“Primo pellegrinaggio sciita a Kerbelâ’ dopo tanti anni” E quello dell’anno scorso allora cos’era?

di Enrico Galoppini



FINALMENTE SI PUO' PREGARE!


La "notizia" di questi giorni è che dopo 25 anni, nell'"Iraq
liberato", gli sciiti possono svolgere i riti dei
pellegrinaggi ai loro luoghi santi.

Il messaggio che si vuol far passare è inequivocabile: «Con
la fine della tirannia di Saddam, è arrivata la libertà
religiosa».

MA
L'ANNO SCORSO...


L'anno scorso, di questi tempi, si dà il caso che mi
trovassi proprio a Kerbelâ’...

Per la cronaca, posso smentire categoricamente che sia in
atto il «primo pellegrinaggio sciita a Kerbelâ’ da 25 anni»
(o 35, per chi pone maggior enfasi e parte a contare gli
anni dalla presa del potere da parte del Ba‘th),

la quale dista 108 km da Baghdad, in direzione sud.

Per
l’esattezza erano i primi di maggio, ma è noto che in base
al calendario lunare le ricorrenze musulmane si anticipano
annualmente rispetto al calendario solare di circa 11 giorni
.

Dunque, un giorno dei primi di maggio del 2002 (nel mese di
Safar dell’anno 1423 del computo islamico, il quale ha
inizio dall’"emigrazione" - hijra/Egira - del Profeta
Muhammad dalla Mecca a Yathrib, poi ribattezzata «Madîna
an-Nabî: «la Città del Profeta»), partii da Baghdad alla
volta della città santa di Kerbelâ’ a bordo di un pulmino,
convinto di concludere la visita entro un’ora accettabile. E
invece, dopo un iniziale tratto autostradale abbastanza
scorrevole, finii assieme ai miei compagni di viaggio, quasi
senza accorgermene, imbottigliato in un ingorgo di bus,
macchine e gente a piedi, ciascuno intento a raggiungere
quello che, per quel giorno in particolare, era diventato il
«centro del mondo». Così, impiegammo alcune ore per giungere
a Kerbelâ’, il che ci fece abbandonare l’idea di abbinare -
per una gita di un giorno - una puntata ad An-Najaf, ad
appena 78 chilometri più a sud.


Kerbelâ’ ,
GUARDA CAO, ERA UN FORMICAIO


Kerbelâ’, dove si celebravano i quaranta giorni (al-Arba‘îniyya)
dal «martirio» dell’imâm Husayn e della sua famiglia (10
muharram 61/10 ottobre 680) da parte delle truppe del
califfo Omayyade Yazid , era quel giorno un autentico
formicaio di gente venuta da ogni dove, compreso l’Iran,
tanto che ricordo bene la presenza nell’albergo in cui
alloggiavo a Baghdad di pellegrini giunti da quel Paese per
l’occasione. Ecco, se avete sentito i racconti degli inviati
di questi giorni, fate conto che valgano anche per quanto ho
visto l’anno scorso. Milioni di pellegrini. Il che può dare
una misura dell’ennesima costruzione propagandistica che i
mezzi di dis-informazione stanno montando.

I pellegrini erano accampati dappertutto, con tendine
improvvisate tirate su con mezzi di fortuna in ogni angolo
della città. Moltissimi erano quelli giunti a piedi.
Discreta la presenza dei militari iracheni, assenti dal
centro cittadino, ma cordiali e disposti a scambiare qualche
veduta. E così, malgrado uno sparuto gruppetto di quattro o
cinque europei, senza accompagnatore locale, girasse nel bel
mezzo del luogo più santo per i milioni di convenuti per
l’occasione, non si notavano segni di ostilità, né di
particolare benvenuto, il che faceva propendere in effetti
per una specie di sopportazione per quest’inopinata
presenza. Che diventò inopportuna all’interno del recinto
sacro della moschea, dove un pellegrino, un po’ più
esagitato degli altri, dal pigia pigia che uniformava ogni
cosa si mise a lanciare invettive nei nostri confronti: “Non
sono musulmani, non sono musulmani!”; fortunatamente un
amico lo ricondusse alla ragione, e nel far questo ci
ammiccava con il volto come a dire “non fateci caso”, il che
era quello che la maggior parte dei pellegrini - almeno
spero! - avrebbe prontamente sottoscritto per toglierci
d’impiccio.

