoratori onesti e operosi. Ciò non significa non riconoscere  che ci sono diverse altre meritorie categorie che solo per ragioni di spazio non cito ma che, dando lustro all’Italia, meritano tutta la riconoscenza del popolo e andrebbero inclusi nella categoria dei santi.
Purtroppo a questa lista di benemeriti non potrei non compilare una lista nera di gravi difetti, acquisiti nel corso degli anni che hanno incrinato la attendibilità del popolo, in parte attribuibili al sistema e alla responsabilità  della rappresentanza politica e amministrativa. A capolista metterei gli evasori fiscali, poi a seguire, i corrotti, i corruttori, i profittatori, i disonesti, gli affetti da narcisismo,  i millantatori di credito, i bugiardi, i demagoghi, i trasgressori, i falsi profeti, i razzisti.  
I primi segnali di questo degrado si possono, con approssimazione, individuare a  partire  dagli ultimi anni ’80 con un crescendo inarrestabile fino ai giorni nostri. Sia chiaro, io non voglio puntare il dito contro nessuno in particolare, infatti mi riferisco al popolo in generale, anche se nel popolo qualcuno ha delle responsabilità più marcate, specifiche e addirittura molto pesanti.
Un grave peccato di omissione deve purtroppo essere attribuito alla gente comune, la quale “poteva” (e può ancora) esercitare un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione, ossia quello del controllo dei propri rappresentanti politici e amministrativi nello svolgimento del loro ruolo di rappresentanza e cura   degli interessi comuni. Ciò non è stato fatto, più per disattenzione e distrazione che per volontà sicuramente,  ma questo non giustifica l’errore commesso.
Una debole importanza attribuita all’esercizio della democrazia ha permesso (o consentito) di consegnare, ai parlamentari e agli amministratori, una delega in bianco senza corredarla da uno stretto programma di controllo sul uso delle risorse che noi puntualmente accreditiamo. Ci si è fidati ciecamente delle promesse fatte in campagna elettorale, riservandoci il solo diritto al mugugno, quant’anche  al completo disinteresse.  Troppo poco per una democrazia parlamentare, quale quella Italiana.
Come affermo più sopra, si può ancora rimediare agli errori commessi. Bisogna convincersi che al di la del consumismo sfrenato, che ci ha appannato un po’ la vista e condizionato la materia grigia di cui tutti siamo dotati, c’è il dovere della moderazione, della sobrietà e dell’inutile spreco e distrazione di risorse, della necessità di lavorare tutti per il bene comune, anteponendolo all’interesse personale.  Il pantano della crisi in cui siamo immersi, le restrizioni e le sofferenze generate dall’assenza di lavoro e di prospettiva futura specie per le giovani generazioni devono, al di la delle proteste  e indignazioni, aiutarci a capire che  è necessario riprendere quei valori, morali, spirituali e sociali come quelli suggeriti da Codice di Camaldoli, che sembrano andati nel dimenticatoio ma che si possono riprendere  per tornare a schiarire l’orizzonte della vita quotidiana di ciascuno e rinvigorire la speranza per un futuro più aderente ai bisogni reali.
