Arriva “I Miracoli della Passione”, il nuovissimo libro del giornalista e scrittore Giancarlo Padula

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Anteprima esclusiva: arriva “I Miracoli della Passione”, il
nuovissimo libro del giornalista e scrittore Giancarlo Padula


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Roma – Si intitola “I miracoli della Passion”: è il nuovissimo
libro di Giancarlo Padula, giornalista e scrittore, autore de “I
segreti della Passione di Cristo”, che, secondo indiscrezioni da
attinte da fonti molto attendibili, tra massimo 20 giorni
dovrebbe essere distribuito in tutte le librerie italiane. Nei
prossimi giorni sarà resa nota la casa editrice e i contenuti ed
altre particolarità di questo nuovo lavoro del noto operatore
dell’informazione della musica cristiana contemporanea, che
segue a ruota quello pubblicato durante la settimana santa da
Tabula fati. Ma dal titolo già ci si può fare un’idea del
contenuto, che ruota ancora intorno al film di Mel Gibson,
stavolta attraverso un reportage, un giro di boa in tutto il
mondo, ovviamente Italia compresa.


“Ogni albero buono produce frutti buoni…” (Vangelo di Matteo,
Capitolo 7, versetto 17 – confronta anche Vangelo di Matteo,
capitolo 12, versetto 33; Vangelo di Matteo, Capitolo 3,
versetto 8)


Siamo stati tutti travolti da una insolita Passione. Una
Passione insolita quella che abbiamo vissuto, (chi l’ha
vissuta), incollati davanti agli schermi per assistere alla
pellicola che sta cambiando cambierà lo stile di vita dei
cristiani. Mentre per molti è stata “la prima volta”. La prima
volta che si è preso coscienza del fatto che la verità ha un
nome e un volto: Gesù Cristo. Almeno così è accaduto per la
stragrande maggioranza del pubblico. Per chi ha affollato le
sale cinematografiche di tutto il mondo con il cuore e la mente
sgombri dai condizionamenti, dai pregiudizi, dalle polemiche.
Niente sarà più come prima, in un modo o nell’altro. Chi farà
finta di niente non avrà fatto i conti con le ultime 12 ore di
vita di Gesù. Una Passione insolita perché mai l’avevamo vista
così. Non potrà essere mai più rappresentata. Più cruenta non è
possibile. La Passione di Mel Gibson non lascia spazio al
pietismo, alla poesia. Anche la colonna sonora del film è stata
ad hoc. Portentosa al momento opportuno, ma essenziale, quasi
impercettibile o assente in altri momenti. Non potrà mai più
essere rappresentata in maniera più “blanda”, sobria, perché non
lo è stata. La Sindone lo dimostra. “Ogni albero buono produce
frutti buoni…” (Vangelo di Matteo, Capitolo 7, versetto17). Dai
frutti si riconoscono i discepoli di Gesù Cristo. Due miracoli
di queste ore parlano chiaro: un texano di 21 anni, Dan Leach, è
andato alla polizia dopo aver visto il film La Passione di
Cristo di Mel Gibson e ha confessato di aver ucciso una ragazza
di 19 anni, Ashley Nicole Wilnson, che aspettava suo figlio. Il
caso era chiuso perché le autorità avevano concluso le indagini
con la convinzione che si era trattato di un suicidio. Gli
agenti hanno riferito che il giovane ha raccontato che dopo la
visione del film sulle ultime ore della vita di Gesù Cristo, ha
provato rimorso. Mentre, un neonazista di 41 anni, Johnny Olsen,
si è presentato al commissariato di Oslo confessando due
attentati.




Le molteplici polemiche che si sono accese e si accenderanno
intorno alla pellicola, sono, sono state e saranno inutili. Si
può fuggire, si possono chiudere gli occhi, coprirli con una
mano, meglio ancora si può evitare di vedere questo film. Ma chi
lo vede deve fare i conti con la storia e con Soprannaturale
soprattutto. Lasciamo perdere se Gibson poteva o no mitigare
questa tremenda violenza.


Ha scritto bene, secondo il mio parere Alberto Magone su
“Toscana oggi on line” che in sostanza ha detto: «..il fatto è
che la dimensione fisica del dolore, che tanto ci spaventa non
vogliamo vederla, tendiamo a rimuoverla, ad allontanarla da noi,
e intorno a noi, ma non potendola cancellare, la attenuiamo,
perfino nell’uso dei termini, di fronte a tanti drammi che ci
circondano e anche al Dramma che della storia è spartiacque….la
Passione di Cristo di Mel Gibson, sia pure molto discusso, ci ha
portato violentemente all’hic et nunc storico, alla realtà del
corpo violato, della carne martoriata, del dolore senza limiti.E’
un pugno nello stomaco che fa riflettere: la Via Crucis di Gesù
fu straziante al di là di ogni immaginazione…ma…la Croce porta
alla luce e ora noi contempliamo Cristo, il risorto, il
vincitore della morte, il nostro salvatore, nella gloria del
Padre”.


D’ora in poi qualsiesi altra Via crucis sembrerà comunque una
parodia. Così come a volte è una “parodia” la maschera che i
cristiani di oggi indossano. La domanda che ci si deve porre è
un’altra: le cose sono andate proprio così? E se sono andare
così, cioè se il Figlio di Dio ha sofferto così tanto per ogni
nostro peccato, per salvarci dal nostro peccato, facendosi egli
stesso peccato, vuol dire che il peccato è una cosa terribile ai
suoi occhi. Se avessero mandato in diretta le immagini della
vera Passione di Cristo, le cose si sarebbero viste in questo
modo? La risposta è sì. La pellicola ricostruisce infatti la
vicenda così come è stata tramandata dalle Sacre Scritture. Si
dovrebbe riflettere: come mai Dio si è ridotto in quello stato?
Per me. Per te. Per il mio peccato, per il tuo peccato, per
evitare, per quanto fosse possibile, che dopo una manciata di
anni vissuti su un pianeta chiamato terra (più o meno “bene”),
si perdesse l’opportunità di una vita eterna beatifica.


Per troppo tempo abbiamo trascurato la sofferenza di Dio. Una
sofferenza che è specchio e immagine della nostra stessa
sofferenza nel peccato. Solo così infatti si può capire perché
Gibson abbia voluto essere così duro nella rappresentazione
della violenza che abbiamo inflitto a Gesù. È, infatti, la
stessa violenza che abbiamo inflitto a noi stessi. Quelle carni
martoriate sono le nostre. Le lacrime di Maria sono le nostre.
Per questo il dolore di Gesù, sullo schermo gigante di Mel
Gibson, ci colpirà così tanto. Troveremo un forte motivo di
identificazione e non sarà facile liberarsi da uno strano
sentimento. E una domanda ci coglierà all’improvviso, alla fine
della proiezione, all’uscita della sala cinematografica: dove
siamo stati in questi ultimi duemila anni? Come abbiamo fatto a
dimenticare?”


In Cina sono state realizzate dai cristiani molte videocassette
“pirata”. Tanti gruppi, a causa della persecuzione, soprattutto
di giovani si riuniscono in preghiera e tanti agnostici vogliono
conoscere la fede: la Passione di Cristo è diventato un mezzo di
evangelizzazione. Un sacerdote della chiesa non ufficiale,
sotterranea, è rimasto talmente commosso dalla visione del film
che riunisce gruppi di fedeli che sono scoppiati in lacrime
durante le proiezioni. Monsignor Guadencio Rosales, arcivescovo
di Manila ha pubblicato un messaggio di 4 pagine invitando i
cristiani della sua diocesi ad andare a vedere il film, che
definisce “un lavoro serio di amore e di valore artistico e
religioso, realizzato con molta cura”. L’arcivescovo ha
incoraggiato i cristiani a guardarlo come possibile aiuto per
“ricordare e riflettere sulla Passione del Signore, affinché
penitenza e prassi possano portare la verità nella nostra vita.
Il film è una occasione per una vera esperienza di fede e un
autentico invito a rinnovare il cuore e la fede. Mentre lo
guardate, provate a vederlo in spirito di serenità orante, fate
come se foste in meditazione, siate aperti a cogliere e
ascoltare e contemplate, rifiutando l’atteggiamento di “cercare
solo l’intrattenimento delle immagini vive e potenti che vi
passano davanti agli occhi. Provate a entrare nelle ultime ore
di Gesù e lasciate che quelle ore finali operano nella vostra
vita e nel vostro cuore”. Di parere totalmente opposto, il
cardinale Jean marie Lustiger il quale ha dichiarato che “La
Passione di Cristo è un film che manca di pudore, L’amore di Dio
non si misura in litri di emoglobina, si tratta di un
reality-show biblico, lontano mille miglia da altre
rappresentazioni del Cristo, prima fra tutte quella di Pasolini,
che descrisse Gesù con gli occhi di sua madre, o di Kieslowsky
ne “Il Decalogo”.






Esplode la Cristomania


Esplode dunque in tutto il mondo la “Cristomania”. Il fenomeno
Cristo. Incantati da Cristo. Il controverso film di Mel Gibson
sta sconquassando il globo: il mondo cristiano (tre miliardi di
per persone) è un subbuglio. I cattolici si sono divisi.
Autorevoli commentatori ed esponenti del mondo della cultura,
sono decisamente schierati a favore, i protestati, già tanto
frantumati, hanno preso posizioni molto diverse e contrastanti.
Altri prelati degli organi pontifici come le comunicazioni
sociali si sono espressi, singoli vescovi esaltano il film
invitando i fedeli ad andarlo a vedere (in Asia, ad esempio),
altri come l’arcivescovo di Parigi dice che si tratta di
un’”opera sadica”; Mel Gibson ha raccontato di essersi
convertito quando stava per farla finita, 13 anni fa. Ma poi si
scoprono i suoi gusti culinari, va matto per l’olio d’oliva, la
bruschetta, l’arrosto misto e il pesce di Matera (dove sono
stati girati gli esterni). Cosi come quelli della Bellocci che
ama le salsicce. Mentre Gesù-Caviziel è un intenditore di vini
lucani. Ora esplode il turismo americano, ma mondiale a Matera e
tutti vogliono stanzetta dove dormiva Gibson in una pensioncina
a tre stelle. Mentre si girava il film avvenivano miracoli:
conversioni, aiuto regista uscito indenne dopo essere stato
colpito per ben due volte da due fulmini. Per alcune scene della
crocifissione è stato usato un robot. Durante le proiezioni del
film in alcune sale america ed europee due persone (fino ad ora)
non hanno resistito all’impatto e sono morte. Ma un giovane
texano di 21 anni, dopo aver visto il film è andato dallo
sceriffo ed ha confessato di aver ucciso la ragazza di 19 anni
che aspettava un suo figlio (la polizia aveva chiuso il caso
pensando si trattasse di suicidio). Un terrorista neonazista di
41 anni, dopo aver visto il film è andato alla polizia a
confessare due attentati. In America esplode la mania dei film
religiosi, da “Judas” proposto dalla ABC, alla NBC che mette in
cantiere una serie intitolata Revelations su un testo religioso.
Anche La Disney non sta a guardare e annuncia l’uscita nel 2005
di un film ad alto costo basato sul libro dello scrittore
cristiano C.S. Lewis The Lion, sul sacrificio di Gesù. “Repliche
fedeli dei chiodi della Croce, con su scritto un versetto del
profeta Isaia: “è stato trafitto per i nostri peccati”, si legge
sulla Gazzetta di Parma, “spille, tazze da caffè, portachiavi, e
tee-shirts, tutte all’insegna di The Passion. Ma in vendita
anche un kit con tanto di scala in miniatura e croce di legno.
Negli Stati Uniti sono stati distribuiti 75 mila ciondoli-chiodo
in peltro (12,99 dollari l’uono). C’è poi la cardi preghiera
(2,99 dollari) con la parola “Passione” in aramaico, il
portachiavi (6,99 dollari) e bracciali con croce (12,99
dollari). La colonna sonora è in cima alle Hit Parade. Il Cd con
la colonna sonora composta da John Debney. Un cattolico di lunga
data: “la colonna sonora”, ha detto, “ha il sapore
mediorientale, ma all’inizio volevo comporre musica etnica, con
strumenti “da tutte le parti del mondo e di tutti i periodi…poi
d’altra parte abbiamo avuto momenti tradizionali dove c’è più
orchestra e coro”. Debney ha studiato la musica del periodo”, e
i libri collegati alla pellicola di Mel Gibson.


Roma (AsiaNews) - Al centro della controversia che circonda il
film “La Passione di Cristo” c’è un uomo sereno, che ama la
recitazione e la sua fede cattolica. Jim Caviezel, 34 anni,
interpreta Gesù nel colosso diretto da Mel Gibson. Ora è nella
Città Eterna con la sua famiglia, per ottenere la benedizione
del Santo Padre.


Per Jim, interpretare questo ruolo non è stato facile, ma, come
per qualsiasi altro film, ha prima sentito dentro di sé come una
“vocazione”. Trasportarla sullo schermo, ha detto, “è stata una
vera esperienza spirituale”. Domenica sera, invitati da p.
Thomas Williams, del movimento cattolico dei Legionari di
Cristo, Jim e la sua famiglia, di fede cattolica, hanno
partecipato alla S. Messa in inglese nella Chiesa di San
Giovanni Battista de’ Fiorentini, con gli studenti di alcune
università pontificie di Roma.


Al termine del rito religioso, l’attore si è fermato a pregare,
mentre un piccolo gruppo di fan e cattolici aspettavano fuori
per incontrarlo.


All’uscita, Jim, oltre ad intrattenersi con gli studenti e altre
persone, rimasti colpiti dalla sua modestia, ha risposto anche
alla domanda sul come abbia fatto a conciliare la recitazione
con le sue convinzioni religiose. Oltre a ribadire di aver già
parlato a diverse conferenze cattoliche, ha precisato che egli è
in primo luogo un attore, non un oratore pubblico, e continuerà
a ricostruire quella cultura nel suo ambito di lavoro. Ha
inoltre sostenuto che c’è un forte bisogno che i giovani di oggi
affrontino il flagello dell’aborto nel mondo (soprattutto negli
Stati Uniti) e si impegnino a favore della dignità della vita.
Ha infine sottolineato l’importanza di combattere il male con la
forza del rosario.


“Possiamo farci una foto con te?”, ha chiesto qualcuno dei
giovani più coraggiosi. “Si”, ha detto con un raro sorriso, “ma
ognuna ti costerà un rosario!”, ha aggiunto, trasformando la sua
fama in “profitto” spirituale.


È noto che Jim Cavezial evita qualsiasi ruolo che comprometta i
suoi valori morali e si rifiuta di nominare Dio invano in
qualsiasi copione. Durante le riprese di “La Passione di
Cristo”, Jim ha sofferto per le proprie ferite mentre
rappresentava le sofferenze del Signore. Egli ha resistito al
dolore e all’assideramento durante le ore delle riprese, mentre
stava appeso per ore sulla croce, senza protezione dalle
intemperie dell’inverno. Due volte è stato colpito durante dalla
frusta durante la scena della flagellazione di Gesù alla
colonna. Si è slogato la spalla destra nella scena in cui Cristo
stesso si sloga la sua mentre i soldati gli tirano la mano per
inchiodarla alla croce. E’ stato inoltre colpito sul set da un
fulmine, senza però riportare gravi danni. Oltre a questo, Jim
ha accettato le critiche che ha ricevuto da Hollywood e le
domande costanti sulle ragioni del film, come una sua
condivisione dell’agonia redentrice di Cristo. Nell’interpretare
quel ruolo, Caviezel ha spesso detto a se stesso: “Non voglio
che la gente veda me, ma che veda invece solo Gesù”. Per
raggiungere questo scopo, ha spiegato Caviezel all’agenzia
Zenit, “ho cominciato con la recita del rosario, a cui è seguita
la confessione e poi la Messa, ogni giorno, ed ogni volta dopo
avevo preso l’Eucarestia, mi sono sentito maggiormente nei panni
di Cristo”.




A Manila


“Perfino prima di vedere il film, Monsignor Teodoro Bacani”,
vescovo emerito di Novaliches (Manila), ha riferito l’agenzia
Asia News, “ha appreso da un maestro gesuita in pensione che il
film aveva il valore di “4 ritiri spirituali” sugli spettatori
(sul pubblico). Per questa ragione, il vescovo ha detto che
valeva la pena di vederlo”.




Filippine


“Il 9 marzo 2004, al centro commerciale Glorietta nel quartiere
Makati”, ha riferito ancora l’Agenzia Asia News, “i vescovi
delle Filippine sono intervenuti ad una speciale presentazione
della “Passione di Cristo” di Mel Gibson, alcune settimane prima
che il film esca nelle sale cinematografiche del paese. Francis
Soliven della Warner Bros., distributore del film, ha parlato ai
vescovi del film, descrivendolo come “la storia dell’immenso
coraggio e sacrificio di Cristo, che ispirano tolleranza, amore
e perdono tra gli uomini. Un messaggio attuale come a quel
tempo”.


Dopo la presentazione, Monsignor Fernando Capalla, arcivescovo
di Davao e presidente della Conferenza Episcopale delle
Filippine, ha detto: «Il film ci riporta alla nostra fede, a
guardare a noi stessi, a comprendere che il nostro peccato
contribuisce al dolore e alle sofferenze di Gesù. Noi
apprezziamo che l’autore abbia realizzato il film in modo così
realistico. È chiaro che il suo lavoro rivela la sua
comprensione della Scrittura».


Monsignor Ramon Arguelles, ordinario militare, ha detto ad
AsiaNews che il film non aggiunge niente a quello che già
sappiamo dalla Bibbia, “ma la presentazione è vivida e
straordinaria. È come se le vicende accadessero davvero davanti
a te. Tu sei partecipe di tutta la vicenda”. Ciò che ha colpito
i vescovi sono state soprattutto le immagini della “splendida
unità tra madre e figlio, la rappresentazione della loro unità,
che ti commuove mentre vedi la sofferenza di Cristo. Il regista
è riuscito in pieno a mostrare i sentimenti di Maria nel volto
dell’attrice che recitava la parte della Madre Santa. Questo è
davvero molto commovente”. Come nel “Gesù di Nazareth” di Franco
Zeffirelli, Maria attende ed è parte del sacrificio di Cristo.
“Lei sapeva che Cristo doveva subire questa passione e non solo
ha accettato questa realtà, ma ne è diventata partecipe. Dal
punto di vista teologico, questa rappresentazione è corretta”.



Prima di arrivare nella sala cinematografica, i vescovi hanno
discusso del film in base a ciò che avevano letto. Mons.
Arguelles ha detto: «Abbiamo detto che Mel Gibson può essere il
migliore evangelizzatore dei nostri tempi”. Finora, la più
grande missionaria del nostro tempo è Madre Teresa. Ora, Gibson
può forse battere Madre Teresa grazie al fatto che milioni di
persone lo vedranno o l’hanno già visto in così poco tempo”.




Medio Oriente


“Il cardinali Butros Nasrallah Sfeir, Patriarca della Chiesa
Maronita”, ha riferito ancora l’Agenzia Asia News, “ha detto che
il film di Mel Gibson “La Passione di Cristo” non è “per nulla
anti-semita”. I prelato ha anche affermato che il film è “molto
legato ai fatti, molto commovente, molto doloroso”. Il Patriarca
libanese ha commentato il film di Gibson, dopo aver assistito a
una speciale proiezione a Jounieh. “In modo molto realistico,
sono riprese le sofferenze di Cristo nelle sue ultime 12 ore di
vita prima della Crocifissione”, ha detto il Patriarca, la
visione del film è un passo importante di evangelizzazione: “Ora
il popolo libanese ha un’occasione in più per vedere quanto Gesù
Cristo ha sofferto e ha pagato per perdonare i peccati del
genere umano”.




Islam


Asia News: “La Passione di Cristo” è stato in programmazione nei
cinema della maggior parte degli Stati musulmani del Golfo
Arabo. “Abbiamo sottoposto il film al giudizio del Comitato per
la censura, ma non è stata fatta nessuna obiezione alla sua
proiezione”, ha detto Abdukl Rahman Mohsen, direttore generale
nel Qatar di una catena privata di cinema. Il Comitato per la
censura vede in anteprima i film e può decidere di tagliare
scene o singole immagini che riguardano profeti presenti nel
Libro Sacro. Nonostante “La Passione” narri le esperienze del
“profeta Issa (Gesù)”, il film non ha subito tagli e viene
quindi proiettato nella sua versione integrale.


In un editoriale del Gulf News, giornale di Dubai, è stato
scritto che “gli Emirati Arabi Uniti dovrebbero essere elogiati
per aver permesso la proiezione del film. Le autorità non hanno
dato solo l’opportunità ad una grande quantità di cristiani
espatriati di vedere il film, ma hanno anche autorizzato la
libertà artistica… I cristiani, come pure persone di religione
diversa, possono ora scegliere se vedere il film o ignorarlo. Ad
ogni modo, come hanno fatto notare studiosi e critici, il film
fa emergere la condizione umana quando descrive il tradimento,
l’avidità, la menzogna, il perdono e l’amore”.