All’uscita, la prima presenza tangibile del potere centrale,
invero già debole all’epoca da quelle parti: un paio di
membri dei «Fedâ’iyyîn di Saddam», armati e con il
passamontagna, che con modi a dir poco ‘energici’ si erano
incaponiti nel voler separare le donne e gli uomini
all’uscita dalla moschea; non all’interno, né nel tunnel che
conduceva all’esterno (la cui scalinata, leggermente
inclinata, era di fatto ‘ripavimentata’ da migliaia di
calzature persesi per sempre), ma all’uscita, senza una
ragione apparente.


e LEI CHE CI FA QUI?


Poi, fuori, ad un tratto, un ‘curioso’ mi avvicina:
“As-salâmu ‘alaykum, da dove viene? Che cosa sta facendo a
Baghdad? E di che si occupa in Italia?”. Un po’ insistente,
tanto che lo lascio a torturare i miei compagni di viaggio:
un uomo dei servizi, non c’è dubbio, in fondo piuttosto
simpatico e innocuo. Mi chiedo per chi oggi lavorerà…

Alla fine si fa tardi, e decidiamo di tornare a casa
lasciando perdere definitivamente an-Najaf: il ritorno a
Baghdad non si preannuncia breve. Come da copione, un
autentico controesodo biblico di bus, auto e gente a piedi
di ore ed ore, con gli abitanti dei villaggi che via via
attraversavamo (un passo e fermi!) che si prodigavano
nell'offrire a tutti acqua fresca. Una scena commovente, e
certo simbolica, che spiegava senza tante elucubrazioni
dotte perché una comunità non può reggersi se non esiste un
moto dell’animo al mutuo soccorso. In quelle macilente
scatole di metallo, rumorose, fuligginose, scassate oltre
l’inverosimile, dove folle di giovani sciiti cantavano i
loro inni con tanto fiato quanto ne avevano in corpo, sotto
un sole già impietoso passavano davanti alla porta di casa
persone con le quali i capifamiglia dei vari villaggi
sentivano di condividere l’essenziale; quelle persone erano
importanti, e per questo portare loro dell’acqua -
ingaggiando tutti i membri della famiglia come acquaioli! -
era in quel momento l’atto più sentito, e quindi più
gratuito.


UN'ESPERIENZA
PARTICOLARE


Ancora oggi sento che quell’esperienza è stata davvero
particolare. Uno ‘scampolo’ sta sempre qui, sul mio tavolo.
Ed è un vero scampolo: un semplice drappo di stoffa verde,
sintetica, tagliata alla svelta senza badare troppo alle
fattezze. E’ il verde dell’Islam. Se ne danno a centinaia di
migliaia fuori dalla sacra moschea, ad un prezzo che
equivale le nostre vecchie 100 lire. “Da dove vieni? Dal
Pakistan? Dal Bangladesh?”… l’uomo si stava chiedendo da
quale Paese potessi essere planato laggiù… certo, non avevo
un aspetto familiare (benché avessi evitato il classico
decolté del turista), ma da qualche parte del mondo di fede
musulmana dovevo pur provenire. Non poteva essere
altrimenti. Ci pensai un secondo, poi gli dissi la verità.
Non ci rimase bene, anzi se la prese proprio, così mi
allontanai senza badare troppo alle sue recriminazioni…


SARA' ANCORA
POSSIBILE?


Mi chiedo se con la fine del Ba‘th iracheno e una crescente
domanda di Stato islamico tra gli sciiti del sud dell’Iraq
sarà ancora possibile per un europeo non musulmano vivere
un’esperienza simile alla mia e a quella dei miei compagni
di viaggio. Ma da qui a dire che è il «primo pellegrinaggio
sciita a Kerbelâ’ da 25 anni»...
Enrico Galoppini


GdS 28 IV 03  www.gazzettadisondrio.it

Enrico Galoppini