Valerio Dalle Grave
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L’ESIGENZA DI UNA POLITICA ISPIRATA ALLA DOTTRINA SOCIALE CRISTIANA. CRISI ECONOMICA E QUESTIONE SOCIALE
Cardelio Pruneri già Sindaco di Grosio ci invia questo scritto di Publio Fiori (ferito alle gambe e al corpo dalle Brigare Rosse nel 1977):
Tutti i “guru” della scienza economica sono impegnati a trovare una soluzione alla crisi economica in atto nel convincimento che la questione sociale ne sia una naturale conseguenza. Il sospetto che invece sia vero il contrario è sempre più forte: le ingiustizie e le diseguaglianze sociali sono la vera causa della crisi economica. E al fondo la responsabilità è della politica che cedendo alle pressioni dei poteri finanziari, diretta emanazione del neo-liberismo, non è stata in grado di garantire uno sviluppo equilibrato a difesa dei ceti meno abbienti. E’ successo che la mancata crescita di salari e stipendi non ha consentito di stare dietro all’aumento della produzione dei beni con la conseguenza di una “stagnazione” del mercato e della “fuga” dei capitali verso investimenti di tipo finanziario dove l’occupazione e la produzione non sono più rilevanti. Per cui: chiusura delle fabbriche manifatturiere, delocalizzazione delle aziende, disoccupazione, caduta del PIL, diminuzione del gettito fiscale, con un tasso d’inflazione che mostra evidenti segni di una “deflazione”. In sostanza il potere finanziario, nell’assenza della politica, ha creduto di poter sostituire al reddito d’impresa la rendita speculativa della finanza senza rendersi conto che prima o poi l’assenza di una economia reale avrebbe presentato il conto. Così è avvenuto quando il moltiplicarsi delle operazioni finanziarie e dei titoli speculativi hanno impattato il dato reale del valore degli immobili, facendo “saltare” il sistema dei mutui fondiari con i quali erano stati “costruiti” titoli (cui non corrispondevano valori reali) che hanno determinato l’esplosione della bolla speculativa. Da qui discendono due considerazioni:
La--  prima è che il potere finanziario con la sua vocazione ossessiva per la propria crescita patrimoniale ha succhiato redditi e patrimoni ai cittadini mettendoli nella condizione di ridurre i consumi, costringendo gli Stati a “tagliare” i servizi pubblici e sociali per resistere alla diminuzione del gettito fiscale. Ma così facendo ha compiuto un’opera di “autolesionismo” perché, costretto dalla sua avidità a investire solo in operazioni finanziarie, ha finito per determinare, con l’impoverimento della gente, il proprio ridimensionamento.
–  La seconda è che la politica non sembra essersi ancora resa conto di tutto ciò perché, anziché impegnarsi ad eliminare quelle diseguaglianze che sono state la causa principale della crisi sociale ed economica, continua ad ignorare la responsabilità della Finanza nazionale e internazionale. E così prosegue in una strategia volta unicamente a mantenere basso il livello delle retribuzioni senza significative riduzioni della tassazione e, soprattutto, senza colpire seriamente le operazioni speculative che sono, invece, le vere responsabili della crisi e di una enorme “evasione” fiscale. Dunque spetta alla politica recuperare la centralità smarrita per imporre al capitale di tornare all’economia reale mediante norme che agevolino gli investimenti produttivi e penalizzino tutte le operazioni di segno diverso, dalle delocalizzazioni alle operazioni puramente finanziarie. Questa è la prima riforma di cui il sistema Italia ha bisogno: eliminare le grandi “diseguaglianze” che sono la causa della “stagnazione produttiva”, della “disoccupazione” crescente, della “caduta” del PIL e della crisi socio-economica che stiamo vivendo. Ma per poterla realizzare dobbiamo tornare ad una politica fondata sugli interessi popolari e sui valori della Costituzione posti a difesa della dignità della persona, del lavoro, della famiglia, del diritto naturale, della solidarietà e della sussidiarietà. In una parola sui valori della Dottrina sociale cristiana.
Publio Fiori
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NEL RISPETTO DEI RUOLI E DELLE COMPETENZE (Disagio relazionale)
Bullismo endemico all’istituzione scolastica come alla collettività intorno?
Mi sono confrontato con la prima linea professorale, ma anche con quell’altra della retrovia, ho incontrato quella genitorialità che non ammette giudizi né sentenze di appello, quando si tratta dei propri figli.
Il fenomeno del bullismo è un problema relazionale, che attraversa le nostre  famiglie, scuole, città, strade, a causa delle nostre ripetute e reiterate mancanze e inefficienze, nessuno può sentirsi autorizzato a non farci i conti.
Per tentare di arginare questo cratere di diseducazione virulenta, è necessario non fare spallucce alle nostre lentezze, e soprattutto alle nostre belle certezze, che non ci consentono di conoscere fino in fondo i dubbi che delimitano aree problematiche di così grande spessore e pericolo per un futuro a misura di uomo per i nostri ragazzi.
E’ l’esperienza a darmi man forte, è la somma degli errori a rendere obbligante un intervento che non può essere procrastinato, tanto meno amputato nella sua incisività da forme di rigetto baronali o peggio padronali, in ambiti che sono demarcati da confini, sì, sottili, ma diventati frontiere da percorrere in lungo e in largo per conoscerne le reali misure di contenimento.