In interviste fatte dal Gulf News nella pluralistica Dubai, sul
debutto del film sono state comunque espresse opinioni
contrastanti. Alcuni concordano sul fatto che “Dubai è il posto
giusto per la programmazione di un simile film perché qui la
comunità è aperta a molte culture e religioni diverse”, come
afferma la studente americana Allison Weavor, il quale si augura
che nessuna delle scene violente del film venga tagliata. Il
turco Ayla Tosun si chiede invece se non sarebbe meglio
rimandare il debutto del film ad altra data, più tardi: “Ritengo
sì che Dubai sia il posto giusto per la proiezione di questo
film, ma non penso sia il momento giusto per farlo”.


Ahmed Mohammad Saif, studente degli Emirati Arabi Uniti è
decisamente contrario alla programmazione di “La Passione” in
quella parte del mondo, ed afferma che “i profeti non dovrebbero
mai essere rappresentati” nel modo con cui lo sono nel film,
dove Cristo può essere visto e udito: “Rispetto e credo nella
libertà d’espressione, tuttavia film che affrontano tematiche o
personaggi religiosi non dovrebbero essere diretti come è stato
fatto per questo. Chiedo alle autorità che impediscano ai cinema
di proiettare questo film”.


Secondo Arab News, in Arabia Saudita, dove sono vietate altre
espressioni religiose all’infuori dell’Islam, copie pirata del
film sono state vendute “come merce pregiata” al mercato nero,
tramite venditori ambulanti che hanno però sottostimato la
richiesta del controverso film. “Ai miei clienti non piacciono i
film sottotitolati, ma stanno comprando questo”, ha affermato al
giornale un venditore ambulante anonimo.


Tra i leader del Medio Oriente che hanno visto il film, Yasser
Arafat ha affermato che il dramma rappresentato è “storico e di
grande effetto”, sebbene uno dei suoi più stretti collaboratori,
Nabil Abu Rudeneh, ha detto che a suo giudizio “i palestinesi
sono esposti ogni giorno a sofferenze tipo quelle vissute da
Gesù nella sua crocefissione”.


Altri tre stati del Golfo sono impegnati nella visione del film
per deciderne l’eventuale programmazione. Nella sua ultima
opera, Tarif Khalidi ha analizzato l’influenza che la persona di
Gesù ha avuto nella letteratura islamica contando circa 300
detti o racconti riferiti a Cristo nel periodo letterario
islamico che parte dal 2° al 12° sec. dell’Egira ( 8°-18° sec
A.D.). Khalidi afferma che si può addirittura parlare di “una
storia d’amore fra l’Islam e Gesù”.


Gesù - Issa, figlio di Maria - è spesso citato nel Corano e
negli Hadith (racconti e detti del Profeta Maometto) con molta
venerazione (il 4,1% di tutte le parole contenute nel Corano
sono dedicate a Gesù a sua madre Maria ed ai discepoli n.d.r.).
La figura di Gesù Cristo si trova anche nella lunga storia
letteraria del mondo islamico. Intellettuali dei secoli passati
come il filosofo Al-Ghazali nella sua opera “Ihya’a Ulum El Din”
( La ripresa degli studi religiosi), o scrittori come Al-Jahez
nel suo saggio ““ Al Mukhtar fil Rad ala al-Nasara” (Il
Prescelto e le sue risposte ai Nazareni), pur confutando la
teologia cristiana su Gesù hanno descritto ed esaltato le
qualità di Cristo.


Anche la letteratura islamica laica ha sempre considerato Gesù
un esempio unico di perfetto rapporto fra il Creatore e la
creatura. Fra gli intellettuali islamici ispiratisi a Gesù,
Khalidi cita Ahmad Ben Hanbal, Abu Hayan Al-Tawhidi, Al-Sahrurdi,
Ibn Al-arabi, Abu Al-Kassem Al-Kashiri e altri scrittori, poeti,
storici, mistici sufi, senza citare gli Ulama (dottori della
legge islamica).


Gesù è fonte d’ispirazione anche per l’arte islamica. Per una
futura pubblicazione, Khalidi sta raccogliendo tutte le immagini
di Cristo prodotte da pittori dell’epoca Safavide, Mongola,
Ottomana. Il fatto che l’Islam sia restio alle rappresentazioni
iconografiche dei “prescelti da Dio” dà maggiore rilevanza e
valore a queste immagini di Gesù.


Per lo studioso islamico Abdallah Al-Sharkawi, le differenze di
vedute fra Islam e Cristianesimo sono in gran parte dovute alla
traduzione tardiva in arabo dei Vangeli.


Padre Michel Hayek, professore alla Sorbona, fra i maggior
esperto sulla figura di Gesù nell’Islam, ritiene impossibile una
conciliazione teologica fra cristianesimo ed Islam “ esistono
ostacoli di dogma che nessuna comprensione potrà mai rimuovere”
(cfr. “Il Cristo dell’Islam”, Parigi, 1959. L’A. sta preparando
una 3° edizione aggiornata).




Cina


Asia News: “Grazie a valanghe di copie-pirata in inglese, fra i
cinesi si sta affermando la febbre e l’entusiasmo per “La
Passione di Cristo”, l’ultimo film di Mel Gibson. I giovani
cattolici ne stanno facendo una pubblicità sperticata fra i loro
compagni.


Fonti di AsiaNews nella capitale, hanno detto che negli ultimi
giorni vi sono già state decine di proiezioni in piccoli gruppi
o parrocchie, a cui sono invitati anche non cristiani.


Un giovane non cattolico ha raccontato: “Avevo solo intenzione
di esercitarmi con l’inglese del film. Invece mi ha colpito
profondamente. Non posso credere che ci sia qualcuno che possa
dedicarsi fino a morire per gli altri. Voglio conoscere meglio
il cristianesimo. Quando ero studente all’università, ho letto
anche la Bibbia, ma come un’opera di letteratura fra tante. Il
motivo della lettura era per adeguarmi alla moda occidentale.
Dopo aver visto questo film, ho intenzione di rileggerla, ma per
rifletterci. Chiederò ai miei amici cattolici di farmi conoscere
la Chiesa”.


Anche la parrocchia della Immacolata Concezione (Nan Tang) ha
organizzato proiezioni pubbliche del film nella chiesa, dando
l’occasione a tanti cattolici di sperimentare un momento forte
di fede e prepararsi in questo modo un po’ speciale a vivere la
Quaresima e la Pasqua.


Qualche sacerdote anziano è stato preoccupato. Hanno sostenuto
“che i giovani devono essere accompagnati da persone competenti,
capaci di spiegare le scene di violenza, aiutando loro ad avere
una visione più profonda di quella violenza accettata per
amore”.


Un sacerdote ha pensato che il film sia “un ottimo strumento di
evangelizzazione. Tanti giovani mi hanno chiesto o mi hanno
telefonato per domandarmi se avevo visto il film. Mi hanno
chiesto di discutere” Un anziano cattolico, non molto uso ai
film, ha commentato: “Pensavo che dal cinema, Hollywood, gli
attori, non venisse mai niente di buono. Ma questa volta mi ha
conquistato…come si chiama quello?... Ah, sì, Mel Gibson!”.




Ramallah


Ramallah (Asianews) – “Basciar ha circa sette anni, è riuscito a
avere sotto le mani un cd pirata del film di Mel Gibson “La
Passione di Cristo”. E' ripreso dalla telecamera di una Tv araba
con il sorriso di chi ha ricevuto il miglior regalo atteso da
tanto tempo. Dalla porta di casa, invita amici e vicini a
entrare ed a visionare il film con lui. Il cd l’ha acquistato a
scuola dove, la settimana scorsa a Ramallah, sono stati
masterizzate molte copie. E’ il primo film nella storia della
cinematografia e della storia palestinese ad essere cosi tanto
richiesto da tutti. Palestinesi, musulmani e cristiani sono
attratti dal film, non solo per motivi religiosi, ma
semplicemente per via della campagna mediatica che lo ha
accompagnato. E’ l’affare commerciale del momento, lo si trova
in vendita dappertutto, sulle bancarelle, nelle scuole, nei
negozi di alimentari e di souvenirs al prezzo quasi concordato
di quattro dollari Usa. Molti intervistati da Asianews,
riferiscono di averlo visionato per “sfidare il nemico
israeliano”. Ali Batha è uno studente dell’Università di Berzet,
ha ammesso di aver guardato il film a casa, insieme con altri
amici “per curiosità. Per capire i motivi dell’ira degli ebrei,
dei religiosi e dei critici”. La visione iniziata per curiosità
l’ha portato alla fine a dichiarare che “si tratta di un grande
film storico, di una produzione cinematografica spaventosa” e ha
aggiunto quasi deluso di “non aver trovato nulla che inciti
l’antisemitismo”.


Il film appassiona i cattolici della Terra Santa per ovvi
motivi. Padre Ayad al Tawwal, del monastero di Beit Jala,
ritiene che il successo del Film è dovuto in parte “al lancio
avvenuto in periodi di Quaresima e sotto le festività della
Pasqua cristiana”. Padre Ayad come tanti altri crede che la
curiosità palestinese musulmana nei confronti del film va vista
nelle accuse di anti-semitismo e nella critica da parte delle
comunità ebraiche. Vedendolo i palestinesi “sfidano il rifiuto
ebraico” nei confronti di questo film. I giovani laici della
chiesa cattolica palestinese hanno scaricato il film da un sito
su internet e se lo distribuiscono fra di loro come fosse
“testimonianza della sofferenza di Cristo per i nostri peccati”
ha detto ad AsiaNews, Charbel Giabbur. “ Vi è una certa
similitudine fra la Passione di Cristo e quel che patiamo sulla
nostra pelle qui, ogni giorno, del nostro interminabile
calvario” ha aggiunto.




Betlemme


La Sala dei Congressi Culturali Internazionali di Betlemme
organizza ogni giorno la proiezione del film nella propria sala.
Il Film di Gibson, è stato visto anche a Gaza ed in molte altre
città della Cisgiordania.


Il Presidente palestinese Yasser Arafat ha guardato il film, la
settimana scorsa, in compagnia di uomini del clero cristiano e
mussulmano. A fine visione Arafat ha dichiarato che “ il film
non contiene nulla che possa suscitare dei sentimenti
anti-semitici” secondo quanto hanno riferito persone del suo
entourage.


UN TRIPUDIO DI SANGUE D’AMORE




“Ogni albero buono produce frutti buoni…” (Vangelo di Matteo,
Capitolo 7, versetto 17 – confronta anche Vangelo di Matteo,
capitolo 12, versetto 33; Vangelo di Matteo, Capitolo 3,
versetto 8)






I segreti della Passione di Cristo, il nuovo “tascabile” del
giornalista e scrittore Giancarlo Padula, per la Editrice Tabula
Fati, Via Colonnetta 148 – 66013 Chieti Scalo, tel. 0871 –
63210, è il libro più richiesto del momento, in attesa che esca
anche nelle sale italiane, il 7 aprile prossimo, il controverso
film di Mel Gibson.


“Ogni albero buono produce frutti buoni…” (Vangelo di Matteo,
Capitolo 7, versetto17). Dai frutti si riconoscono i discepoli
di Gesù Cristo. Due miracoli di queste ore parlano chiaro: un
texano di 21 anni, Dan Leach, è andato alla polizia dopo aver
visto il film La Passione di Cristo di Mel Gibson e ha
confessato di aver ucciso una ragazza di 19 anni, Ashley Nicole
Wilnson, che aspettava suo figlio. Il caso era chiuso perché le
autorità avevano concluso le indagini con la convinzione che si
era trattato di un suicidio. Gli agenti hanno riferito che il
giovane ha raccontato che dopo la visione del film sulle ultime
ore della vita di Gesù Cristo, ha provato rimorso. Mentre, un
neonazista di 41 anni, Johnny Olsen, si è presentato al
commissariato di Oslo confessando due attentati.


Le molteplici polemiche che si sono accese e si accenderanno
intorno alla pellicola, sono, sono state e saranno inutili. Si
può fuggire, si possono chiudere gli occhi, coprirli con una
mano, meglio ancora si può evitare di vedere questo film. Ma chi
lo vede deve fare i conti con la storia e con Soprannaturale
soprattutto. Lasciamo perdere se Gibson poteva o no mitigare
questa tremenda violenza. La domanda che ci si deve porre è
un’altra: le cose sono andate proprio così? E se sono andare
così, cioè se il Figlio di Dio ha sofferto così tanto per ogni
nostro peccato, per salvarci dal nostro peccato, facendosi egli
stesso peccato, vuol dire che il peccato è una cosa terribile ai
suoi occhi. Se avessero mandato in diretta le immagini della
vera Passione di Cristo, le cose si sarebbero viste in questo
modo? La risposta è sì. La pellicola ricostruisce infatti la
vicenda così come è stata tramandata dalle Sacre Scritture. Si
dovrebbe riflettere: come mai Dio si è ridotto in quello stato?
Per me. Per te. Per il mio peccato, per il tuo peccato, per
evitare, per quanto fosse possibile, che dopo una manciata di
anni vissuti su un pianeta chiamato terra (più o meno “bene”),
si finisse dritti, per l’eternità all’inferno. Qualcuno dirà ehh.
Addirittura!? Ma quale inferno?!. Quello che ha vissuto Mel
Gibson, ad esempio fino a 15 anni fa, quando per grazia divina
si convertì a Cristo accogliendone la Salvezza e la sua Parola,
e di conseguenza, inevitabilmente, quando c’è una conversione,
testimoniandola con i mezzi che il Signore gli ha messo a
disposizione.


La Passione di Cristo è una rappresentazione di una morte
crudele, quella di Gesù, ottenuta con i metodi di tortura
applicati a quell’epoca dai romani.


La condanna di Gesù Cristo è stata causata da motivi religiosi
(Si era dichiarato Figlio di Dio davanti ai Sommi sacerdoti del
Tempio e questo fatto costituiva una bestemmia da pagare con la
morte), a da motivi politici: pericolo di destabilizzazione di
una delle zone più calde dell’impero romano già messo a dura
prova, in Palestina, dall’azione “sovversiva” degli Zelati, di
cui uno dei capi era Barabba, messo in libertà al posto di Gesù.


In questo senso la verità storica è violenta e scioccante.


Ma Gibson è convinto che una equazione sia per tutti valida e
dalla quale non si può sfuggire. Anche se si comprende che il
modo di fare “catechismo” o “catechesi” in questi “ultimi tempi”
stoni fortemente con questa realtà.


L’equazione è sangue=redenzione.


Ed è proprio così. Ecco, in proposito, alcuni passi
inequivocabili della Parola di Dio, vera, eterna, immutabile,
incorruttibile, che produce quello che dice: “Dio lo ha
prestabilito a servire come strumento di espiazione per mezzo
della fede, nel suo sangue, al fine di manifestare la sua
giustizia…” (Lettera di San Paolo ai Romani, capitolo 3,
versetto 25); “A maggior ragione ora giustificati per il suo
sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui” (Lettera di
San Paolo ai Romani, capitolo 5, versetto 9); “Abbiamo la
redenzione mediante il suo sangue” (Lettera di San Paolo agli
Efesini, capitolo 1, versetto 7”; “…e per mezzo di lui
riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue
della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla
terra e quelle nei cieli” (Lettera di San Paolo ai Colossesi,
capitolo 1, versetto 20); “Avendo dunque, fratelli, piena
fiducia di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù…”
(Lettera di San Paolo agli Ebrei, capitolo 10, versetto 19); “Il
sangue di Gesù ci purifica da ogni peccato..” (Prima lettera di
Giovanni, capitolo 1, versetto 7); “Foste liberati con il suo
preziosissimo sangue..” (Prima lettera di Pietro, capitolo 1,
versetto 19); “Ci ha liberati dai nostri peccati con il suo
sangue..” (Apocalisse, capitolo 1, versetto5).


Per questo ed altri motivi sono risultate pretestuose le
polemiche sul presunto antisemitismo del film. Comprensibile, ma
non giustificato, il disagio di una parte del mondo cattolico:
Gibson aderisce ad una chiesa che non accoglie i pronunciamenti
del Consiglio Vaticano II. Comprensibile anche il disagio di una
parte del mondo cristiano protestante: Il film è una esaltazione
del cattolicesimo: una parte centrale, importante, per Maria; un
concetto che si capisce bene: quello che i protestanti non
accolgono: la “Transustansazione”, il mistero divino della
trasformazione del pane (o ostia) e vino in corpo e sangue di
Cristo, reali. Bsogna dire che Gibson non voleva fare un film su
tutta la missione di Gesù di Nazareth come fece il regista
Franco Zeffirelli. Bisogna affermare, invece, che ha colto tutti
di sorpresa, nessuno forse si aspettava una rappresentazione
così realistica. Ne il sonnacchioso e accomodante mondo
cattolico né il frantumato e variegato scenario protestante.
Imbarazzata, La Commissione nazionale di valutazione delle
pellicole cinematografiche promossa dai vescovi italiani, si è
espressa così: “Accettabile, problematico, utile ai dibattiti
nelle sale parrocchiali”, l’Acec ha difeso comunque la volontà
di un regista di rappresentare il sacro, di dare forma al
mistero di Dio rivelato in Gesù, essa non è “non solo
un’aspirazione legittima, ma risponde anche ad un’esigenza della
fede cattolica”, rimarcando comunque che si tratta di una
interpretazione personale.


Il Papa Giovanni Paolo II, ha sottolineato con forti accenti
come sia utile usare le forme d’arte per trasmettere il
messaggio divino, il messaggio evangelico (Documento n. 60 della
Santa Sede).


Ennio Vannarelli, presidente della Commissione Censura italiana,
la quale ha deciso di non porre divieti nel nostro Paese, come
invece è avvenuto per altri, ha detto che il film “è stato
esaminato sotto il profilo delle immagini e del contenuto del
messaggio e alla fine si è dovuto concludere che nel caso del
film di Gibson le famiglie sanno benissimo qual è il contenuto.
Dunque deve rimanere alla responsabilità delle famiglie la
decisione di portare o meno i minori a vedere il film, la
valutazione se possano capirlo senza impressionarsi”. “D’altra
parte”, ha proseguito Vannarelli, “ in Italia purtroppo c’è una
legislazione meno articolata di quella di altre nazioni
occidentali: noi abbiamo due scelte, o divieto ai minori di 14 o
di 18 anni. Abbiamo valutato che i ragazzi che già hanno fatto
la prima comunione e che conoscono il Vangelo sanno cosa è stata
la ‘Passione’ e i 12 o i 13enni possono persino desiderare di
vederlo. Per i più piccoli, vale il discorso della
responsabilità delle famiglie: sanno benissimo qual è il
contenuto del film, sono in grado di decidere, ed è molto poco
probabile che minori al di sotto degli 8 anni vadano a vedere
questo film. Bisogna prendere atto che da un decennio il cinema
ci rovescia addosso una fiumana di violenza, immagini di orrore
terrificante e sarebbe stato davvero ridicolo e grottesco, dopo
tutta questa indegna violenza propinata a tutti i livelli,
andare a definire pericoloso solo questo film. Paragoni con il
passato è difficile farne perché oggi gli apparati tecnologici
di cui si serve il cinema consente di propinare scene di sangue
e orripilanti come accade in “Passione”. Il film di Gibson è la
trasposizione esattissima dei Vangeli”.


Gibson ha scelto un approccio iperrealista per drammatizzare al
massimo il Calvario di Cristo, con una incalzante sequenza di
violenze, tra le urla e gli sputi di un popolo, (non tutto:
Maria, la Madonna era ebrea, Pietro, il fondatore della Chiesa
cattolica era ebreo, Giovanni e gli altri apostoli erano ebrei,
e sobillato dal potere religioso dell’epoca in Terra Santa).
Gibson ha scelto l’iconografia del martirio, con precisione e
dettagliatamente, che non lascia scampo. Alibi. Perbenismo,
manierismo. L’uso della lingua aramaica e del latino volgare,
(quello parlato dai soldati romani ignoranti), ha rafforzato
l’impressione di una “diretta”. Un tripudio di sangue e d’amore.
L’offerta sacrale e cinematografica del regista, il quale si è
riservato un’unica inquadratura: quella di colui che inchioda la
mano di Gesù Cristo. La più spettacolare richiesta di espiazione
di perdono. “Spero”, ha detto Gibson, “che il mio film riconduca
i giovani alla fede”.


