Condannati i componenti della ex Squadra Mobile di Venezia che sgominò la banda di Maniero ritenendo illegali i metodi da essa applicati Di Fabrizio Taranto

Di Fabrizio Taranto

Buongiorno.

Allego intervento a margine della sentenza di Cassazione che
ha condannato i componenti della ex Squadra Mobile di
Venezia (che sgominò la banda di Maniero) ritenendo illegali
i metodi da essa applicati.

Vi sarò grato qualora vogliate dare rilievo all’allegata
nota.

Cordiali saluti

Fabrizio Taranto


www.patriaetradizione.it

fabrizio.taranto@argonetica.com

CHI DIFENDE I DIFENSORI ?

Quattro anni sono oramai trascorsi da quando venne lanciato
questo efficace slogan per sensibilizzare i nostri
connazionali nei confronti della situazione, di certo ben
lontana dall’essere ottimale, e delle condizioni, a dir poco
proibitive, nelle quali gli agenti delle Forze dell’Ordine
erano già allora costretti ad operare, con la consueta
abnegazione, e molto spesso nella incomprensione più totale
di molta parte del mondo politico e giudiziario.

Quattro anni, da quel 2001 ad oggi, che, a ben guardare, si
potrebbero tranquillamente dire “trascorsi invano” alla luce
di quanto accaduto negli ultimi anni come purtroppo anche
nelle ultime settimane.

La condanna in Cassazione degli agenti della ex Squadra
Mobile di Venezia – quella, per intenderci, che seppe porre
fine alle “gesta” ben poco eroiche della banda Maniero
nell’ultimo decennio scorso – lascia infatti a dir poco
sbigottiti.

Come non condividere infatti la critica di quanti parlano in
proposito di “giustizia burocratica”, assai lontana nei
fatti dal senso di giustizia del popolo italiano?

Un provvedimento, quello dei giudici di Cassazione, che,
sanzionando il modus operandi della Mobile veneziana
ritenuto illegale, di fatto non tiene conto del valore e
dell’impegno di questi agenti, condannati alla stregua dei
delinquenti contro i quali operavano in modo così efficace
da debellarne l’attività.

Dunque come criticare le considerazioni di un magistrato,
quale Ennio Fortuna, che attribuisce alla sentenza in
oggetto “una visione di rigoroso formalismo”?

Quello stesso rigore con il quale sempre più spesso si
chiede ai tutori dell’ordine di esporsi, prima di tutto
fisicamente e poi anche con la propria reputazione, alle
piaghe di un ordinamento ultra garantista, nel quale si
sprecano le “attenzioni” per i diritti, umanitari e non, di
malviventi di ogni specie che tali e siffatte attenzioni
omettono ovviamente di esercitarle nell’adempimento della
loro delinquenza.

E così, mentre la Nazione attraversa un delicato momento di
insicurezza, fra una interminabile serie di stupri e la
cruenta uccisione, come a Varese, di un ragazzo a colpi di
spada (!!!), non si trova di meglio, quale “monito” ai
futuri trasgressori del codice penale, che inviare segnali
di punizione nei confronti di coloro che, bene o male,
“difensori” di questa nostra claudicante società sono stati
e tali per noi senza dubbio resteranno.

Ciò che lascia sbigottiti inoltre è la costanza con la quale
ormai proprio i “difensori” vengono colpiti, mentre gli
“altri” beneficiano di incredibili diritti loro concessi
dall’ordinamento: perchè fattispecie come quella veneziana
richiamano alla memoria inevitabilmente situazioni quali
quelle verificatesi a Napoli o a Genova.

Ci si vada un po’ a rileggere, ad esempio, “La Repubblica”
del sette e otto maggio del 2002 per scoprire come, mentre
veniva posto sotto inchiesta il Capo della Mobile a Napoli,
il Procuratore Cordova accusasse con preoccupazione che ben
“700 camorristi venivano lasciati liberi”.

Oppure si torni con la mente alle amare considerazioni
dell’avv. Biondi, parlamentare e difensore di uno degli
agenti rinviati a giudizio a Genova, quando parlava di
“giustizia massificata” e di “giustizia comunista”, non nel
senso politico del termine, bensì in quello di “giustizia
che accomuna”.

L’errore, allora come oggi, è anche questo: “accomunare”,
senza distinzione alcuna, situazioni e metodi, diritti e
doveri che dovrebbero invece trovare diversa valutazione
soggettivamente ed oggettivamente.

Perchè una società che consideri e valuti allo stesso modo
l’uso della forza o di un qualsiasi stratagemma per
offendere l’innocente e l’uso della forza o di un qualsiasi
stratagemma per difendere l’innocente, è una società che ha
perso di vista i suoi punti cardinali e che si pone
pericolosamente sulla strada di un diritto contro natura.

Oggi, come quattro anni fa, quanti vedono oltre le
ortodossie dei cavilli giuridici, chiedono a gran voce allo
Stato di “difendere i difensori”: se così non sarà chi, dopo
di loro, si alzerà a difendere gli indifesi?
Amarilli



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