Indipendentemente da chi farà un passo indietro per porsi dove c’è l’intera panoramica da indagare, è  in quest’ottica che dovranno essere presenti quattro poli convergenti: genitori, insegnanti, studenti, territorio, per comunicare tra loro e trasmettere informazioni, movendo una sinergia non di facciata, ma realmente improntata al raggiungimento di obiettivi comuni.
La scuola è di tutti, soprattutto è comunità e condivisione, allora ciascuno abbia il coraggio di mettersi nei panni dell’altro, e una volta tanto, lo faccia con voce liberante, obbligando la scuola, e così se stessi, a muovere dalle gabbie di partenza, quelle recintate con il filo spinato delle deleghe sempre comode.
Occorre sfuggire gli atteggiamenti ottusi, in cui è difficile affrontare con un minimo di onestà e umiltà il dibattito per arginare il fenomeno del bullismo, si preferisce rifugiarsi in fuorigioco, creando una disattenzione che autorizza l’accantonamento del rispetto delle regole, premiando i soliti furbetti dalla botta facile, dal beverone, dallo spinello acceso.
Occorre prendere in esame iniziative volte a indagare non più e non solo il mondo degli adolescenti, ma quello adulto, e non solo a scuola.
E’ necessario approntare servizi di consulto nell’istituzione scolastica, affinché chi è deputato a leggere oltre che a scrivere un voto, possa ritrovare equilibrio e serenità per riconquistare rigore e autorevolezza, rientrando a pieno titolo nel gioco delle relazioni.
Forse è anche il caso di spiegare a chi è genitore sulla carta, che lo è pure sulla linea mediana della tutela, e che solamente insieme si fa promozione, prevenzione, sviluppando capacità di partecipazione per progettare  interventi rivolti ai ragazzi, azioni di sostegno e accompagnamento urgenti in attesa dell’incontro con il proprio futuro.
Vincenzo Andraous
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LETTERA APERTA AL PARTITO DEMOCRATICO
Caro partito Democratico, vorrei che in occasione del congresso e delle primarie, diventasse una gara di idee, di proposte, per il bene dell'Italia, per l'Europa,per il mondo, sia nei circoli, nelle sedi provinciali, di quartiere, regionale e nazionali. Una gara di idee, per fare una buona, sana e bella politica, per la gente, per nostro paese me per il bene comune. Una gara di idee, per migliorare il nostro Servizio Sanitario Nazionale, la formazione, la scuola, la ricerca, la previdenza, l'assistenza. Una gara di idee, per migliorare la qualità della vita, dei più poveri, dei più deboli, dei più bisognosi , degli anziani, degli ammalati, dei diversamente abili, dei bambini. Una gara di idee, per i giovani, per i disoccupati, per la casa, per la famiglia. Una gara di idee, per la sicurezza, per le persone, nelle case, fuori casa, sulle strade, sui posti di lavoro. Una gara di idee, per migliorare, rispettare l'ambiente, per la prevenzione di frane, alluvioni, incendi. Una gara di idee, per combattere la globalizzazione dell'indifferenza, del menefreghismo, dell'egoismo, per invogliare alla partecipazione, alla responsabilità, al prendersi cura delle cose. Una gara di idee, per combattere seriamente le mafie, l'evasione fiscale, la corruzione, il malaffare il non rispetto delle regole. Una gara di idee, per far crescere la cultura, dell'onestà, della trasparenza, della giustizia sociale, dell'uguaglianza, della democrazia, della libertà. Una gara di idee, per l'immigrazione, sul soccorso in mare,sull'accoglienza, sull'ospitalità, sul rispetto della dignità delle persone. Una gara di idee, per costruire una vera unione europea, per combattere, i qualunquismi, i populismi, gli egoismi, per una vera unione politica, economica e sociale. Una gara di idee, per combattere la fame nel mondo, lo sfruttamento, le disuguaglianze, per la pace, per costruire una società, più giusta, per un futuro migliore, per tutti i cittadini del mondo.
Francesco Lena
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Dalle Grave, Fiori, Andraous, Lena
Angolo delle idee