Il resgista si è ispirato ai quattro vangeli, ma anche, per i
minuziosi particolari, alla dettagliata descrizione della Via
Crucis, fatta nel libro “La dolorosa Passione di Nostro Signore
Gesù Cristo”, dalla Venerabile stigmatizzata dell’800, Anna
Caterina Emmerick. Il recente riconoscimento da parte della
Chiesa di un suo miracolo ha aperto le porte della sua
beatificazione. Il miracolo, attribuito a questa religiosa
agostiniana, è avvenuto in Germania nel 1880, ed è stato
riconosciuto ufficialmente dalla Santa Sede il 7 luglio 2003.
Dichiarata Venerabile alla fine del 19° secolo, il suo processo
di beatificazione venne ripreso nel 1972. Nel 2001 venne
proclamato il grado eroico delle sue virtù. Nata nel 1774 e
favorita sin dalla fanciullezza da frequenti visioni di Gesù,
della Madonna e di numerosi santi. La particolare devozione che
ella aveva verso la Passione del Redentore la spinse a
chiedergli la partecipazione alle sue sofferenze: nel 1798
cominciò a provare la coronazione di spine e dal 1812 ricevette
le stigmate visibili. A pubblicare nel 1833 il libro La Dolorosa
Passione di Nostro Signore Gesù Cristo fu lo scrittore Clemens
Maria Brentano (1778-1842), noto esponente del romanticismo
tedesco, il quale per curiosità si era recato nel 1818 a vsitare
la Emmerick e ne era rimasto così colpito de decidere di
diventarne il “segretario”, trascrivendo le visioni che ella
raccontava.


“È durissimo”, ha scritto il presidente dell’Istituto Luce,
Andrea Piersanti, il film di Mel Gibson è veramente duro e non
concede spazio alla fantasia. La passione di Gesù è descritta
nei particolari, senza indulgenze estetiche, ma anche senza
falsi pudori. Gli uncini dei flagelli strappano la carne viva e
lo spettatore soffre e sussulta insieme con il sanguinante
protagonista della storia. Per tutto il film. Due ore e dieci
minuti di sofferenza vera. Due ore e dieci minuti di autentica
commozione.


Dalla proiezione di “The passion of the Christ” si esce
scioccati e colpiti nel più profondo e intimo dei sentimenti.



La scelta di linguaggio, è facile prevederlo, provocherà più di
una polemica. Mentre il can can mediatico sul presunto contenuto
antisemita del film si scioglierà come neve al sole non appena
il pubblico potrà constatarne da solo la assoluta e totale
infondatezza, nuovi focolai di polemica si accenderanno invece
per il tono esplicito del film e per il suo linguaggio.


Il sangue corre copioso sullo schermo e tante saranno le domande
che questo susciterà. La situazione del Medio Oriente è
esplosiva e il mondo non sente il bisogno di nuovi integralismi.
Il film di Gibson, molto probabilmente, sarà visto da centinaia
di milioni di persone in tutto il mondo e a molti sembrerà un
inno al fondamentalismo. Ci vorrebbe l’aiuto di una equipe di
psicologi per capire quale effetto potranno avere quelle
immagini sulle menti e sui cuori dei più deboli.


È facile intuire però perché Mel Gibson, nonostante ciò, abbia
voluto fare comunque un film così. Un film che inizia con uno
schiocchio sparato fortissimo negli altoparlanti della sala. È
il rumore del sandalo di Gesù che schiaccia, con un “crack”, la
testa del serpente. È una scelta di campo inusuale e
“scandalosa” da parte di Gibson, nei tempi del politicamente
corretto ad ogni costo. La società contemporanea, che sarebbe
meglio definire “società delle immagini”, è fortemente
scristianizzata. La durezza dei cuori degli uomini del terzo
millennio è paragonabile in qualche modo solo alle risa volgari
e sguaiate dei soldati romani che, anche nel film di Gibson,
picchiano e poi crocifiggono Gesù. C’è un legame stretto fra
l’evento di duemila anni fa e la nostra vita quotidiana. I cuori
sono diventati di pietra, gli occhi sono serrati (anche se
ottusamente aperti sul caleidoscopio delle immagini della
modernità, come ha già detto Stanley Kubrick con il suo film –
testamento “Eyes Wide Shut”) e le orecchie sono sorde ai lamenti
della coscienza. Oggi come allora, duemila anni fa.


A questo potrebbe avere contribuito un certo annacquamento
operato sul messaggio evangelico. Come se arte figurativa prima,
e cinema e televisione dopo, avessero trascurato un aspetto
importante della vita di Gesù: la sua sofferenza, umana e
divina.


C’è un solo fotogramma, nel film di Gibson, che da solo varrebbe
l’intero prezzo del biglietto. Dopo la morte di Gesù sulla
Croce, la macchina da presa, che fino al quel momento ha seguito
il dramma senza mai staccarsi da terra, prende il volo e lo
spettatore si trova improvvisamente a guardare la scena
dall’alto dei cieli. L’immagine è come trasfigurata in uno
strano effetto a occhio di pesce. Poi anche quella bizzarra
rotondità si muove e comincia a precipitare verso la terra dove
si schianterà in pochi secondi. È la prima goccia d’acqua del
finimondo che si scatena sul Golgota. Si rimane stupefatti. La
sequenza, brevissima, rimane nell’immaginario dello spettatore
annichilito. È come se Gibson abbia avuto l’ardire di poter
immaginare e poi di voler raffigurare lo sguardo e, soprattutto,
il pianto di Dio.


Un gesto di arroganza salutare, pazzesco ma baciato dalla
grazia. Per troppo tempo abbiamo trascurato la sofferenza di
Dio. Una sofferenza che è specchio e immagine della nostra
stessa sofferenza nel peccato. Solo così infatti si può capire
perché Gibson abbia voluto essere così duro nella
rappresentazione della violenza che abbiamo inflitto a Gesù. È,
infatti, la stessa violenza che abbiamo inflitto a noi stessi.
Quelle carni martoriate sono le nostre. Le lacrime di Maria sono
le nostre. Per questo il dolore di Gesù, sullo schermo gigante
di Mel Gibson, ci colpirà così tanto. Troveremo un forte motivo
di identificazione e non sarà facile liberarsi da uno strano
sentimento. E una domanda ci coglierà all’improvviso, alla fine
della proiezione, all’uscita della sala cinematografica: dove
siamo stati in questi ultimi duemila anni? Come abbiamo fatto a
dimenticare?”


In Cina sono state realizzate dai cristiani molte videocassette
“pirata”. Tanti gruppi, a causa della persecuzione, soprattutto
di giovani si riuniscono in preghiera e tanti agnostici vogliono
conoscere la fede: la Passione di Cristo è diventato un mezzo di
evangelizzazione. Un sacerdote della chiesa non ufficiale,
sotterranea, è rimasto talmente commosso dalla visione del film
che riunisce gruppi di fedeli che siono scoppiati in lacrime
durante le proiezioni. Monsignor Guadencio Rosales, arcivescovo
di Manila ha pubblicato un messaggio di 4 pagine invitando i
cristiani della sua diocesi ad andare a vedere il film, che
definisce “un lavoro serio di amore e di valore artistico e
religioso, realizzato con molta cura”. L’arcivescovo ha
incoraggiato i cristiani a guardarlo come possibile aiuto per
“ricordare e riflettere sulla Passione del Signore, affinché
penitenza e prassi possano portare la verità nella nostra vita.
Il film è una occasione per una vera esperienza di fede e un
autentico invito a rinnovare il cuore e la fede. Mentre lo
guardate, provate a vederlo in spirito di serenità orante, fate
come se foste in meditazione, siate aperti a cogliere e
ascoltare e contemplate, rifiutando l’atteggiamento di “cercare
solo l’intrattenimento delle immagini vive e potenti che vi
passano davanti agli occhi. Provate a entrare nelle ultime ore
di Gesù e lasciate che quelle ore finali operano nella vostra
vita e nel vostro cuore”. Di parere totalmente opposto, il
cardinale Jean marie Lustiger il quale ha dichiarato che “La
Passione di Cristo è un film che manca di pudore, L’amore di Dio
non si misura in litri di emoglobina, si tratta di un
reality-show biblico, lontano mille miglia da altre
rappresentazioni del Cristo, prima fra tutte quella di Pasolini,
che descrisse Gesù con gli occhi di sua madre, o di Kieslowsky
ne “Il Decalogo”.




Bisogno di salvezza




«Devi anche sapere che negli ultimi tempi verranno momenti
difficili. Gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro,
vanitosi, orgogliosi, bestemmiatori, ribelli ai genitori,
ingrati, senza religione, senza amore, sleali, maldicenti,
intemperanti, intrattabili, nemici del bene, traditori,
sfrontati, accecati dall’orgoglio, attaccati ai piaceri più che
a Dio, con la parvenza della pietà, mentre ne hanno rinnegata la
forza interiore». (Seconda Lettera di San Paolo a Timoteo,
capitolo 3, versetti 1-5).


«Lo Spirito di chiara apertamente che negli ultimi tempi alcuni
si allontaneranno dalla fede, dando retta a spiriti menzogneri e
a dottrine diaboliche, sedotti dall’ipocrisia di impostori, già
bollati a fuoco nella loro coscienza…..>> (Prima Lettera di San
Paolo a Timoteo, capitolo 4, versetti 1- 2).


E’ la descrizione dei tempi che corrono? Certamente sì. San
Paolo, il primo grande evangelizzatore, colui che da fariseo
perseguitò con accanita ferocia le prime comunità cristiane, poi
convertitosi, dove aver avuto in visione Cristo risorto e nella
gloria del Padre, sulla via di Damasco, profetizza, nel Nuovo
Testamento, che come tutta la Parola di Dio e viva, vera,
attuale, eterna, immutabile, che produce quello che dice, alcune
situazioni che riguardano il futuro, per noi l’attualità. L’uomo
“moderno” guidato prevalentemente dalle culture dominanti,
sprofondato nel permissivismo per cui tutto è lecito, la vita è
mia e me la gestisco da me (questa è la radice del peccato
originale, di Adamo ed Eva), lanciato verso il raggiungimento
del successo personale, a volte avvinto e sedotto dal
sincretismo religioso e dalle “dottrine” e teorie luciferine
dell’ultimora, esclude nella maniera più assoluta che egli,
l’uomo, l’umanità (il singolo e l’insieme), abbia bisogno di una
salvezza, né tanto meno di un Salvatore. Questo è il motivo
fondamentale per il quale una parte del mondo attuale ha gridato
allo scandalo quando sono comparse le immagini di Gesù
martoriato nel film “La Passione di Cristo” di Mel Gibson, uno
straordinario evento di fede e d’arte. Il secondo motivo di
scandalo è che un Dio possa essersi ridotto in quel modo per
“amore”. Abbiamo una visione dell’amore molto permissiva per
quanto riguarda l’adulterio, una vita “libera”, svincolata dalle
leggi divine e dalla Parola di Dio nel messaggio evangelico;
l’uomo (una parte) è più propenso a sposarsi un altro uomo
piuttosto che sottomettersi alle regole cosmiche e di vita umana
disposte dal creatore, è più bendisposta a parlare di madre
natura, piuttosto che di Dio uno e trino, il cui figlio è morto
e risorto per i peccati degli uomini. Il problema di fondo è che
non si ha coscienza di peccato. Dio, per sua libera scelta ha
tanto amato il mondo e l’uomo, la sua creatura prediletta (più
degli angeli), perché fatto a sua immagine somiglianza
(confronta i capitoli di Genesi, nella Bibbia), da donare il suo
Figlio unigenito, pur di salvare l’uomo. Da cosa? Dalla morte
eterna. Il peccato originale e tutti quelli che hanno seguito
(basta guardarsi intorno) avevano definitivamente separato
l’uomo da Dio. C’è voluto un “pontefice”, uno cioè che colmasse
questo vuoto. La dolorosissima Passione di Cristo e la sua morte
ci fanno comprendere (e molti lo comprendono) che Egli al fine
di salvare l’uomo dell’eterna rovina (l’inferno), si è umiliato
incarnandosi in una “carcassa” umana e affrontando una morte
ingiusta e terribile. Facendosi egli stesso peccato, al fine di
distruggere il peccato e la morte e chi del peccato e della
morte è artefice: Lucifero, l’ex angelo decaduto: satana, il
diavolo, il maligno. Tutto viene azzerato. E’ solo il Sangue di
cristo che ci salva come spiegano molto bene San Paolo e San
Pietro nelle Lettere (si può consultare nella Bibbia il Nuovo
Testamento). Tutta questa riluttanza al sangue di Cristo da
parte di alcuni settori del mondo cristiano attuale, lascia
molto, molto perplessi. Il cristianesimo dei “perbenisti” che si
sono dimenticati (o non sanno) che Cristo è morto nudo
(scandalo?), il cristianesimo di facciata annacquato e ridotto a
qualche mera superficiale pratica religiosa (come i farisei del
tempio), svuotato dal mistero della salvezza e dalla messa in
pratica della Parola di Dio sostituita da altre parole e “tesi”,
nella potenza dello Spirito, si è scandalizzato Invece c’è
proprio bisogno di salvezza, c’è bisogno di un Salvatore. Gesù
Cristo è la salvezza, Gesù Cristo è la via, (vita e verità),
Gesù Cristo è la verità, Gesù Cristo è il solo mezzo per
riconciliarsi con il Padre. Gesù Cristo è colui che ha sconfitto
il tuo peccato, la tua miseria; la tua malattia, la tua
situazione. E’ colui che ha sconfitto la morte. Se Gesù Cristo è
risorto (come lo è), niente è più come prima. «….è stato messo a
morte per i nostri peccati, ed è stato risuscitato per la nostra
giustificazione…»(Lettera di San Paolo ai Romani, capitolo 4,
versetto 25). Le cause della condanna, morte di Gesù sono state:
Piano Divino; potere religioso del tempo (Farisei-sadducei);
potere politico del tempo (Impero romano – truppe di occupazione
del turbolento (come oggi) territorio della Palestina.


Gesù come è attualmente








Chi pensa che Cristo attualmente, abbia le stesse sembianze di
quel Gesù che è nato nella mangiatoia, che ha percorso in lungo
in largo la Terra Santa beneficando, guarendo, cacciando demoni,
proclamando l'instaurazione del regno di Dio, lo stesso che è
morto in croce o anche che è apparso in carne ed ossa agli
apostoli vivendo con loro per quaranta giorni, deve cancellare
dalla sua mente ogni possibile iconografia. Egli non è come
alcuna delle immagini esistenti oggi al mondo, ma è così:


"...c'era uno simile a un figlio di uomo, con un abito lungo
fino ai piedi e cinto al petto con una fascia d'oro. I capelli
della testa erano candidi, simili alla lana candida, come neve.
Aveva gli occhi fiammeggianti come fuoco, i piedi avevano
l'aspetto del bronzo splendente purificato nel crogiuolo. La
voce era simile al fragore di grandi acque. Nella destra teneva
sette stelle, dalla bocca gli usciva una spada affilata a doppio
taglio e il volto somigliava al sole quando splende in tutta la
sua forza. I suoi occhi sono come fiamma di fuoco, ha sul suo
capo molti diademi; porta scritto un nome che nessuno conosce
all'infuori di lui. E' avvolto in un mantello intriso di sangue
e il suo nome è Verbo di Dio. Dalla bocca gli esce una spada
affilata per colpire con essa le genti. Egli le governerà con
scettro di ferro e pigerà nel tino il vino dell'ira furiosa del
Dio onnipotente. Un nome porta scritto sul mantello e sul
femore: Re dei Re e Signore dei signori."


(Apocalisse capitolo 1, versetti 12 - 16; capitolo 19, versetti
12 - 16).


Il cristianesimo era ridotto a un vago buonismo




Si legge su Internet: «Un’opera che va a toccare in profondità
ferite mai rimarginate della coscienza universale. Si tratta,
ovviamente, e in primo luogo, della ferita che è all’origine
della nostra cultura e della nostra civiltà cristiana, nella
quale siamo nati e ci siamo formati. Una ferita che nasce dal
dolore e dall’ amore: il dolore di una passione fatta di carne ,
sangue e morte, morte di un Dio che si è fatto uomo; e amore, un
amore universale capace dell’estremo sacrificio per un’ umanità
che da sola non può andare oltre la sua contingenza intrisa di
peccato. Una ferita che è uno scandalo in sé, lo scandalo della
Croce, del tormento del Giusto che scelse la via della massima
sofferenza e umiliazione per salvare una speranza di salvezza
umana che, vista sul teatro della storia, 2000 anni dopo quel
sacrificio, non sembra ancora all’orizzonte. Ma quella parte
dell’umanità che si richiama alla tradizione cristiana non
sembra neppure capace di memoria, se pensiamo che in un mondo in
cui la religione, nelle sue versioni più integraliste, sta
tornando alla ribalta come strumento d’identità e di lotta per
la supremazia, il messaggio cristiano, al contrario, ha perso
negli ultimi decenni gran parte del suo impatto originario,
riducendosi, almeno nella versione prevalente, a buonismo
pacifista, politicamente ed ecologicamente corretto. Ne è un
sintomo la preoccupazione di molti opinionisti cattolici (più
che delle gerarchie) per le reazioni critiche nei confronti di
un film ‘colpevole’ soltanto di riproporre lo scandalo della
Croce nella sua sanguinosa realtà».




Un vescovo riflette




«Il film di Mel Gibson”, si legge nel portale Totuus Tuus, a
proposito del commento di un vescovo, “è una prova d’arte
cinematografica che si cimenta col racconto, agli uomini di
oggi, della Passione, morte e Resurrezione di Gesù di Nazareth
di cui sono testimonianza i Vangeli e l’annuncio della Chiesa.
Cerca di riproporne, attraverso la commozione estetica, la forza
attuale di interrogazione. Come di fronte ai Promessi Sposi, a
un quadro di Caravaggio o alla Commedia siamo rilanciati a
domande circa il destino, il senso del viaggio umano e la legge
che tiene il mondo, così in modo analogo - pur nella evidente
differenza - di fronte a questo film si può alzare la domanda su
Gesù Cristo che sorgeva nei primi che lo incontravano: «Chi è
costui?». Naturalmente, uno spettatore può guardare un film su
Cristo con la medesima svagatezza con cui guardava il Gibson
attore in Arma letale e uscirsene dal cinema, al massimo, con la
convinzione di avere speso bene o male i soldi per il biglietto.
Diceva Péguy che il “fruitore” ha una grande responsabilità: è
lui che compie l’opera d’arte, è la qualità della sua attenzione
che ne decide il livello di riuscita. E non è detto che i
milioni di persone che stanno guardando il film siano attenti a
tal punto da uscire con una domanda vera, con un movimento della
propria persona veramente profondo. L’arte ha una legge sola: è
un gesto differente da tutti gli altri che l’uomo compie per
comunicare la propria esperienza. Non è un articolo, non è un
saggio, non è un proclama, non è nemmeno un discorrere tra
amici. Gibson nella sua Passione ha comunicato la sua esperienza
cristiana, e lo ha fatto, come accade per gli artisti, legando
una serie infinita di particolari nell’unità di una visione.
Sono i singoli particolari (quelli che ci rimangono impressi,
che ci raccontiamo di nuovo dopo averlo visto) a muovere le
impressioni, a suscitare le più radicali emozioni. Così, in
questo caso, il suono delle lingue originali, la brutalità del
trattamento subito dal condannato Gesù, certe sospensioni di
sguardo dei protagonisti, l’emergere nel ricordo di Gesù o degli
altri di scene della vita passata a partire da un particolare
come una goccia, la posizione di una gamba… Tutti questi e mille
altri sono, appunto, i frammenti che l’artista ha curato perché
arrivassero a colpire il nostro occhio e l’occhio interiore
della nostra emozione. Ma la riuscita artistica sta nell’aver
tenuto l’energia di ognuno di questi particolari uniti nella
commozione per la figura umana di Cristo nel momento in cui
compie coscientemente la missione affidatagli dal Padre. Non un
supereroe, ma un uomo che nell’istante della sua estrema
debolezza mostra la sorgente della sua forza vittoriosa: «Fatto
obbediente fino alla morte». Colpisce l’estrema “normalità” di
quegli avvenimenti così eccezionali. Dio che si fa uomo. Quel
giovane falegname che scherza con la madre. Che parla ai suoi
amici a cena - ogni ricordo è come un quadro di Caravaggio (a
cui il regista si è ispirato fin nella scelta delle tonalità dei
costumi di scena) -, spezza il pane, versa il vino: «Non c’è
amore più grande di colui che dà la vita per l’amico». Poi il
tradimento di Giuda. Il rinnegamento di Pietro, schiacciato
dalla paura della rappresaglia. La Maddalena, perdonata. Come
non rimanere sorpresi - così come lo è il soldato ebreo - della
“semplicità” con cui riattacca l’orecchio mozzato da Pietro? E
soprattutto Maria, la madre, «invecchiata più di dieci anni» (Péguy).


Gibson ha scelto come elemento “drammatico” principale, ovvero
come azione in cui noi spettatori potessimo cogliere più
chiaramente la commozione a cui tutti i particolari tendono,
proprio lo sguardo della Madonna a suo Figlio. Quello è lo
“spazio drammatico” principale del film. Esso conta
infinitamente più di ogni altro particolare, anzi da tutti gli
altri (il processo, la presenza del contro-sguardo demoniaco, il
sangue, che è tanto, le grida, il paesaggio) è messo in rilievo,
per così dire potenziato. È lei che lo guarda sapendo. Che
guarda suo Figlio con l’infinita, straziata tenerezza
dell’essergli accanto senza poter alleviare il suo dolore, con
il suo materno desiderio di morire con lui, ma anche con la
coscienza che si sta compiendo l’evento centrale del mondo. E
lui a quello sguardo risponde, cercandolo come lo cerca
qualunque figlio soffrendo. Ma lo cerca anche rilanciando, nel
momento finale della croce, quello sguardo nella storia del
mondo, istituendo la Chiesa come loro vita nel lascito a
Giovanni e a lei, Maria, così come nell’Ultima Cena, le cui
immagini fanno da significativo contrappunto alla Passione.


Grazie a un uso sapiente e tecnologicamente avanzato del mezzo
cinematografico, Gibson ha offerto una visione della passione di
Cristo e della sua figura per nulla sdolcinata o sentimentale.
Le polemiche che lo hanno accompagnato sono difficilmente
giustificabili, se non in quanto espressione di un disagio per
il fatto che si riproponga all’attenzione popolare la figura di
Gesù con quella sua pretesa inaudita. Così come non sembrano
condivisibili gli allarmi di antisemitismo: il popolo ebraico,
che ha portato tutto il peso della storia precedente, è quello
in cui sono nati Pietro e Giovanni, la Maddalena, Maria e quindi
Gesù di Nazareth come compimento della profezia antica.

Vero è che, trattandosi della questione Gesù Cristo, sta allo
spettatore, per una volta, non essere solo spettatore, ma
brandire quella domanda che il film rilancia - «Chi è Costui?» -
e cercarne una risposta adeguata. Sperando che trovi, fuori
della sala del cinema, occasioni che a quella domanda offrano
ancora compagnia e ipotesi di lavoro. Poiché è la questione
centrale dell’esistenza, di tutti i giorni e dell’universo
intero, tutto si gioca su come si posiziona la libertà di
ciascuno di fronte al fatto.

Don Giussani racconta di una donna incontrata in confessionale:
il marito le era morto e uno dei figli, impazzito, aveva ucciso
l’altro. Così era rimasta sola e protestava contro Dio per
quella ingiustizia. Lui la condusse davanti a un grande
crocifisso in fondo alla chiesa: «Se ha da dire qualcosa, glielo
dica». E lei, dopo un lungo silenzio: «Ha ragione».


Forse è proprio questa la forza del film. Un colpo netto, una
provocazione a ricordare che il cristianesimo non è un
sentimentalismo, una questione di comportamento, ma un fatto
totalmente e “crudamente” umano; ha suscitato e suscita anche
irritazione, non solo per il suo realismo: può Dio abbassarsi a
tal punto e assumere la fragilità, il dolore fino a morire?


Il film si chiude con la resurrezione, e questa è l’inizio di
una nuova storia - senza la quale quella raccontata da Mel
Gibson resterebbe un incomprensibile fatto del passato -. Una
storia altrettanto normale eppure eccezionale, perché umana e
divina.


E così la domanda «Chi è costui?» apre a quella ancora più
decisiva, perché è la domanda della vita oggi: «Dov’è costui?».
Qui si gioca tutto il dramma della libertà e del presente.
Chissà, forse raccontato in un prossimo film”.


O nel prossimo libro.


“Il film non è antisemita ed è una valida predicazione del
Vangelo”, afferma un padre gesuita


Intervista al traduttore in latino e aramaico del copione de “La
Passione”.>>






Padre William J. Fulco


Padre William J. Fulco, docente di Culture mediterranee antiche
al dipartimento di Archeologia classica della Loyola Marymount
University di Los Angeles, ha conosciuto, negli ultimi tempi,
una rapida notorietà dopo aver prestato le proprie conoscenze
linguistiche, traducendo in latino e aramaico il copione del
film “La Passione di Cristo” di Mel Gibson.

Intervistato da “Io donna”, il supplemento femminile del
Corriere della Sera (n. 12, 20 marzo 2004), in merito alle
polemiche su un presunto antisemitismo, ha detto: “Chiunque
abbia visto il film sa che queste critiche sono ingiustificate.
(...) Sono convinto che il film non sia antisemita e che non sia
stato un errore farlo perché è un buon film. Penso che
rappresenti una valida predicazione del Vangelo”.

In merito al valore religioso del film, Fulco ha spiegato “La
Passione di Cristo nella storia del cinema è stata ridotta a
mero simbolo e Gesù è stato sempre visto come un bel ragazzo
californiano dagli occhi blu”.


“Se la fase della predicazione è stata raccontata piuttosto
bene, la Passione la Morte, la Resurrezione, sono sfuggite alla
rappresentazione perché mettono lo spettatore a disagio, sono
una sfida alla fede”, ha precisato il padre gesuita.


“'E tu, chi tu dici che io sia?' Mel ci sbatte in faccia questa
domanda di Gesù”, ha affermato Fulton.


Per quanto riguarda il revival nei confronti dell’aramaico che
ha fatto seguito all’uscita del film, il padre gesuita ha
raccontato: “L’interesse che sto registrando nei confronti dell’aramaico
è semplicemente fenomenale”.


“La Cnn ha fatto uno speciale da Ma’alula in Siria sull’aramaico
moderno e ogni giorno ricevo 10-12 e-mail di studenti e
insegnanti su questo argomento, insieme con due-tre richieste al
giorno di studenti che vogliono iscriversi ai corsi di aramaico”.



“I Cristiani dell’est, gli ‘assiri’ che usano l’aramaico come
lingua della liturgia e parlano nella vita di tutti i giorni un
moderno dialetto aramaico mi hanno sommerso di messaggi di
gratitudine per aver risvegliato questo interesse”, ha concluso
Fulton.


A proposito del film di Mel Gibson, che racconta le ultime ore
della vita di Gesù di Nazareth, la sua morte e resurrezione.
Viste attraverso gli occhi di Maria (Si legge tra l’altro nel
Portale Totuus Tuus…..)


«L’arte ha una legge sola: è un gesto differente da tutti gli
altri che l’uomo compie per comunicare la propria esperienza.
Non è un articolo, non è un saggio, non è un proclama, non è
nemmeno un discorrere tra amici. Gibson nella sua Passione ha
comunicato la sua esperienza cristiana, e lo ha fatto, come
accade per gli artisti, legando una serie infinita di
particolari nell’unità di una visione. Sono i singoli
particolari (quelli che ci rimangono impressi, che ci
raccontiamo di nuovo dopo averlo visto) a muovere le
impressioni, a suscitare le più radicali emozioni. Così, in
questo caso, il suono delle lingue originali, la brutalità del
trattamento subito dal condannato Gesù, certe sospensioni di
sguardo dei protagonisti, l’emergere nel ricordo di Gesù o degli
altri di scene della vita passata a partire da un particolare
come una goccia, la posizione di una gamba… Tutti questi e mille
altri sono, appunto, i frammenti che l’artista ha curato perché
arrivassero a colpire il nostro occhio e l’occhio interiore
della nostra emozione. Ma la riuscita artistica sta nell’aver
tenuto l’energia di ognuno di questi particolari uniti nella
commozione per la figura umana di Cristo nel momento in cui
compie coscientemente la missione affidatagli dal Padre. Non un
supereroe, ma un uomo che nell’istante della sua estrema
debolezza mostra la sorgente della sua forza vittoriosa: «Fatto
obbediente fino alla morte».




Lo sguardo di Maria al Figlio


Colpisce l’estrema “normalità” di quegli avvenimenti così
eccezionali. Dio che si fa uomo. Quel giovane falegname che
scherza con la madre. Che parla ai suoi amici a cena - ogni
ricordo è come un quadro di Caravaggio (a cui il regista si è
ispirato fin nella scelta delle tonalità dei costumi di scena)
-, spezza il pane, versa il vino: «Non c’è amore più grande di
colui che dà la vita per l’amico». Poi il tradimento di Giuda.
Il rinnegamento di Pietro, schiacciato dalla paura della
rappresaglia. La Maddalena, perdonata. Come non rimanere
sorpresi - così come lo è il soldato ebreo - della “semplicità”
con cui riattacca l’orecchio mozzato da Pietro? E soprattutto
Maria, la madre, «invecchiata più di dieci anni» (Péguy).


Gibson ha scelto come elemento “drammatico” principale, ovvero
come azione in cui noi spettatori potessimo cogliere più
chiaramente la commozione a cui tutti i particolari tendono,
proprio lo sguardo della Madonna a suo Figlio.


Quello è lo “spazio drammatico” principale del film. Esso conta
infinitamente più di ogni altro particolare, anzi da tutti gli
altri (il processo, la presenza del contro-sguardo demoniaco, il
sangue, che è tanto, le grida, il paesaggio) è messo in rilievo,
per così dire potenziato. È lei che lo guarda sapendo. Che
guarda suo Figlio con l’infinita, straziata tenerezza
dell’essergli accanto senza poter alleviare il suo dolore, con
il suo materno desiderio di morire con lui, ma anche con la
coscienza che si sta compiendo l’evento centrale del mondo. E
lui a quello sguardo risponde, cercandolo come lo cerca
qualunque figlio soffrendo. Ma lo cerca anche rilanciando, nel
momento finale della croce, quello sguardo nella storia del
mondo, istituendo la Chiesa come loro vita nel lascito a
Giovanni e a lei, Maria, così come nell’Ultima Cena, le cui
immagini fanno da significativo contrappunto alla Passione.

Un colpo netto


Grazie a un uso sapiente e tecnologicamente avanzato del mezzo
cinematografico, Gibson ha offerto una visione della passione di
Cristo e della sua figura per nulla sdolcinata o sentimentale.
Le polemiche che lo hanno accompagnato sono difficilmente
giustificabili, se non in quanto espressione di un disagio per
il fatto che si riproponga all’attenzione popolare la figura di
Gesù con quella sua pretesa inaudita. Così come non sembrano
condivisibili gli allarmi di antisemitismo: il popolo ebraico,
che ha portato tutto il peso della storia precedente, è quello
in cui sono nati Pietro e Giovanni, la Maddalena, Maria e quindi
Gesù di Nazareth come compimento della profezia antica.

Vero è che, trattandosi della questione Gesù Cristo, sta allo
spettatore, per una volta, non essere solo spettatore, ma
brandire quella domanda che il film rilancia - «Chi è Costui?» -
e cercarne una risposta adeguata. Sperando che trovi, fuori
della sala del cinema, occasioni che a quella domanda offrano
ancora compagnia e ipotesi di lavoro. Poiché è la questione
centrale dell’esistenza, di tutti i giorni e dell’universo
intero, tutto si gioca su come si posiziona la libertà di
ciascuno di fronte al fatto.

Don Giussani racconta di una donna incontrata in confessionale:
il marito le era morto e uno dei figli, impazzito, aveva ucciso
l’altro. Così era rimasta sola e protestava contro Dio per
quella ingiustizia. Lui la condusse davanti a un grande
crocifisso in fondo alla chiesa: «Se ha da dire qualcosa, glielo
dica». E lei, dopo un lungo silenzio: «Ha ragione».


Forse è proprio questa la forza del film. Un colpo netto, una
provocazione a ricordare che il cristianesimo non è un
sentimentalismo, una questione di comportamento, ma un fatto
totalmente e “crudamente” umano; ha suscitato e suscita anche
irritazione, non solo per il suo realismo: può Dio abbassarsi a
tal punto e assumere la fragilità, il dolore fino a morire?


Il film si chiude con la resurrezione, e questa è l’inizio di
una nuova storia - senza la quale quella raccontata da Mel
Gibson resterebbe un incomprensibile fatto del passato -. Una
storia altrettanto normale eppure eccezionale, perché umana e
divina.


E così la domanda «Chi è costui?» apre a quella ancora più
decisiva, perché è la domanda della vita oggi: «Dov’è costui?».
Qui si gioca tutto il dramma della libertà e del presente.
Chissà, forse raccontato in un prossimo film».




Impatto mediatico




“….Analizzando la valanga di commenti nordamericani”….ha scritto
tra l’altro Giovanni Bastiani, si comprende che l’impatto
sull’insieme della società è stato fortissimo, che in pratica
quasi tutti i gruppi sociali sono stati coinvolti e la
sovraesposizione mediatica incredibile. Che Gibson abbia avuto
talento e testardaggine nell’ideare e girare una pellicola
“impossibile” – recitata in aramaico e latino con scarni
sottotitoli in inglese, con attori non certo “on the wave”, a
parte lui, boicottato dalle majors hollywoodiane (i cui boss ora
si macerano nell’invidia…), con un soggetto religioso e per
giunta del tutto tradizionale e senza alcuna concessione al
“politicamente corretto”, ad una qualunque delle mode e tendenze
radical-chic imposte dalla casta intellettuale che domina
nell’industria dell’entertainment e delle news – è fuor di
dubbio. I pezzi “di colore” descrivono un pubblico
diversificato, attento, in prevalenza dei ceti popolari in
specie afro-americani e ispanici, spesso partecipe ed
emozionato, magari sconcertato dalle torture che Cristo (un Jim
Caviezel descritto come pienamente nella parte e d’altronde è
cattolico, come la moglie, entrambi devoti alla Regina Pacis, la
Madonna di Medjugorje) deve subire nelle 12 ore fatali della
Passione, plasticamente effiggiate da Gibson. Circa il presunto
antisemitismo si vuol forse “tralasciare” il piccolo particolare
che Gesù, Maria e Pietro erano ebrei”?


Il Cardinal George Pell, arcivescovo di Sydney, ha scritto un
suo commento al film “La Passione di Cristo” apparso sul
quotidiano “Sunday Telegraph” (22.02.2004) e sulla pagina web
dell’arcidiocesi di Sydney con il titolo “By His Wounds We Are
Healed” (“Dalle sue ferite noi siamo guariti”).


Commento del Cardinale Pell sul film "La Passione"


“E’ carne forte”, ha affermato il porporato


“Il film è un capolavoro contemporaneo, dal punto di vista
artistico e tecnico. Non risulta assurdo compararlo con i
dipinti del maestro italiano Caravaggio, per la sua bellezza e
il suo dramma.


E’ più spiritualmente genuino, persino più violento ma meno
erotico delle tele di Caravaggio.

“La Passione” appartiene alla svolta del XX sec., il più crudele
nella storia, a causa della sua violenza, esplicita e costante.
La flagellazione è peggiore della crocifissione.


E’ come il film “Braveheart” di Gibson, solo più in questo modo,
e allo stesso tempo “confronting” (ti porta, cioè, a metterti
faccia a faccia con qualcosa, ndr); un’avvertenza per gli
spettatori. In quanto credente, ho trovato il film estenuante.
Alcuni che lo hanno visto insieme a me piangevano.


E’ certamente un antidoto per coloro che pensano che la
crocifissione fosse come una festicciola per il the del
pomeriggio. Gesù non viene banalizzato o reso sentimentale.


Il film non è una trascrizione letterale dei racconti
evangelici, ma un’opera d’arte dove il terribile conflitto fra
il bene e il male viene illustrato simbolicamente. Il male è
personificato da una terrificante figura androgina di donna con
una voce da uomo e (ad un certo punto) da un orribile creatura
che ha le sembianze di un bambino.


Cristo calpesta un serpente (il tentatore) durante l’agonia nel
giardino del Getsemani.

L’eccezionale performance viene da Maia Morgenstern, ebrea di
origine rumena, che recita nel ruolo di Maria la madre di Gesù.
E’ forte e meravigliosa nella sua sofferenza e tenerezza, una
madre convincente per il maestro e il personaggio pubblico che è
stato perseguitato.


Gli attori che interpretano il ruolo di Gesù sono parecchio
svantaggiati a mio avviso, poichè le esigenze della parte sono
impossibili da sostenere. Non avrei attraversato la strada per
sentire una qualche figura di Cristo in altri film, ma James
Caviezel fa bene Gesù. Se da una parte la dentatura superiore di
Gesù non era probabilmente perfetta e bianchissima come la sua,
dall’altra ha riverenza per ciò che si sta sforzando di fare e
si avvicina al suo ruolo più di qualsiasi altro io abbia visto
prima.

Il film non è anti-semita poichè gli eroi Gesù e Maria sono
ebrei. Noi siamo testimoni di una terribile disputa all’interno
della Comunità Ebraica Palestinese. Nè Gesù, nè nessun altro
invoca vendetta. Egli spiega che i suoi aggressori non sanno
cosa stanno facendo. Nè il film fa cadere la colpa della morte
di Gesù sulla nazione ebraica….


Ogni tipo di persona andrà a vederlo, anche se per ragioni
diverse. Alcuni credenti si sentiranno offesi. Molti vedranno la
propria fede rafforzata. I non-credenti lo troveranno
avvincente, una battaglia primordiale fra il bene e il male.
Coloro che sono ancora alla ricerca di qualcosa saranno spinti a
riflettere. Ho chiesto che tutti gli studenti più grandi delle
scuole cattoliche vengano invitati a vedere il film, ma senza
alcuna costrizione.


Aiuterà coloro che non sono addentro a queste cose a comprendere
perchè ci sono stati così tanti martiri pronti a morire per
Cristo, (più nel XX sec. che in qualsiasi altro) e perchè la
cristianità ha ancora un’influenza così profonda su molte
culture differenti dopo 2.000 anni. La chiamata a seguire Cristo
è personale e originale. Non è mai esistita una moralità
medievale che riuscisse ad ottenere un impatto simile a quello
del film”.




Monsignor Foley




Foley: una occasione per i giovani per capire il grande amore di
Gesù


«Antisemitismo? Eccessiva violenza? Solo un’occasione per capire
il grande amore di Gesù per tutti noi», ha detto tra l’altro
Monsignor Foley, delle Comunicazioni sociali del Vaticano ai
microfoni dei ragazzi del Portale www.Korazym.org , «Ho trovato
il film molto commovente, un’esperienza spirituale. In realtà,
quando ho visto il film, ho pensato che anche io sono
responsabile delle sofferenze di Cristo, che ha sofferto così
tanto per me e per tutti noi. “Per quanto riguarda l’eccessiva
violenza utilizzata in alcune scene del film, credo che la vera
Passione di Gesù fu una cosa terribilmente violenta. Spesso non
ci facciamo caso, ma non possiamo immaginare quanto abbia
sofferto Gesù. Penso che questo film sottolinei il sacrificio
che Cristo ha fatto per noi. Ho trovato il film di Gibson
violento, ma non troppo violento, perché riporta accuratamente
le sofferenze reali vissute da Gesù. Per quanto riguarda la
questione dell’antisemitismo, personalmente ho trovato il ruolo
dei romani ancora più discutibile. Forse avrebbero avuto maggior
ragione i romani nel protestare, perché nel film sono descritti
come violenti e crudeli. E non gli ebrei. Inoltre, è un fatto
storico, narrato dalla Scrittura, che furono gli ebrei a punire
Gesù; furono loro a scegliere di liberare Barabba e di
condannare Cristo. Gesù stesso, la sua mamma, i suoi apostoli e
discepoli erano ebrei. Quindi non ritengo che il film sia
antisemita”.“Ho visto il film, in spezzoni, tre volte. La prima
ho trovato ben fatte alcune scene, riprese fedelmente dal
Vangelo. In dicembre ho visto lo sviluppo del film e ho notato
l’inserimento di alcune parti, possiamo dire discutibili, come
la figura del diavolo. Le ho trovate non troppo fedeli al
Vangelo. Avrei forse preferito un film sulla linea esclusiva del
Vangelo, come ha fatto ad esempio Pasolini, con un suo stile
discutibile, ma fedele alle Scritture in tutto. Però c’è da dire
che il film di Mel Gibson è molto professionale; c’è una qualità
tecnica molto superiore alla pellicola di Pasolini. Quindi,
ripeto, ho apprezzato molto ‘The Passion’ di Gibson. Il Santo
Padre ha visto il film, di questo sono certo perché ho parlato
con il Suo Segretario. Ma non ho chiesto cosa abbia pensato il
Santo Padre del film, perché non volevo metterlo in condizioni
di dover rispondere; ho preferito non chiedere. In un’intervista
rilasciata a Porta a Porta ho detto che il film richiama
l’attenzione della gente non solo alla persona di Gesù, ma anche
alla realtà del peccato e del prezzo del peccato, della
sofferenza di Gesù che è morto per amore per il mondo intero.
Credo che sia un film che anche i giovani debbano vedere per
capire davvero quanto ci ha amato Cristo».




Andate a vederlo!




«Vorrei, se potessi, quasi costringervi, cari lettori, ad andare
al cinema», ha scritto tra l’altro Barra, direttore della
rivista Il Timone, sul Portale Totus Tuus, come altri interventi
sintetizzati in questa panoramica, «e non andateci soli. Portate
mogli e mariti, senza dimenticare i vostri figli, magari
debitamente preparati, avvertendo che la Passione e la Morte di
nostro Signore Gesù Cristo sono quanto di più crudele, disumano
e terribile gli uomini abbiano mai compiuto nel corso della loro
storia. Invitate i vostri amici ad accompagnarvi e se li trovate
titubanti, se accampano scuse, se vi dicono di no, se sono
sempre a corto di tempo libero, offritevi di pagare loro il
biglietto. Non vi pentirete. A loro farà un gran bene, a voi
costerà qualcosa, ma ricordatevi che Dio non si fa battere da
nessuno in magnanimità. Egli saprà come ricompensare la vostra
generosità. Sì, perché vedere e far vedere il film di Gibson è
un'autentica opera di apostolato, di evangelizzazione, di
consolidamento della fede cattolica. Non chiedetemi come, quando
e dove l'ho visto in anteprima. Mi è stata offerta questa
opportunità che considero - credo proprio non a torto - un
regalo del Signore. Non vi dico a dire della bellezza estetica
del film, della recitazione, degli attori, delle scenografie,
dei costumi, delle musiche, degli effetti speciali e
quant'altro. Di tutto questo si parlerà abbondantemente.


Vi dirò solo che, al di là di qualche licenza rispetto alla
lettera del testo evangelico, voi sarete immersi, come foste a
pochi passi, mischiati tra la folla, nelle ore tremende che
hanno preceduto la vittoriosa risurrezione da morte di Cristo.
Vi sarà mostrata la Passione e la Morte del Dio fatto uomo, e ne
uscirete non solo con il ricordo delle immagini, ma con il cuore
segnato, l'animo pensoso, il bisogno di silenzio e con la
necessità di guardarvi dentro, per meditare, cercare di
comprendere e probabilmente per chiedere perdono a Dio dei
peccati commessi.

Non vi disturberà il fatto che gli attori recitino in lingua
aramaica - quella parlata da Gesù - e in latino. Conoscete il
Vangelo, sarà facile capire semplicemente guardando. E
partecipando all'evento. Quella che vi aspetta è un'esperienza.
Al termine della quale non potrà mancare l'amara domanda:
"Quanto hai sofferto per me, mio Signore? Quanto è grande il tuo
amore per me, mio Dio!".


Il film di Gibson andrebbe visto da ogni cattolico, e fatto
vedere anche a chi cattolico non è. A chi crede in Dio e a chi
di Dio non importa nulla. Non assicuro - ci mancherebbe - che si
converta, ma che qualche tarlo cominci a rodergli dentro,
qualche domanda no si affacci alla sua coscienza, se non l'ha
messa del tutto a tacere, questo sì.


In tal senso è un film apologetico, che il regista ha
realizzato, profondendovi denari a milionate di dollari, con lo
scopo principale di far apprezzare il significato della Passione
e Morte di Cristo, di richiamare la grandezza incommensurabile
dell'amore di Cristo per ciascuno di noi, per ogni uomo,
riscattato a caro prezzo. Il prezzo di una sofferenza che solo
Dio fatto Uomo poteva sopportare. E con lo spargimento di un
sangue innocente, che le immagini evidenziano assai bene».




La contemplazione della Passione




Giovanni Cantoni, responsabile nazionale di un organismo del
laicato, Alleanza Cattolica e direttore della rivista
Cristianità, studioso della Dottrina Sociale, è particolarmente
attento alle mutazioni delle tendenze della cultura e delle arti
ed al loro impatto nell’immaginario popolare, come riportato nel
Portale Totuus tuus, da Giovanni Bastiani: « Ho assistito alla
proiezione con un numero consistente di pre-giudizi, ampiamente,
se non totalmente, ricavati da quanto avevo letto del film sulla
stampa. E la visione non mi ha per nulla confermato tali
pre-giudizi. Credo di poter, e di dover, esprimere un giudizio
positivo, come integrazione e ricostruzione verosimile del
testo, quindi delle informazioni evangeliche. Infatti il film
costituisce prezioso aiuto alla contemplazione della Passione,
quindi, di nuovo, alla ricostruzione a uso di meditazione e di
riflessione personale di un passaggio nodale della vita del
Salvatore. Personalmente non vi ho visto altro, oltre alla
riproposizione animata, cioè in sequenza, d’immagini note a ogni
occidentale, anche di non particolare cultura, in quanto
costitutive del deposito d’informazione ricavabile dal mondo
delle arti figurative, soprattutto del tempo tardo medioevale e
protoumanistico. Trovo le descrizioni coerenti con l’esito,
almeno — per esempio — com’è illustrato dall’Uomo della
Sindone».


“I commenti sul film più discusso dell’anno da parte di Padre
Thomas Rosica”, si legge nel Portale www. Korazym. org, “nascono
da anni di studio sul Nuovo Testamento e in particolare sui
brani narranti la Passione, da più di 15 anni di stretta
collaborazione con la consulta nazionale ebraico-cristiana del
Canada, dall’amicizia e dai rapporti di lavoro con ebrei e,
ancor più, dalla sua esperienza con la stampa internazionale
nell’ambito della Giornata Mondiale della Gioventù del 2002 a
Toronto”. : «Raramente un film ha ricevuto tanta attenzione da
parte dei media già prima della sua realizzazione, quanta ne ha
ricevuta “La Passione di Cristo” di Mel Gibson. Raramente così
tante voci da ambienti differenti della società, dalla Chiesa,
dalle altre chiese e dalla Sinagoga, sono state coinvolte in un
dibattito su un film. In realtà, Jim Caveziel stesso, durante il
summit internazionale di Miami, mi disse che il film aveva
superato tutti i record per interesse pubblico prima ancora
della stessa uscita nelle sale cinematografiche prevista per il
25 febbraio.

Il film di Mel Gibson non è per un pubblico di bambini. Se il
desiderio del regista, attraverso il film, era di permettere
alla gente di avvicinarsi maggiormente alla figura di Cristo, ha
raggiunto lo scopo. Se Gibson sperava di portare la gente a una
conversione del cuore verso il messaggio non violento della
Croce, bene, ha raggiunto anche questo obiettivo. Ogni singola
scena è dettagliatamente creata per invitare lo spettatore a
scendere sempre più in profondità del mistero della sofferenza e
della morte di Cristo per la nostra salvezza. Il film è un
capolavoro di arte religiosa. Man mano che le riprese
procedevano, coloro che erano semplicemente spettatori entravano
nel cuore della storia di Cristo. Gibson non ha fatto nulla per
rimuovere la brutalità dalla Passione. Infatti non aveva
intenzione di inserire “pillole di pietismo” o di falsa
spiritualità nella vicenda della Passione. Lo spettatore è
forzato a guardare la brutalità degli eventi e ad assistere alla
sofferenza di un uomo. Le scene divennero più brutali, quelle
con più forza sono i momenti di flashback di Gesù che insegna
sul Monte delle Beatitudini, Gesù che si identifica con il Buon
Pastore, Gesù che offre la Sua vita nel Pane e nel Vino
dell’Ultima Cena. Appena ho visto e sentito il linguaggio e
l’emozione che circondano il film sui giornali, nei media e nei
gruppi di discussione, iniziai a riflettere sul motivo di tale
movimento. In gran parte sono convinto che tutto ciò sia dovuto
all’ignoranza, all’ossessione di essere politicamente corretti,
una povera consapevolezza delle vere relazioni fiduciose e una
non volontà di trovarsi alle prese con i fatti caldi e la natura
ambigua del processo a Gesù. Cristiani ed ebrei che vengono in
contatto con le Scritture in un modo maturo ci sono, ma
promuovere semplicemente una falsa concezione della storia
basata sull’ignoranza non aiuta di certo a costruire ponti e a
riparare al danno reale dell’anti-semitismo che è vivo ancora
oggi nel mondo. La vecchia massima “quelli che non sanno parlano
e quelli che sanno non parlano” può certamente ben essere
applicata a tutto l’inchiostro sprecato per parlare del film. Ho
sentito dibattiti odiosi tra gente che non aveva la minima idea
su cosa fosse il film. Come uno che è stato profondamente
coinvolto per anni nel dialogo e nella collaborazione tra ebrei
e cristiani posso dire che il film non è per nulla antisemita o
anti-ebraico. Né sovrastima, né sottovaluta il ruolo delle
autorità ebraiche e legali nel processo di condanna a Gesù.
Senza dubbio Caifa, alto sacerdote ebraico, è un villano. Ma è
anche importante realizzare che Caifa nelle Scritture
rappresenta il regime del tempo e non il popolo ebraico. Questo
film dovrebbe servire come trampolino per una lettura più
profonda delle Scritture, per un amore più forte verso Gesù
Cristo, per la nostra comprensione dell’importanza di una
storica riconciliazione tra cristiani ed ebrei, specialmente dal
Concilio Vaticano II e sotto il Pontificato di Papa Giovanni
Paolo II, e per un’analisi delle vere cause dell’antisemitismo,
nonché del suo diffondersi ancora oggi. E’ triste pensare che
molte voci all’interno della Chiesa, per non parlare di tutte
quelle che ne sono al di fuori, abbiano già condannato il film
ancora prima di averlo visto, presupponendo che sia antisemita.
Se si deve riconoscere qualcosa al film è che obbliga anche lo
spettatore più distante e disinteressato a scendere in
profondità nella vicenda del processo e della morte di Gesù.
Ebrei e romani di quel tempo erano coinvolti nella condanna, nel
processo e nell’esecuzione di Gesù. Questo è un fatto di storia.
Nessuno che cerchi di riscrivere la storia o la storia del
Vangelo di Gesù sofferente e della Sua morte è infedele alla
storia e disonesto nell’applicare lezioni del passato alle
vicende contemporanee. La vera questione che emerge dal film è
come molti politici e anche autorità religiose attraverso la
storia abbiano perseguitato individui con idee rivoluzionarie.
Le storie evangeliche della Passione raccontano come tutti i
peccati di quelle persone al tempo di Gesù contribuissero a
giungere alla Passione e alla morte di Cristo e ancor più
suggeriscono la verità fondamentale che noi siamo tutti da
rimproverare. I loro e i nostri peccati portano alla croce di
Cristo, ed Egli li prende su di sé. Dobbiamo imparare da cosa è
successo a Gesù e domandarci non solo dell’identità di quelli
che l’hanno processato, condannato e ucciso tanto tempo fa, ma
anche COSA ha ucciso Gesù… e quali circoli viziosi di brutalità,
violenza e odio continuano a crocifiggerlo oggi attraverso suoi
fratelli e sorelle della famiglia umana». «Nella Passione di
Gibson», ha detto ancora il sacerdote si ragazzi di
www.korazym.org, «il “grande sommo sacerdote” è Gesù, il Bambino
di Betlemme che diventa “Ecco L’Uomo” di Gerusalemme, non molto
distante da noi e dalla nostra condizione, ma uno che gioisce e
soffre con noi perché ha fatto esperienza della nostra debolezza
e del nostro dolore, anche delle nostre tentazioni. Devo
chiedermi se sono una persona clericale come era Lui? Vivo per
gli altri e spendo la mia vita per gli altri? Il mondo è un po’
meno violento, ostile e brutale, e un po’ più paziente anche un
po’ per merito mio? Sto dalla parte della verità? Oppure ho
paura a rivelare la mia fede in Gesù e la mia fedeltà alla
Parola? “La Passione” mi costringe a riflettere sull’importanza
del discepolato. Ecco il testo dell'omelia che ho "predicato"
nella piu' grande sinagoga di Toronto davanti a una folla di
ebrei! Davvero questo momento della Passione e' diventato un
momento forte e propozio di annuncio di Cristo! Il fatto che
questo film come il mondo stiano parlando di Gesù 2000 anni dopo
i fatti cruenti della Sua sofferenza e morte, attesta
l’universale successo del film, spirituale e teologico. Pochi
rappresentanti della Chiesa e documenti possono portare il mondo
a parlare di Gesù. Se la Chiesa d’oggi soffre di qualcosa, è una
profonda mancanza di coraggio da parte della leadership della
Chiesa a proclamare Gesù Cristo fisicamente. Sempre meno
rappresentanti riescono a unire i cristiani insieme attorno al
mistero della sofferenza e della morte di Cristo e alla vittoria
che Egli ha vinto per noi. Pochi hanno già invitato cristiani ed
ebrei a studiare insieme la Passione e a fare qualcosa per
riconoscere il peccato dell’antisemitismo e la sua ricomparsa
nel mondo d’oggi. Se Dio è stato capace di lavorare attraverso
il mezzo del film, la debolezza umana di Hollywood, i suoi noti
attori e produttori per raccontare al mondo la storia della
passione di Gesù e gli effetti salvifici della Sua Resurrezione,
questo è motivo di gratitudine da parte della Chiesa. Teologia e
falsa unità religiosa che non sono strettamente collegate a Gesù
Cristo non uniranno la Chiesa e non ci porteranno a Dio.
Meditando Gesù sofferente e la Sua morte desidereremo di
imitarlo, seguirlo, amarlo e di essere salvati da Lui. Per tale
ragione sono profondamente grato a “La Passione di Cristo”».




Il commento di Padre Thomas Rosica




«Raramente un film ha ricevuto tanta attenzione da parte dei
media già prima della sua realizzazione», ha commentato Padre
Thomas Rosica sul portale www. Korazym.org, «quanta ne ha
ricevuta “La passione di cristo” di Mel Gibson. Raramente così
tante voci da ambienti differenti della società, dalla Chiesa,
dalle altre chiese e dalla Sinagoga, sono state coinvolte in un
dibattito su un film. In realtà, Jim Caveziel stesso, durante il
recente summit internazionale di Miami, mi disse che il film
aveva superato tutti i record per interesse pubblico prima
ancora della stessa uscita nelle sale cinematografiche prevista
per il 25 febbraio. Vorrei fare alcuni commenti sul film, ora
che l’ho visionato interamente in due differenti occasioni. Sono
una persona sacerdotale che sa spendermi per gli altri come lui?


Il film di Mel Gibson non è per un pubblico di bambini. Se il
desiderio del regista, attraverso il film, era di permettere
alla gente di avvicinarsi maggiormente alla figura di Cristo, ha
raggiunto lo scopo. Se Gibson sperava di portare la gente a una
conversione del cuore verso il messaggio non violento della
Croce, bene, ha raggiunto anche questo obiettivo. Ogni singola
scena è dettagliatamente creata per invitare lo spettatore a
scendere sempre più in profondità del mistero della sofferenza e
della morte di Cristo per la nostra salvezza. Il film è un
capolavoro di arte religiosa.


Man mano che le riprese procedevano, coloro che erano
semplicemente spettatori entravano nel cuore della storia di
Cristo. Gibson non ha fatto nulla per rimuovere la brutalità
dalla Passione. Infatti non aveva intenzione di inserire
“pillole di pietismo” o di falsa spiritualità nella vicenda
della Passione. Lo spettatore è forzato a guardare la brutalità
degli eventi e ad assistere alla sofferenza di un uomo. Le scene
divennero più brutali, quelle con più forza sono i momenti di
flashback di Gesù che insegna sul Monte delle Beatitudini, Gesù
che si identifica con il Buon Pastore, Gesù che offre la Sua
vita nel Pane e nel Vino dell’Ultima Cena.


Appena ho visto e sentito il linguaggio e l’emozione che
circondano il film sui giornali, nei media e nei gruppi di
discussione, iniziai a riflettere sul motivo di tale movimento.
In gran parte sono convinto che tutto ciò sia dovuto
all’ignoranza, all’ossessione di essere politicamente corretti,
una povera consapevolezza delle vere relazioni fiduciose e una
non volontà di trovarsi alle prese con i fatti caldi e la natura
ambigua del processo a Gesù. Cristiani ed ebrei che vengono in
contatto con le Scritture in un modo maturo ci sono, ma
promuovere semplicemente una falsa concezione della storia
basata sull’ignoranza non aiuta di certo a costruire ponti e a
riparare al danno reale dell’anti-semitismo che è vivo ancora
oggi nel mondo. La vecchia massima “quelli che non sanno parlano
e quelli che sanno non parlano” può certamente ben essere
applicata a tutto l’inchiostro sprecato per parlare del film. Ho
sentito dibattiti odiosi tra gente che non aveva la minima idea
su cosa fosse il film. Come uno che è stato profondamente
coinvolto per anni nel dialogo e nella collaborazione tra ebrei
e cristiani posso dire che il film non è per nulla antisemita o
anti-ebraico. Né sovrastima, né sottovaluta il ruolo delle
autorità ebraiche e legali nel processo di condanna a Gesù.
Senza dubbio Caifa, alto sacerdote ebraico, è un villano. Ma è
anche importante realizzare che Caifa nelle Scritture
rappresenta il regime del tempo e non il popolo ebraico. Questo
film dovrebbe servire come trampolino per una lettura più
profonda delle Scritture, per un amore più forte verso Gesù
Cristo, per la nostra comprensione dell’importanza di una
storica riconciliazione tra cristiani ed ebrei, specialmente dal
Concilio Vaticano II e sotto il Pontificato di Papa Giovanni
Paolo II, e per un’analisi delle vere cause dell’antisemitismo,
nonché del suo diffondersi ancora oggi.


E’ triste pensare che molte voci all’interno della Chiesa, per
non parlare di tutte quelle che ne sono al di fuori, abbiano già
condannato il film ancora prima di averlo visto, presupponendo
che sia antisemita. Se si deve riconoscere qualcosa al film è
che obbliga anche lo spettatore più distante e disinteressato a
scendere in profondità nella vicenda del processo e della morte
di Gesù. Ebrei e romani di quel tempo erano coinvolti nella
condanna, nel processo e nell’esecuzione di Gesù. Questo è un
fatto di storia. Nessuno che cerchi di riscrivere la storia o la
storia del Vangelo di Gesù sofferente e della Sua morte è
infedele alla storia e disonesto nell’applicare lezioni del
passato alle vicende contemporanee. La vera questione che emerge
dal film è come molti politici e anche autorità religiose
attraverso la storia abbiano perseguitato individui con idee
rivoluzionarie. Le storie evangeliche della Passione raccontano
come tutti i peccati di quelle persone al tempo di Gesù
contribuissero a giungere alla passione e alla morte di Cristo e
ancor più suggeriscono la verità fondamentale che noi siamo
tutti da rimproverare. I loro e i nostri peccati portano alla
croce di Cristo, ed Egli li prende su di sé. Dobbiamo imparare
da cosa è successo a Gesù e domandarci non solo dell’identità di
quelli che l’hanno processato, condannato e ucciso tanto tempo
fa, ma anche COSA ha ucciso Gesù… e quali circoli viziosi di
brutalità, violenza e odio continuano a crocifiggerlo oggi
attraverso suoi fratelli e sorelle della famiglia umana. Da
qualche parte ho letto che Maia Morgenstern, l’attrice ebraica
che interpreta magistralmente la parte di Maria, ha detto che
“The Passion” contrappone oppressione e violenza. “Permette alla
gente di parlare apertamente di cosa pensa e crede. Denuncia la
pazzia della violenza e della crudeltà, che se incontrollata,
può diffondersi come una malattia”.


Al termine di un film tanto provocatorio mi restano tante
domande. Nella Passione di Gibson il “grande sommo sacerdote” è
Gesù, il Bambino di Betlemme che diventa “Ecco L’Uomo” di
Gerusalemme, non molto distante da noi e dalla nostra
condizione, ma uno che gioisce e soffre con noi perché ha fatto
esperienza della nostra debolezza e del nostro dolore, anche
delle nostre tentazioni. Devo chiedermi se sono una persona
clericale come era Lui? Vivo per gli altri e spendo la mia vita
per gli altri? Il mondo è un po’ meno violento, ostile e
brutale, e un po’ più paziente anche un po’ per merito mio? Sto
dalla parte della verità? Oppure ho paura a rivelare la mia fede
in Gesù e la mia fedeltà alla Parola? “La Passione” mi costringe
a riflettere sull’importanza del discepolato. Ecco il testo
dell'omelia che ho "predicato" ieri sera nella piu' grande
sinagoga di Toronto davanti a una folla di ebrei! Davvero questo
momento della Passione e' diventato un momento forte e propozio
di annuncio di Cristo!


Il fatto che questo film come il mondo stiano parlando di Gesù
2000 anni dopo i fatti cruenti della Sua sofferenza e morte,
attesta l’universale successo del film, spirituale e teologico.
Pochi rappresentanti della Chiesa e documenti possono portare il
mondo a parlare di Gesù. Se la Chiesa d’oggi soffre di qualcosa,
è una profonda mancanza di coraggio da parte della leadership
della Chiesa a proclamare Gesù Cristo fisicamente. Sempre meno
rappresentanti riescono a unire i cristiani insieme attorno al
mistero della sofferenza e della morte di Cristo e alla vittoria
che Egli ha vinto per noi. Pochi hanno già invitato cristiani ed
ebrei a studiare insieme la passione e a fare qualcosa per
riconoscere il peccato dell’antisemitismo e la sua ricomparsa
nel mondo d’oggi. Se Dio è stato capace di lavorare attraverso
il mezzo del film, la debolezza umana di Hollywood, i suoi noti
attori e produttori per raccontare al mondo la storia della
passione di Gesù e gli effetti salvifici della Sua resurrezione,
questo è motivo di gratitudine da parte della Chiesa. Teologia e
falsa unità religiosa che non sono strettamente collegate a Gesù
Cristo non uniranno la Chiesa e non ci porteranno a Dio.
Meditando Gesù sofferente e la Sua morte desidereremo di
imitarlo, seguirlo, amarlo e di essere salvati da Lui. Per tale
ragione sono profondamente grato a “La Passione di Cristo”»







Capitolo a sè




Le reazioni nel Mondo Islamico




“Avete il Nuovo Testamento in arabo? Io e tutti i miei amici
vorremmo leggerlo”. E’ la richiesta di due studenti del Qatar,
provocata dalla visione del film. Già al secondo giorno di
programmazione, molti giornali locali parlavano del film in
prima pagina. Nei primi tre giorni di lancio sarebbero stati
venduti 66.321 biglietti, che hanno battuto il primato raggiunto
da Matrix Reloaded, con 59.000. La popolazione del Qatar è di
522.099 abitanti e il 92 per cento è musulmana. Il film, ad un
certo punto è divenuto così popolare in Qatar che alcune sale
hanno cancellato il programma per proiettarlo. I cristiani del
Medio Oriente, sono rimasti stupiti da tanto interesse. Ciò che
colpisce molto è il messaggio evangelico di amare i propri
nemici. Il film sta suscitando un grande interesse verso Gesù e
la Bibbia. Tutto questo non era mai successo”.


“All'apparenza non si spiega”, si è letto sul quotidiano La
Repubblica, “The Passion, il film è stato un trionfo nei Paesi
islamici. A tutti i livelli. E' piaciuto ad Arafat che l'ha
visto nel suo bunker di Ramallah trovandolo commovente e
storicamente accurato. Ha entusiasmato gli imam sciiti del
Qatar, superando il vaglio di una censura che abitualmente
impedisce di mostrare l' immagine di qualsiasi profeta
riconosciuto dal Corano. Genera file fin dal mattino davanti ai
cinema di Damasco, dove hanno dovuto aggiungere uno spettacolo
alla programmazione. Raccontano di donne velate che escono in
lacrime. E nella Beirut multiconfessionale ha più pubblico nelle
sale dei quartieri musulmani che in quelli cristiani. Ho provato
a chiedere un' interpretazione a un amico scrittore libanese,
Jad El Hage, convinto maronita. è andato in un cinema della
islamica Tripoli, insieme con quattro amici del suo villaggio
natale, tutti musulmani e persone semplici. A loro è piaciuto
molto di più”.




L’Associazione Mondiale Cattolica per la Comunicazione analizza
"The Passion"


Presidente: P. Peter Malone MSC, Componente del Pontificio
Consiglio per le Comunicazioni Sociali Segretario: M. Robert
Molhant, Consulente del Pontifical Council for Social
comunications



La Passione di Cristo è una considerevole realizzazione
cinematografica.


Per quanto riguarda le questioni ebraico-cristiane e il
linguaggio esplicito sugli ebrei del Vangelo, specialmente il
Vangelo di San Giovanni, è importante ricordare che
l’antagonismo più formale, “ufficiale”, tra cristiani ed ebrei è
emerso nei primi decenni del secolo II. I Vangeli di Matteo,
Marco e Giovanni sono sorti dalle comunità ebraiche. Il Vangelo
di Luca si basa molto sulle scritture ebraiche, intessendo
riferimenti e motivi biblici attraverso l’intero suo testo. Il
contrasto tra Gesù e i capi religiosi del tempo era un contrasto
all’interno dell’ebraismo; era una controversia religiosa
relativa al Messia (di cui ve ne erano un gran numero il quel
periodo) e alle affermazioni di Gesù. I discepoli che divennero
cristiani accettarono le sue affermazioni, a differenza di molti
capi religiosi tra i sacerdoti e i farisei che non le
accettarono. Vi erano poi altri convertiti come Paolo, che erano
fieri delle proprie radici giudaiche. Non è facile entrare nel
contesto in cui visse Gesù e nella mentalità di quel tempo,
considerati i secoli di antagonismo e le repressioni e
persecuzioni degli ebrei da parte di comunità cristiane e
cattoliche.


I lontani trascorsi che hanno visto i cristiani accusare gli
ebrei di aver ucciso Gesù, hanno avuto il suo ruolo nell’ambito
del dibattito. Mentre la Chiesa cattolica ha chiesto scusa per
il lungo periodo di persecuzioni e il frequente antisemitismo
del passato in un documento del Concilio Vaticano II (1965) e
Papa Giovanni Paolo II si è recato in visita al muro del pianto
nel 2000 dove in una crepa ha posto una sua preghiera,
continuano ad essere sollevate questioni sulla morte di Gesù
come parte di un piano divino e su come i capi religiosi ebrei
del tempo, insieme ai romani con Ponzio Pilato, avessero avuto
il loro preciso ruolo nell’ambito di questo piano.


IL RETROSCENA BIBLICO


La narrazione de “La Passione” si basa su ciascuno dei quattro
Vangeli. Basti pensare al terremoto e alla distruzione del
tempio preso da Matteo, l’allontanarsi del giovane ricco preso
da Marco, la donna di Gerusalemme (nel film, Veronica e la
figlia) presa da Luca, le sequenza di Pilato sulla verità prese
da Giovanni. Questo quadro di collegamenti tra gli eventi
nell’ambito di un’unica narrazione, è come erano ricordate e
trascritte le storie del Vangelo. Qualche elemento è tratto
anche dai successivi racconti dei vangeli apocrifi (la Veronica
e il velo, Dimaco il ladrone “cattivo”).

Una delle difficoltà che dei film sulla vita di Gesù,
specialmente dovuta agli studiosi e ai teologi non pratici delle
tecniche e delle convenzioni della narrativa cinematografica, è
che a volte essi tendono ad essere criticati e giudicati come se
dovessero essere dei veri Vangeli. Vengono considerati carenti
su questo aspetto e quindi scartati o condannati. Questo è uno
dei rischi a cui va incontro “The Passion”. Occorre ribadire che
questo è un film e che la scenografia è “una versione” delle
storie del Vangelo, senza pretesa di essere esso stesso Vangelo.



L’utilizzo dei quattro Vangeli significa che vi sono diverse
prospettive relative agli ebrei del tempo in ciascuno dei
Vangeli. Il Vangelo di Matteo presuppone una conoscenza profonda
delle scritture ebraiche e vede Gesù come il compimento della
profezia. Di qui le scene più “apocalittiche” al momento della
sua morte. Marco e Luca osservano dal di fuori: Luca scrive per
lettori abituati alla narrativa greca e romana. Il Vangelo di
Giovanni risalente alla fine del primo secolo, riprende le
radici giudaiche della Cristianità ma riconosce la crescente
spaccatura.


La scenografia riesce a integrare gli eventi del Vangelo in
un’unica e coerente narrazione della passione con flashback
accuratamente scelti, relativi all’infanzia di Gesù e alla vita
a Nazaret (la caduta da bambino, la fabbricazione di un tavolo
nella falegnameria, il suo rapporto con la madre e il suo
giocare con l’acqua mentre si lavava le mani), che sono
creazioni in linea con lo spirito dei Vangeli. Altri flashback
sono relativi al passato di Maria Maddalena messo in relazione
all’adultera del capitolo 8 di Giovanni, relativi a Pietro che
protesta riaffermando la sua lealtà, e relativi all’Ultima Cena.
Vi è un flashback all’accoglienza delle palme a Gerusalemme,
durante la scena in cui la folla lo schernisce mentre sale verso
il Calvario. Vi è uno sviluppo dei personaggi come quelli di
Pilato e della moglie, Simone di Cirene, il centurione, il
ladrone buono e il ladro che ingiuria Gesù (retribuito nella
forma di una folla incattivita che lo attacca). Di interesse è
il ritratto di Satana, il Tentatore, che appare inizialmente con
caratteristiche androgene, con apparenza femminile ma con voce
maschile, e che rivela la sua femminilità con il progredire del
film e che appare infine al momento della crocifissione (con una
tecnica visiva che ricorda William Wallace mentre guarda la sua
amata durante la propria esecuzione) con un bimbo in braccio.
Ancora una volta si tratta di licenze creative nell’interpretare
Gesù mentre viene tentato e messo alla prova.


Come nella maggior parte dei film su Gesù, grande attenzione
viene dedicata a Giuda. Le sue motivazioni non sono rese
esplicite nel film, il quale dà per scontata la conoscenza del
personaggio.


Il film ripropone le sue azioni nel Getsemani e il successivo
pentimento con la restituzione delle trenta monete d’argento.
Introduce la scena dei bambini che incontrano Giuda e lo
scherniscono mentre egli va verso la morte.


IL RETROSCENA TEOLOGICO


Le principali questioni teologiche che interessano il pubblico
dei film su Gesù sono: 1. L’umanità e la divinità di Gesù, 2. La
risurrezione di Gesù.


L’umanità e la divinità di Gesù.


“The Passion” generalmente segue l’approccio alla persona di
Gesù usato dai Vangeli sinottici - una cristologia “bassa” - si
concentra inizialmente sull’umanità di Gesù per procedere verso
una maggiore consapevolezza della sua divinità. Quando il film
usa Giovanni come fonte, riflette la “alta” cristologia di quel
Vangelo, dà per scontata la divinità di Gesù che esprime in
parole e gesti.


L’approccio sinottico emerge sia nei flashback relativi agli
eventi precedenti alla passione, sia negli eventi principali
della passione stessa, nell’agonia nel Getsemani, nel modo in
cui Gesù viene trattato dal Sinedrio e da Erode, nella
flagellazione e nell’incoronazione di spine, nella via crucis e
nella stessa crocifissione. L’approccio giovanneo emerge nella
confessione di essere il Figlio dell’Uomo fatta da Gesù durante
il suo e nelle discussioni con Pilato sulla verità e sul suo
regno.

Questo significa che, teologicamente, il film presenta
l’insegnamento perenne che Gesù, nella sua persona, aveva una
natura sia divina che umana.


L’umanità di Gesù spesso viene presentata in un modo forte: Gesù
che lavora a Nazaret, l’esperienza di profondo dolore umano
durante l’agonia, la flagellazione, le cadute nella via verso il
Calvario, la crocifissione. L’umanità la ritroviamo anche nella
sua dignità durante il processo, nella sua compostezza di fronte
a Pilato ed Erode. Il film la evidenzia anche nell’angoscia
dell’anima e nel senso di abbandono durante l’agonia nell’Orto
degli Ulivi e sulla croce, ma anche nel suo totale abbandono al
Padre.


Mentre il Gesù del cinema è solitamente di costituzione esile e
magra, Jim Caviezel è un uomo grande, forte e robusto, un
falegname credibile e un uomo solido. Questo rende il Gesù del
film più reale del solito.


La Resurrezione


Alcuni hanno criticato il film, che si concentra sulla passione,
per la scarsa considerazione della risurrezione di Gesù. (Tali
furono anche le critiche degli anni ’60 e ’70 relative al film
“Jesus Christ Superstar”.) Teologicamente, la Passione trova il
suo senso solo alla luce della resurrezione.


Mentre il film di Mel Gibson vuole immergere gli spettatori
nell’esperienza della passione, la sequenza finale mostra la
pietra che chiude la tomba. La pietra viene poi rotolata via, le
bende che avvolgono il corpo di Gesù cadono e la telecamera
scorge il profilo di Gesù, che siede nella tomba, come preludio
della sua vita risorta. Queste sono le immagini con le quali lo
spettatore lascia il cinema. La risurrezione, seppure presentata
brevemente, rimane il culmine della passione.


L’Eucaristia

Durante la passione vi sono dei flashback all’ultima cena e in
particolare a Pietro che protesta dicendo che non lo rinnegherà,
e a Gesù che lava i piedi dei discepoli.


Uno dei punti teologici di maggior forza del film è
l’inserimento delle scene eucaristiche dell’ultima cena quando
Gesù viene inchiodato e alzato sulla croce. Mentre egli offre il
pane come il suo corpo, noi vediamo il corpo che viene
dolorosamente trafitto e donato per noi. Mentre Gesù offre il
vino come il suo sangue, noi siamo fin troppo consapevoli del
versamento di sangue che egli fa per noi.


Gesù dice ai discepoli che non vi è amore più grande di colui
che dona la vita per gli amici – e noi lo vediamo pienamente.
Egli gli dice di celebrare l’eucaristia così che la sua passione
e la sua morte possano essere loro presenti.


In questo modo, la scenografia evidenzia entrambi gli aspetti
dell’Eucaristia: la celebrazione della cena, la comunione; e il
sacrificio di Gesù.


Maria

Maria è fortemente presente nel film “The Passion”. Appare come
una donna di 40 anni, non bellissima ma d’aspetto
straordinariamente interessante. Ella appare in due flashback e
il suo atteggiamento è serio. Dice molto poco. Con Maria
Maddalena e Giovanni, segue la passione e la via crucis senza
alcuna teatralità propria di molti ritratti di Maria, tra cui
quello di Pasolini nel “Vangelo secondo Matteo”. In un certo
momento lava il pavimento del pretorio, dal sangue di Gesù, dopo
la flagellazione. Bacia i piedi insanguinati trafitti dai
chiodi. Il legame tra la madre e il figlio emerge diverse volte
attraverso un contatto visivo eloquente, piuttosto che con la
parola. Viene anche rappresentata la richiesta a Giovanni di
prendersi cura di Maria. Dopo la deposizione, lei sorregge il
corpo impersonando la Pietà.


Il pubblico probabilmente apprezzerà la rappresentazione di
Maria. Coloro che trovano alcune delle rappresentazioni
cinematografiche del passato troppo simili ai santini o alle
statue gradiranno una figura di Maria maggiormente aderente alla
letteratura biblica.


Il retroscena cinematografico


“The Passion of Christ” si inserisce in una tradizione più che
centenaria di film su Gesù. L’epoca del muto ha prodotto sia
film brevi ed istruttivi sia film come “Dalla mangiatoia alla
croce”, il “Christus” italiano e la parte evangelica del film
“Intolerance” di D.W. Griffith. I maggiori film degli anni ’20
sono stati “Ben Hur” e il “Re dei re”, l’epopea di Cecil B. de
Mille.


Per trentacinque anni, dal 1927 al 1961, non vi è stata
rappresentazione di Gesù come personaggio di primo piano in film
sui Vangeli prodotti dagli studi americani. È stato visto in
diversi film fatti da compagnie protestanti americane. Ed è
stato rappresentato parzialmente (una mano, un braccio, le gambe
sulla croce o visto da lontano) in film come “The Robe” e “Ben
Hur” negli anni ’50.


Dopo questa vacatio, Jeffrey Hunter appare come il “Re dei re”,
Max Von Sydow in “The Greatest Story Ever Told”. Quando Jeffrey
Hunter ha parlato in “Re dei re”, è stata la prima volta che il
pubblico sentì un attore proferire le parole di Gesù. Pasolini
fece un’eccezionale versione in bianco e nero negli anni ’60,
“Il Vangelo secondo Matteo”, e Rossellini fece “Il Messia” nei
primi anni ’70.


Brian Deacon apparve come Gesù, in un approccio più evangelico
nel film “Gesù” (che è stato distribuito in versione limitata ai
pellegrini in visita a Roma per il Giubileo del millennio).
Questo filone ha raggiunto il culmine con il “Gesù di Nazaret”
di Zeffirelli, alla fine degli anni ‘70.


Movimenti musicali della fine degli anni ’60 portarono a “Jesus
Christ Superstar” e “Godspell”, entrambi girati nel 1973.


La maggior parte dei film mirava a presentare un Gesù
“realistico”, ma molti (tra cui Pasolini) hanno utilizzato
direttamente i testi dei Vangeli (che dovevano essere letti)
come una parte sostanziale delle loro scenografie: un uso
letterale dei Vangeli, insomma. Zeffirelli, d’altra parte, ha
adottato lo stesso metodo usato negli stessi Vangeli: ha preso
eventi della vita di Gesù per combinarli in modo da creare
effetto sul pubblico.


Tuttavia, utilizzando attori occidentali, e località europee o
americane, questi film non erano così realistici come avrebbero
voluto.


I musical in particolare hanno evidenziato come la narrazione
cinematografica dei Vangeli è più “stilizzata” che “realistica”.



Dal 1988, vi sono stati un numero di rappresentazioni
cinematografiche di Gesù: “L’ultima tentazione di Cristo” (1988)
che è una versione “romanzata” dei Vangeli, Gesù di “Montreal”
(1998) e “Man Dancin’” (2003) che propongono la rappresentazione
della passione in una città moderna, il Gesù animato nel “The
Miracle Maker” (2000) e la miscela di umano e divino nella
ficion americana “Jesus” (1999). Più recentemente vi è la
rappresentazione di carattere piuttosto americano di Gesù nella
fiction della Paulist Film Production “Jesus” (2001, uscirà nel
2004) e un Gesù più tradizionale nel film di Philip Saville “Il
Vangelo di Giovanni”.


È in questa tradizione che “The Passion” giunge sugli schermi.
Mel Gibson ha dimostrato le sue capacità di regia in “Man
without a face” (1993) e nel film vincitore dell’Oscar
“Braveheart” (1995).


Una delle principali intenzioni del regista e dell’aiuto
sceneggiatore, Ben Fitzgerald, è stato di immergere gli
spettatori nel realismo della passione di Gesù. L’attore Jim
Caviezel è stato scelto per rappresentare Gesù (l’unica altra
attrice di fama è l’italiana Monica Bellucci che rappresenta
Maria Maddalena). Caviezel aveva la stessa età di Gesù quando il
film è stato girato. Come già accennato, egli è un Gesù umano
credibile, un lavoratore robusto e solido in grado di resistere
alle terribili sofferenze della passione prima della morte.


Uno degli aspetti controversi del film è la decisione originaria
di svolgere i dialoghi del film in aramaico e latino senza
sottotitoli. La scelta linguistica è stata portata avanti e ha
funzionato bene.


Tuttavia i sottotitoli si sono resi necessari, e molti di essi
sono citazioni dalle scritture. Non vi è alcuna distrazione nel
sentire accenti anacronistici americani o britannici. Piuttosto,
il pubblico sente come le conversazioni si svolgevano in quei
giorni. È utile ricordare che Gesù parlava l’aramaico e non
l’inglese!


Una utile distinzione è tra il “realismo” e il “naturalismo”.
Quest’ultimo si riferisce ai film che riportano le scene così
come sono: filmati privati o riprese giornalistiche.


Il “realismo” è proprio invece dei film che consentono al
pubblico di avere la sensazione guardare qualcosa come se
quest’ulimo fosse vero. Una serie di strumenti cinematografici
come lo stile delle diverse composizioni per lo schermo, i tipi
di riprese e il ritmo del montaggio possono essere usati per
dare l’impressione di realismo.


Mel Gibson ha scelto di rendere gran parte del suo film
“naturalistico”. Egli dedica molto tempo e sembra non avere
nessuna fretta di distoglierci dalle immagini di Gesù che
soffre. Probabilmente alcuni spettatori troveranno troppo forti
le immagini della flagellazione. Con la maggior parte dei
personaggi ripresi in modo “naturalistico”, l’azione sembra
autentica. Tuttavia, Gibson è in grado di usare gli strumenti
cinematografici che alterano la percezione, per aiutare il
pubblico a capire che sta vedendo una particolare versione della
passione, così come succede quando usiamo la nostra
immaginazione mentre ascoltiamo le narrazioni della passione.
Frequentemente usa scene rallentate per farci soffermare su dei
momenti particolari.


Questo naturalismo si scorge negli scontri nel Getsemani, nel
processo di Gesù, nella flagellazione e coronazione di spine e
specialmente nella via crucis mentre Gesù si sforza di portare
la croce, cade con violenza, viene inchiodato sulla croce ed
elevato su di essa. La stilizzazione emerge nelle immagini
ravvicinate, con le differenze di luce (Getsemani con una luce
blu, lo spazio circoscritto della corte del Sommo sacerdote
illuminato a giorno, la chiara luce del giorno durante la via
crucis), l’inquadratura dei personaggi che ricordano i dipinti
della tradizione cristiana, il tempo che passa mentre Gesù pende
dalla croce, la sua morte e la successiva sequenza apocalittica,
gli spunti sulla risurrezione.

Questo offre un quadro credibile e comprensibile di Gesù. Gibson
ha introdotto alcuni elementi che efficacemente lo rafforzano.
Ad esempio, nel giardino, Gesù viene colpito nell’occhio e da
allora, come durante il processo, egli ha solamente l’uso di un
solo occhio; quando riesce ad aprire l’occhio ferito, Gibson
dimostra grandemente la sua abilità nel contatto visivo con
Pilato, con la mamma e con Giovanni ai piedi della croce, il
quale semplicemente guardando Gesù gli fa cenno di prendersi
cura di Maria.


L’inserimento e l’uso dei flashback è già stato commentato.


Personaggi familiari del Vangelo sono brevemente descritti, cosa
che aiuta la narrativa: Pietro, Giuda, Pilato, la moglie di
Pilato, Simone di Cirene, Erode, i due ladroni crocifissi
insieme a Gesù. La Veronica entra in scena mentre guarda Gesù
che passa e gli asciuga il volgo con un panno – ma Gibson ce la
mostra mentre tiene il panno, e se lo si guarda con attenzione è
possibile scorgervi qualche tratto dei lineamenti del volto di
Gesù. I soldati romani sono anche vivamente rappresentati: i
bruti nella flagellazione con il loro sadico comandante, i
soldati ubriachi che scherniscono Gesù sul cammino e sul
Calvario, e il più sensibile centurione. La figura chiave che ha
un forte impatto rappresentativo in ogni film su Gesù è Giuda.
Il tormento di Giuda e i bambini che lo spingono verso la morte
è drammaticamente efficace.


La Passione di Cristo offre un Gesù credibile, naturalistico, le
cui sofferenze nel corpo e nello spirito sono reali. Che impatto
avrà sui non credenti è difficile da prevedere. Per coloro che
credono, vi è la sfida di vedere il dolore e la tortura che sono
più facili da leggere che da guardare, ma vi è anche la
soddisfazione di rivivere le familiari storie del Vangelo in un
modo diverso.


Peter Malone MSC












“Ci ha amati fino alla fine” (Gv 13,1), afferma Don Arteaga,
vescovo ausiliario di Santiago




(Dal portale Totuus Tuus)


«Nel film c’è un tipo di bellezza, che può essere apprezzata da
chi lo vede con occhi disposti a scoprire la professionalità
degli attori e la cura nei particolari. Si può affermare che c’è
devozione, anche sensibilità e delicatezza nel trattare un tema
complesso e profondo, così umano e allo stesso tempo divino.


C’è verità, perché nelle linee generali e in molti dettagli il
film si attiene alle narrazioni evangeliche. Porta a riflettere,
a meditare, a contemplare la persona e il mistero di Cristo, il
Suo sacrificio volontario, il Suo perdono redentore e salvatore.
Il film non mi ha provocato sentimenti negativi, ma dolore per
il peccato, per i miei peccati, gratitudine per la redenzione e
il sacrificio di Cristo, per l’appoggio incondizionato di Dio
Padre a Suo Figlio, e a tutti noi, Suoi figli, di fronte al
peccato del mondo.

Il film spinge a studiare meglio le Scritture, a conoscere più a
fondo i Vangeli, a celebrare in modo più autentico l’Eucarestia.
Bisogna comunque ricordare che è un film, né più né meno, è una
forma d’arte. In qualche modo, il tema e la forma di proporlo
coinvolgono lo spettatore. Non si può rimanere indifferenti. Può
anche inquietare, perché suscita domande serie e pressanti su
argomenti importanti come il dolore estremo, il senso della
vita, il tradimento, il sacrificio, l’amore.


Bisogna ricordare che il punto nodale del film è costituito
dalla croce e dalla resurrezione di Gesù, in cui si compie una
volta per sempre il disegno salvifico di Dio (Eb 9,26). Il
Catechismo della Chiesa cattolica, pubblicato nel 1992 dal Santo
Padre Giovanni Paolo II e che è una “regola sicura per
l’insegnamento della fede”, dedica un intero articolo al
commento di questa affermazione del Sinodo: Gesù Cristo patì
sotto il potere di Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu
sepolto.


In circa sedici pagine, con centinaia di riferimenti alla
Scrittura e soprattutto agli scritti evangelici, si parla in
modo storico e concreto della Passione e della sua
interpretazione teologica. Si tratta della parte compresa tra il
numero 571 e il 630. All’inizio si ricorda che “la fede può
indagare le circostanze della morte di Gesù che sono state
trasmesse fedelmente dai Vangeli e precisate da altre fonti
storiche, al fine di comprendere meglio il senso della
Redenzione” (573).


La spiegazione inizia inquadrando il rapporto tra Gesù e
Israele, il Suo atteggiamento nei confronti della Legge, del
Tempio e della fede nel Dio unico e salvatore. Per quanto
riguarda il Suo “processo”, si menzionano le divisioni delle
autorità religiose di fronte alla sorte di Gesù (595-596),
dicendo chiaramente che gli Ebrei non sono responsabili
collettivamente della Sua morte (598).


Si spiega a lungo come la morte redentrice di Cristo e il Suo
offrirsi totale, libero e volontario per amore del Padre e per i
nostri peccato si inseriscano nel disegno di salvezza di Dio
(599-618). Sono paragrafi di grande contenuto biblico,
spirituale e teologico, che culminano proprio con la nostra
partecipazione al sacrificio di Cristo. La spiegazione termina
con la sepoltura di Gesù. Sono pagine che conviene leggere prima
o dopo aver visto il film: una meditazione eccellente.


Tra le tante cose che mi hanno colpito del film, ci sono
l’accettazione della sofferenza da parte di Gesù,
l’atteggiamento di tenerezza, fedeltà e vicinanza al figlio
della Santissima Vergine Maria, il tradimento di Giuda, la
negazione di Pietro, la fedeltà di Giovanni e di Maria
Maddalena, la sottile presenza del demonio che viene
definitivamente sconfitta, gli sguardi di Gesù e quella che
potrebbe essere una “Lacrima del padre” di fronte alla morte di
Gesù.


Si potrebbe discutere se era necessario offrire un tale
sacrificio e versare tanto sangue, ma nei Vangeli Gesù parla
precisamente di carne offerta e sangue versato per noi, per
tutti e per i nostri peccati. Questa moderna Via Crucis, via
della croce, che è anche la Via Lucis, via della luce, può
aiutare a conoscere e amare meglio Gesù, a celebrare in modo più
profondo l’Eucarestia, e, spero, a vivere come Suoi degni
discepoli incarnando nella nostra vita il Suo messaggio di
perdono e impegno a favore di tutti coloro che oggi vengono
flagellati e crocifissi»




A proposito del film di Mel Gibson, che racconta le ultime ore
della vita di Gesù di Nazareth, la sua morte e resurrezione.
Viste attraverso gli occhi di Maria.




Il film di Mel Gibson è una prova d’arte cinematografica che si
cimenta col racconto, agli uomini di oggi, della passione, morte
e resurrezione di Gesù di Nazareth di cui sono testimonianza i
Vangeli e l’annuncio della Chiesa. Cerca di riproporne,
attraverso la commozione estetica, la forza attuale di
interrogazione. Come di fronte ai Promessi Sposi, a un quadro di
Caravaggio o alla Commedia siamo rilanciati a domande circa il
destino, il senso del viaggio umano e la legge che tiene il
mondo, così in modo analogo - pur nella evidente differenza - di
fronte a questo film si può alzare la domanda su Gesù Cristo che
sorgeva nei primi che lo incontravano: «Chi è costui?».
Naturalmente, uno spettatore può guardare un film su Cristo con
la medesima svagatezza con cui guardava il Gibson attore in Arma
letale e uscirsene dal cinema, al massimo, con la convinzione di
avere speso bene o male i soldi per il biglietto. Diceva Péguy
che il “fruitore” ha una grande responsabilità: è lui che compie
l’opera d’arte, è la qualità della sua attenzione che ne decide
il livello di riuscita. E non è detto che i milioni di persone
che stanno guardando il film siano attenti a tal punto da uscire
con una domanda vera, con un movimento della propria persona
veramente profondo.


Serie infinita di particolari


L’arte ha una legge sola: è un gesto differente da tutti gli
altri che l’uomo compie per comunicare la propria esperienza.
Non è un articolo, non è un saggio, non è un proclama, non è
nemmeno un discorrere tra amici. Gibson nella sua Passione ha
comunicato la sua esperienza cristiana, e lo ha fatto, come
accade per gli artisti, legando una serie infinita di
particolari nell’unità di una visione. Sono i singoli
particolari (quelli che ci rimangono impressi, che ci
raccontiamo di nuovo dopo averlo visto) a muovere le
impressioni, a suscitare le più radicali emozioni. Così, in
questo caso, il suono delle lingue originali, la brutalità del
trattamento subito dal condannato Gesù, certe sospensioni di
sguardo dei protagonisti, l’emergere nel ricordo di Gesù o degli
altri di scene della vita passata a partire da un particolare
come una goccia, la posizione di una gamba… Tutti questi e mille
altri sono, appunto, i frammenti che l’artista ha curato perché
arrivassero a colpire il nostro occhio e l’occhio interiore
della nostra emozione. Ma la riuscita artistica sta nell’aver
tenuto l’energia di ognuno di questi particolari uniti nella
commozione per la figura umana di Cristo nel momento in cui
compie coscientemente la missione affidatagli dal Padre. Non un
supereroe, ma un uomo che nell’istante della sua estrema
debolezza mostra la sorgente della sua forza vittoriosa: «Fatto
obbediente fino alla morte».


Lo sguardo di Maria al Figlio


Colpisce l’estrema “normalità” di quegli avvenimenti così
eccezionali. Dio che si fa uomo. Quel giovane falegname che
scherza con la madre. Che parla ai suoi amici a cena - ogni
ricordo è come un quadro di Caravaggio (a cui il regista si è
ispirato fin nella scelta delle tonalità dei costumi di scena)
-, spezza il pane, versa il vino: «Non c’è amore più grande di
colui che dà la vita per l’amico». Poi il tradimento di Giuda.
Il rinnegamento di Pietro, schiacciato dalla paura della
rappresaglia. La Maddalena, perdonata. Come non rimanere
sorpresi - così come lo è il soldato ebreo - della “semplicità”
con cui riattacca l’orecchio mozzato da Pietro? E soprattutto
Maria, la madre, «invecchiata più di dieci anni» (Péguy).


Gibson ha scelto come elemento “drammatico” principale, ovvero
come azione in cui noi spettatori potessimo cogliere più
chiaramente la commozione a cui tutti i particolari tendono,
proprio lo sguardo della Madonna a suo Figlio.


Quello è lo “spazio drammatico” principale del film. Esso conta
infinitamente più di ogni altro particolare, anzi da tutti gli
altri (il processo, la presenza del contro-sguardo demoniaco, il
sangue, che è tanto, le grida, il paesaggio) è messo in rilievo,
per così dire potenziato. È lei che lo guarda sapendo. Che
guarda suo Figlio con l’infinita, straziata tenerezza
dell’essergli accanto senza poter alleviare il suo dolore, con
il suo materno desiderio di morire con lui, ma anche con la
coscienza che si sta compiendo l’evento centrale del mondo. E
lui a quello sguardo risponde, cercandolo come lo cerca
qualunque figlio soffrendo. Ma lo cerca anche rilanciando, nel
momento finale della croce, quello sguardo nella storia del
mondo, istituendo la Chiesa come loro vita nel lascito a
Giovanni e a lei, Maria, così come nell’Ultima Cena, le cui
immagini fanno da significativo contrappunto alla Passione.

Un colpo netto


Grazie a un uso sapiente e tecnologicamente avanzato del mezzo
cinematografico, Gibson ha offerto una visione della passione di
Cristo e della sua figura per nulla sdolcinata o sentimentale.
Le polemiche che lo hanno accompagnato sono difficilmente
giustificabili, se non in quanto espressione di un disagio per
il fatto che si riproponga all’attenzione popolare la figura di
Gesù con quella sua pretesa inaudita. Così come non sembrano
condivisibili gli allarmi di antisemitismo: il popolo ebraico,
che ha portato tutto il peso della storia precedente, è quello
in cui sono nati Pietro e Giovanni, la Maddalena, Maria e quindi
Gesù di Nazareth come compimento della profezia antica.

Vero è che, trattandosi della questione Gesù Cristo, sta allo
spettatore, per una volta, non essere solo spettatore, ma
brandire quella domanda che il film rilancia - «Chi è Costui?» -
e cercarne una risposta adeguata. Sperando che trovi, fuori
della sala del cinema, occasioni che a quella domanda offrano
ancora compagnia e ipotesi di lavoro. Poiché è la questione
centrale dell’esistenza, di tutti i giorni e dell’universo
intero, tutto si gioca su come si posiziona la libertà di
ciascuno di fronte al fatto.

Don Giussani racconta di una donna incontrata in confessionale:
il marito le era morto e uno dei figli, impazzito, aveva ucciso
l’altro. Così era rimasta sola e protestava contro Dio per
quella ingiustizia. Lui la condusse davanti a un grande
crocifisso in fondo alla chiesa: «Se ha da dire qualcosa, glielo
dica». E lei, dopo un lungo silenzio: «Ha ragione».


Forse è proprio questa la forza del film. Un colpo netto, una
provocazione a ricordare che il cristianesimo non è un
sentimentalismo, una questione di comportamento, ma un fatto
totalmente e “crudamente” umano; ha suscitato e suscita anche
irritazione, non solo per il suo realismo: può Dio abbassarsi a
tal punto e assumere la fragilità, il dolore fino a morire?


Il film si chiude con la resurrezione, e questa è l’inizio di
una nuova storia - senza la quale quella raccontata da Mel
Gibson resterebbe un incomprensibile fatto del passato -. Una
storia altrettanto normale eppure eccezionale, perché umana e
divina.


E così la domanda «Chi è costui?» apre a quella ancora più
decisiva, perché è la domanda della vita oggi: «Dov’è costui?».
Qui si gioca tutto il dramma della libertà e del presente.
Chissà, forse raccontato in un prossimo film.


Ha scritto Fulvio Faina: «Il cardinale Castrillon Hojos si è
detto pronto a scambiare qualche fotogramma con tutte le proprie
omelie, l'ordinario militare delle Filippine ha paragonato
Gibson a Madre Teresa, il cardinale opusdeino di Lima ha emanato
istruzioni per la visione del film, raccomandazioni anche da
parte dei vescovi inglesi e scozzesi e, via beatificando, fino a
leggere in evidenza sul sito dell'agenzia cattolica
latino-americana "Aciprensa" la notizia dei primi miracoli: la
visione di The Passion ha spinto un assassino a costituirsi.


Agli ebrei che criticano il film e il silenzio Vaticano, padre
Norbert Hofman e Navarro hanno ribadito che per la Chiesa
l'ebraismo è sempre il "fratello maggiore" e, quanto alla
ricostruzione cinematografica, se mai il film fosse antisemita,
allora lo sarebbero anche i Vangeli. Deve averci riflettuto
anche l'arcivescovo di Parigi Jean Lustiger, cardinale ed ebreo,
il quale tenendosi alla larga dai commenti diretti, ha
sottolineato che il racconto degli evangelisti è «sobrio,
pudico, molto discreto» e la salita al Calvario «non è la guerra
punica o le memorie di Napoleone».

Comunque, per il cardinale Poupard, responsabile vaticano per la
cultura, tanto rumore attorno alla fede può tornar utile in una
società secolarizzata ma, dalla Germania, il presidente dei
vescovi Karl Lehmann, insieme all'evangelico Wolfgang Huber e
all'ebreo Paul Spiegel, manda a dire che il film è troppo
violento e rischia di «far rivivere pregiudizi antisemiti».
Mentre il periodico paolino Jesus spara a zero - «Non è vangelo»
- e l'osservatorio cinematografico Cei si mostra molto cauto,
sulla autorevole Civiltà cattolica finora non è comparsa neppure
una riga. Forse Gibson ha esaurito il sangue».








Molti evangelici lo approvano




«Come pastore di una comunità», afferma Corrado Salmè, pastore
della Comunità cristiana “Il Giubileo”, «mi sento di
incoraggiare vivamente ogni ministro di Dio, ed in particolar
modo coloro che hanno una chiamata evangelistica, ad andare a
vedere questo "capolavoro". Sono pienamente convinto che ogni
credente e non credente debba andare ad assistere ad uno dei
film più fedeli (biblicamente parlando) sulla vita di Gesù.
Credo che nessun film sulla vita di Gesù sia stato perfettamente
in linea


con l'esposizione biblica (compreso il film "Jesus" tratto dal
Vangelo di Luca e prodotto da cristiani evangelici); credo anche
nella libertà della licenza artistica trattandosi "alla fine" di
una rappresentazione cinematografica e non della realtà in se
stessa.


Si è detto che questo film sia mariano. Non è assolutamente
vero!


Il film espone il rapporto molto forte esistente tra la madre e
il figlio. Ma non ci sono dubbi: in ogni scena del film emerge
sempre la centralità della persona e del messaggio di Cristo. Il
film porta le persone a Cristo e non a Maria. Gloria a Dio per
questo. Si è detto che questo film sia cattolico. Il film è
centrato sugli episodi biblici e sulla verità esposta dai
Vangeli stessi. Non trapela in nessuna scena del film alcun
riferimento al filone cattolico. Del resto, se diciamo che il
film non è mariano, abbiamo detto tutto.


Si è detto che questo film sia antisemita. Se fosse vero, il
Vangelo stesso dovrebbe essere reputato antisemita. La VERITÀ è
che gli ebrei hanno consegnato un ebreo nelle mani dei romani.
Questa non è polemica, è la Parola di Dio. Se si dovesse
proibire la visione del film perché lo si reputa antisemita, si
dovrebbe proibire la divulgazione del Vangelo stesso. Il piano
di redenzione è per tutti, per i Giudei prima e per i Gentili
poi. Gesù sulla croce ha gridato "Padre, perdonali perché non
sanno quello che fanno".


Credo ce non sappiamo quello che fanno anche coloro che invitano
i credenti a non vedere questo film. Ritengo sia una delle
rappresentazioni più straordinarie sulla vita di Gesù. Jim
Caviezel (che interpreta Gesù nel film) è possente in un tutta
la sua interpretazione, reale, genuino e straordinariamente
convincente. Tutti coloro che cercano di impedire la visione di
questo film agiscono nella carne e ispirati da un altro spirito
che non è lo Spirito Santo. Arrivano ogni giorno testimonianze
di persone che danno la loro vita a Cristo o che si aprono alla
Verità in maniera meravigliosa. La cosa che più mi ha colpito,
oltre al film stesso, è che i cinema si riempiono di giovani.
Raramente trovi gente di mezza età al botteghino. Questa la dice
lunga sulla fame e sulla sete che questa generazione ha di
ascoltare la Verità.


Credo con tutto il cuore che lo Spirito Santo userà questo film
per arrivare ad una generazione che la chiesa (evangelica) non
riesce a raggiungere perché si è chiusa in una stupida e inutile
religiosità che ha la forma di pietà priva di potenza. Rivedrei
il film oggi stesso, se ne avessi la possibilità».




Il commento dell’Associazione Genitori Cattolici Italiani




«Cari figli! Oggi vi invito in un modo speciale a prendere la
croce nelle mani e a meditare sulle piaghe di Gesù. Chiedete a
Gesù di guarire le vostre ferite, che voi, cari figli, avete
ricevuto durante la vostra vita a causa dei vostri peccati o a
causa dei peccati dei vostri genitori. Solo cosi capirete, cari
figli, che al mondo è necessaria la guarigione della fede in Dio
creatore. Attraverso la Passione e la morte di Gesù in croce,
capirete che solo con la preghiera potete diventare anche voi
veri apostoli della fede, vivendo nella semplicità e nella
preghiera la fede che è un dono. Grazie per avere risposto alla
mia chiamata!”


Messaggio dato dalla Madonna a Medjugorje il 25 marzo 1997






“Mentre assistevo al film capolavoro del regista cattolico
Gibson” commenta Arrigo Muscio, presidente dell’Associazione
Nazionale Genitori Cattolici Italiani, “(una rarità di questi
tempi, soprattutto se teniamo conto del coraggio di proclamarsi
cristiano in un “ambientino” in cui è facile vendere l’anima al
diavolo per carriere, popolarità e prebende) riflettevo, tra una
commozione e l’altra, sulla eterna riproposizione degli
avvenimenti che hanno riguardato nostro Signore.


Quanti, dimostrando ignoranza evangelica, hanno gridato
all’antisemitismo del film, senza magari averlo visto, non si
sono accorti o hanno finto di non vedere che il film, come del
resto il Vangelo, evidenziano l’avversione nei confronti di Gesù
da parte di tutto il mondo, cominciando dagli ebrei per
espandersi, mediante i romani, a tutti i popoli della terra. Il
film di Gibson, magistralmente interpretato dal Medjugorjno
James Caviezel[1], mostra infatti le persecuzioni, le violenze,
le derisioni, gli oltraggi sia delle autorità civili e
religiose, sia del popolo, sia dei romani; simboli del mondo
intero.


Se esaminiamo con attenzione i personaggi notiamo che la
passione di Gesù perdura anche ai nostri giorni. Infatti pure
oggi Gesù, che con una sola Parola avrebbe potuto distruggere il
mondo oppure con una sola Parola avrebbe potuto convincere gli
accusatori della sua innocenza, subisce avversioni, tradimenti,
insulti, derisioni ed oltraggi; anche oggi la Sua Parola (cioè
Lui stesso! Gv. 1,1 seg.) viene costantemente crocifissa. Se al
posto dei protagonisti dell’epoca inseriamo certi sacerdoti (e
anche certe gerarchie!) dei nostri tempi, certi cristiani, gli
atei, i dissacratori, gli empi, quanti difendono o giustificano
i nemici della Croce ecc., constatiamo che la passione di Gesù
continua senza sosta. E non si tratta solo di una persecuzione
spirituale, ma anche fisica; pensiamo, infatti, alle
dissacrazioni eucaristiche che avvengono in occasione delle
messe nere o di altri riti diabolici, oppure alle persecuzioni
fisiche e morali che i discepoli di Cristo patiscono anche ai
nostri giorni. La Madonna da Medjugorje nel suo messaggio del 5
aprile 1984 ha affermato “Cari figli, questa sera vi chiedo in
particolare di onorare il Cuore del mio Figlio Gesù. Pensate
alle ferite inferte al Cuore di mio Figlio, quel Cuore offeso
con tanti peccati. Questo Cuore viene ferito da ogni peccato
grave.” Quindi ogni volta che Gesù riceve delle percosse non
dobbiamo pensare soltanto ai peccati commessi da altri nel
lontano passato, ma dobbiamo essere convinti d’essere anche noi
molte volte causa di sofferenze provocate al Signore mediante i
nostri tradimenti, il nostro disinteresse, le nostre idolatrie
ed i nostri peccati in generale.


Gibson ha poi messo bene in risalto la figura di satana quale
tentatore ed ispiratore dell’odio più spietato nei confronti del
Salvatore. La presenza del demonio (che a tratti evidenzia la
crudeltà e la mostruosità della sua natura ormai corrotta) nei
momenti salienti del film sottolinea l’opera continua e perversa
dell’imperatore della morte, sconfitto dalla Crocifissione e
dalla Resurrezione del Signore. L’urlo lancinante di satana alla
fine del film ne evidenzia magistralmente la definitiva
sconfitta, anche se perdura fino alla fine del mondo la sua
opera perversa tesa a condurre quante più anime all’inferno.


Il film di Gibson, nel quale sono inseriti degli effetti
musicali coinvolgenti, mostra poi i frutti della “Passione” che
converte vari peccatori sia ebrei sia romani; anche in questo
caso simboli del mondo intero.


L’inserimento nel film degli episodi evangelici e delle
amorevoli predicazioni di Colui che ha dato liberamente ed
incomparabilmente la sua vita per amore di ciascuno di noi, in
contrapposizione con la sofferenza provocata dall’odio umano
ispirato da satana, fanno del film uno strumento eletto di
evangelizzazione. Le scene di indicibile sofferenza (in
contrasto con quelle riservate ai due malfattori che non hanno
subito le violenze fisiche e gli oltraggi riservati
all’innocente ed amorevole Gesù) rese magistralmente dal
medjugorjno protagonista devono far riflettere sul significato
del Crocifisso; ma soprattutto devono far meditare quanti lo
avversano e quanti agevolano le istanze di rigetto del
Crocifisso (compresi certi avvocati che si proclamano
cattolici!). Se si allontana l’emblema dell’amore di Dio per
l’umanità, il suo posto viene prontamente occupato da satana il
quale, spesso strisciante come un serpente oppure nascosto, lo
sostituisce prontamente con tutto quanto ne consegue: violenze,
soprusi, angherie, provocazioni, insulti ecc.


Il film di Gibson non rappresenta soltanto la “Passione” di
nostro Signore, ma può essere considerato la rappresentazione
della Santa Messa. Non mi sarei stupito, infatti, se alla fine
del film una voce fuori campo avesse pronunciato le seguenti
parole “la messa è finita, andate in pace”. In quella pace che
soltanto Gesù può dare “Vi lascio la pace, vi dò la mia pace.
Non come la dá il mondo, io la dò a voi. Non sia turbato il
vostro cuore e non abbia timore” (Gv. 14,27); non certo “la
pace” che possono donare altri personaggi religiosi come
Maometto, Budda ecc.! Chi ha visto o vedrà questo film potrà
capire i motivi per cui padre Pio si fermava spesso in visione
durante la celebrazione Eucaristica e molte volte piangeva
assistendo in visione alle sofferenze del nostro caro Gesù. A
Gibson va poi riconosciuto il merito d’aver evidenziato anche la
passione corredentrice di Maria (invecchiata di circa dieci anni
a causa della Passione del Figlio!), “toccata con mano” a
Medjugorje. Senza l’intervento della Regina dell’universo e
sposa dello Spirito Santo sia il protagonista del film sia il
regista sia gli altri bravi attori non avrebbero potuto rendere
la Passione di nostro Signore viva, attuale e coinvolgente!


Il film sottolinea inoltre la presenza trinitaria (la lacrima di
Dio Padre, la figura di Gesù e l’effusione dello Spirito Santo
con il particolare respiro-effusione finale di Gesù), che
contraddistingue la nostra religione rivelata da tutte le altre
e fa giustizia della serpeggiante teoria del “Giuda si è
salvato”. Qualcuno potrebbe contestare la lacrima di Dio Padre
(soprattutto quanti diffondono l’idea di un Dio crudele!). Se
però leggiamo con attenzione le parole del profeta Ezechiele
(31,15 seg.) riferite alla caduta di Lucifero “Così dice il
Signore Dio: - Quando scese negli inferi io feci far lutto:
coprii per lui l'abisso, arrestai i suoi fiumi e le grandi acque
si fermarono ; per lui feci vestire il Libano a lutto e tutti
gli alberi del campo si seccarono per lui. Al rumore della sua
caduta feci tremare le nazioni, quando lo feci scendere negli
inferi con quelli che scendono nella fossa. Si consolarono nella
regione sotterranea tutti gli alberi dell'Eden, la parte più
scelta e più bella del Libano, tutti quelli abbeverati dalle
acque. Anch'essi con lui erano scesi negli inferi fra i trafitti
di spada, quelli che in mezzo alle nazioni erano il suo braccio
e dimoravano alla sua ombra. A chi credi di essere simile per
gloria e per grandezza fra gli alberi dell'Eden? Anche tu sarai
precipitato insieme con gli alberi dell'Eden nella regione
sotterranea; giacerai fra i non circoncisi insieme con i
trafitti di spada. Tale sarà il faraone e tutta la sua
moltitudine -. Parola del Signore Dio” le quali dimostrano la
tristezza di Dio per la rovina dell’Angelo portatore di luce, a
maggior ragione possiamo capire il dolore di Dio Padre per la
Passione del Figlio. L’oscurità che avvolge la scena del
deicidio simboleggia da un lato l’apparente sconfitta di Gesù
(distrutta dalla Resurrezione) e dall’altro lato il lutto di Dio
Padre.


E’ un film che tutti i cristiani, tutti i sacerdoti, tutti i
catechisti dovrebbero vedere per meglio comprendere le
differenze tra Gesù (vero uomo e vero Dio, fondatore e capo del
cristianesimo) ed i vari personaggi religiosi che vanno tanto di
moda oggi (anche in certi ambienti cattolici che, invece di
Gesù, preferiscono parlare del massone Che Guevara!). Ma è un
film che dovrebbero vedere tutti in generale in quanto
costituisce sicuramente uno strumento eletto di
evangelizzazione. Grazie al film di Gibson possiamo meglio
capire il valore della Santa Messa alla luce della profezia di
Isaia “Chi avrebbe creduto alla nostra rivelazione? A chi
sarebbe stato manifestato il braccio del Signore? E` cresciuto
come un virgulto davanti a lui e come una radice in terra arida.
Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non
splendore per provare in lui diletto. Disprezzato e reietto
dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come
uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e
non ne avevamo alcuna stima. Eppure egli si è caricato delle
nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori e noi lo
giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato
trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre
iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di
lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti. Noi tutti
eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua
strada; il Signore fece ricadere su di lui l'iniquità di noi
tutti. Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca;
era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte
ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca. Con oppressione e
ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; chi si affligge per la sua
sorte? Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi, per l'iniquità
del mio popolo fu percosso a morte. Gli si diede sepoltura con
gli empi, con il ricco fu il suo tumulo, sebbene non avesse
commesso violenza né vi fosse inganno nella sua bocca. Ma al
Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se
stesso in espiazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si
compirà per mezzo suo la volontà del Signore. Dopo il suo intimo
tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il
giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà la loro
iniquità. Perciò io gli darò in premio le moltitudini, dei
potenti egli farà bottino, perché ha consegnato se stesso alla
morte ed è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il
peccato di molti e intercedeva per i peccatori” (Is. 53,1 seg.)»






In Vaticano


Componenti della Segreteria di Stato del Vaticano, del
Pontificio Concilio delle Comunicazioni Sociali, e della
Congregazione per la Dottrina della Fede, il gruppo che
supervisiona le questioni dottrinali cattoliche, hanno espresso
unanime approvazione e apprezzamento del film.


Quella che segue è un'intervista esclusiva di ZENIT , riportata
nel sito dell’Agenzia ad uno degli spettatori, il Padre
Domenicano Augustine Di Noia, sottosegretario della
Congregazione per la Dottrina della Fede. Padre Di Noia ha
insegnato teologia a Washington D.C., per 20 anni e ha prestato
servizio come teologo per la Conferenza Episcopale degli Stato
Uniti prima di venire a lavorare per il cardinale Joseph
Ratzinger presso la Congregazione dottrinale.


«Guardare questo film, costituirà un'esperienza profondamente
religiosa per molti. Per me lo è stata. Una cinematografia
eccezionale e una recitazione altrettanto brillante, combinate
con la profonda introspezione spirituale del regista sul
significato teologico della passione e morte di Cristo - tutto
ha contribuito ad una produzione di squisita sensibilità
artistica e religiosa. Chiunque veda questo film - credente o
non credente - sarà costretto a confrontarsi con il mistero
centrale della Passione di Cristo e in definitiva con il
Cristianesimo stesso: se questo è il rimedio, quale dovrà essere
stato il male? Il Curato d'Ars sostiene che nessuno possa avere
cognizione di cosa Nostro Signore abbia sofferto per noi; per
capirlo, dovremmo conoscere tutto il male causato dal peccato, e
questo non lo potremo sapere fino al momento della nostra morte.
Solo come una grande opera d'arte può fare, il film di Mel
Gibson ci aiuta a cogliere qualcosa che è quasi al di là della
nostra comprensione. All'inizio, nell'Orto del Getsemani, il
diavolo tenta Cristo con la domanda inevitabile: come può
qualcuno sopportare i peccati del mondo intero? È troppo. Cristo
quasi soccombe all'idea, ma poi prosegue con convinzione per
portare avanti esattamente questo - per accogliere su di sé,
secondo la volontà del Padre, i peccati del mondo intero. È
davvero impressionante. Vi è un forte senso, presente per tutto
il film, del dramma cosmico del quale siamo tutti parte. Non c'è
possibilità di rimanere neutrali, e nessuno può semplicemente
restare spettatore di questi eventi. La posta in gioco è davvero
molto alta - qualcosa che, a parte Cristo stesso, è intuita
chiaramente solo da Maria sua madre e dal demonio sempre
presente. Gradualmente lo spettatore si unisce ai personaggi in
una progressiva comprensione di questo, mentre che l'azione si
sposta inesorabilmente dal Monte degli Ulivi verso il Monte
Calvario. Bisogna tener presente che vi sono quattro racconti
della Passione di Cristo nel Nuovo Testamento, che si
concentrano soprattutto sul significato religioso degli eventi.
Nel "La morte del Messia" - probabilmente il più completo ed
equilibrato racconto della Passione - Padre Raymond Brown ha
dimostrato che, pur essendovi alcune differenze tra i Vangeli,
essi sono in generale sostanzialmente univoci. Il film di Mel
Gibson non è un documentario ma un'opera di artistica
immaginazione. Il regista ha incorporato elementi dalla Passione
raccontata da Matteo, Marco, Luca e Giovanni, ma rimane fedele
alla struttura fondamentale comune ai quattro Vangeli. Entro i
limiti possibili in una ricostruzione immaginifica della
passione di Cristo, il film di Gibson e pienamente fedele al
Nuovo Testamento. Il ruolo di Cristo deve essere uno dei più
difficili ruoli da interpretare. Sono stato molto colpito
dall'intensità con cui Caviezel ha rappresentato Cristo. Non è
facile da ottenere senza manifestare una sorta di autocoscienza
intrusiva. Caviezel - e sicuramente anche Gibson - comprendono
che Gesù è il Figlio di Dio incarnato, ed è al contempo
pienamente umano. Ripensando al film, mi pare che Caviezel
ottiene questo principalmente mediante il suo sguardo, anche
quando guarda direttamente noi e quelli che lo circondano con il
suo occhio sano. Caviezel rende, in modo pienamente convincente
ed efficace, il Cristo che sopporta la Passione e la morte
volontariamente, in obbedienza al Padre suo, in riparazione
della disobbedienza del peccato. Assistiamo a ciò che la Chiesa
chiamerebbe la "sofferenza volontaria" di Cristo. Richiama le
parole di San Paolo: "Come per la disobbedienza di uno solo
tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per
l'obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti"
[Romani 5,19]. E non è solo questione di obbedienza, ma è
principalmente questione di amore. Cristo compie tutto per amore
al Padre - e a noi. Questo emerge tecnicamente in maniera
lampante nell'eccezionale interpretazione di Cristo da parte di
Jim Caviezel. Ma la Maria di Maia Morgenstern è egualmente
efficace. Mi ha ricordato qualcosa che Sant'Anselmo aveva detto
in un'omelia sulla Madre Benedetta: Senza il Figlio di Dio,
nulla potrebbe esistere; senza il Figlio di Maria, nulla
potrebbe essere redento. Ammirando l'interpretazione della
Mrogenstern, si sente fortemente che Maria "lascia andare" il
suo Figlio affinché lui possa operare la salvezza, e unendosi
alle sue sofferenze diventa la Madre di ogni redento. Il film
più che violento direi che è brutale. Cristo è trattato in modo
brutale dai soldati romani. Ma non vi è violenza gratuita. La
sensibilità artistica all'opera è chiaramente più quella del
Grünwald e del Caravaggio, piuttosto che quella del Beato
Angelico o del Pinturrichio. Stiamo parlando di un film,
certamente, ma Gibson ha chiaramente subito l'influenza della
raffigurazione delle sofferenze di Cristo della pittura
Occidentale. Il corpo di Cristo estremamente malridotto -
graficamente ritratto in questo film eccezionale - deve essere
posto in questo contesto di artistica rappresentazione. Ciò che
molti artisti meramente suggeriscono, Gibson ce lo vuole
mostrare. Pienamente in linea con la Tradizione teologica
cristiana, Gibson ci rappresenta il Figlio incarnato che è
capace di sopportare ciò che una persona ordinaria non può - sia
in termini fisici che di tormento mentale. Il corpo rovinato di
Cristo deve essere contemplato con gli occhi del profeta Isaia
che descrive il Servo sofferente sfigurato e irriconoscibile. La
bellezza fisica di Jim Caviezel serve ad accentuare l'impatto
generale della progressiva deturpazione che Cristo subisce sotto
i nostri occhi - con il terribile risultato che, come il Servo
sofferente, "Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri
sguardi, non splendore per provare in lui diletto" [Isaia 53:2].
Richiede gli occhi della fede per vedere che lo sfiguramento del
corpo di Cristo rappresenta lo sfiguramento spirituale e il
disordine causato dal peccato. La raffigurazione di Gibson del
Cristo flagellato - dal quale molti spettatori potrebbero essere
tentati di volgere via lo sguardo - presenta graficamente ciò
che San Paolo disse nella seconda lettera ai Corinzi: "Colui che
non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro
favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui
giustizia di Dio" [5:21]. Quando guardiamo il corpo rovinato di
Cristo in questo film capiamo cosa significa "lo trattò da
peccato".


D: Nel corso degli anni, molti registi si sono cimentati con
film su Gesù o sulla passione. Ritiene che il film di Mel Gibson
sia particolarmente originale?


Padre Di Noia: Non sono un critico cinematografico. Saranno i
critici a giudicare il film di Gibson e a confrontarlo con ad
altre grandi descrizioni della vita e della passione di Cristo,
quali quelle di Pasolini e di Zeffirelli. Come gli altri
registi, Mel Gibson apporta la propria sensibilità artistica
all'argomento, e in questo senso il film è assolutamente
originale. Certamente, "La passione del Cristo" è più
intensamente incentrata sulla sofferenza e la morte di Cristo
che la maggior parte di altri film del genere. Ma, come reazione
iniziale, tre cose del film di Gibson mi colpiscono per essere
alquanto particolari. Una è la rappresentazione del diavolo, che
libra sullo sfondo, e a volte in primo piano, come una costante
e sinistra presenza minacciosa. Non mi viene in mente un altro
film che abbia ottenuto questo effetto con tale drammatica
efficacia. Un altro elemento è la solitudine di Cristo: In
qualche modo, anche se circondato dalle folle, il film mostra
Gesù realmente da solo nel sostenere la terribile sofferenza.
Infine, la rappresentazione dell'Ultima cena con una serie di
flashback inseriti nell'azione del film. Quando giace sul
pavimento insanguinato dopo la flagellazione, Cristo guarda i
piedi cosparsi di sangue di uno dei soldati e i film torna in
modo significativo alla lavanda dei piedi durante l'Ultima cena.
Simili flashback nel corso della passione e crocifissione ci
riportano allo spezzare del pane e al bere dal calice. Gli
spettatori, attraverso gli occhi di Cristo, assistono alle
parole: "questo è il mio corpo" e "questo è il mio sangue". Il
significato sacrificale e quindi eucaristico del Calvario è
raffigurato mediante questi persistenti flashback. Vi è una
sensibilità cattolica molto efficace. Nella recente enciclica
sull'Eucaristia, il Papa Giovanni Paolo II diche che Cristo ha
istituito il memoriale della sua passione e della sua morte
prima della sua sofferenza - anticipando il sacrificio della
croce. Nell'immaginazione artistica di Mel Gibson, Cristo
"ricorda" l'Ultima cena anche mentre pone in essere il
sacrificio che essa commemora. Per molti cattolici che vedono
queste immagini, la Messa non sarà più la stessa. In ogni caso,
prescindendo da questioni di originalità, il film di Mel Gibson
sarà indubbiamente annoverato tra i migliori. Guardando "La
Passione" strettamente dal punto di vista della rappresentazione
cinematografica, ciò che succede nel film è che ciascuno dei
personaggi principali contribuisce in qualche modo al destino di
Gesù: Giuda lo tradisce; il Sinedrio lo accusa; i discepoli lo
abbandonano; Pietro lo rinnega; Erode ci gioca; Pilato consente
la sua condanna; la folla lo schernisce; i soldati romani lo
flagellano, gli infliggono ogni sorta di dolore e infine lo
crocifiggono; e il diavolo, in qualche modo, sta dietro a tutte
queste azioni. Tra tutti i personaggi principali della storia,
solo quello di Maria è veramente senza colpa. Il film di Gibson
rende molto bene questo aspetto dei racconti della Passione.
Nessuna persona e nessun gruppo di per sé, indipendentemente
dagli altri, è da considerare responsabile: lo sono tutti…... la
storia racconta di come i peccati di tutte queste persone
cospirano al verificarsi la passione e morte di Cristo, e quindi
suggerisce la verità fondamentale per la quale siamo tutti
responsabili. I loro peccati e i nostri peccati mandano Cristo
sulla croce, e lui li prende su di sé volontariamente. È per
questo che costituisce una lettura seriamente erronea quella che
vorrebbe assegnare la colpa a un personaggio o a un gruppo, o
ancor più quella che cerca di esimere qualcuno dalla
responsabilità. Il problema, in quest'ultimo caso, è che se non
sono tra i colpevoli, come posso essere tra coloro che
condividono i benefici della croce? Torna alla mente un verso di
un canto natalizio: "As far as the curse extends, so far does
his mercy flow" ("Nella misura in cui si estende il male,
scaturisce anche la sua grazia"). Dobbiamo renderci conto che i
nostri peccati sono tra quelli che Cristo ha preso su di sé, in
modo da essere ricompresi nella sua preghiera: "Padre perdona
loro perché non sanno quello che fanno". Auguriamoci di non
essere lasciati fuori da questa preghiera. Il lettore cristiano
è chiamato a trovare il proprio posto nell'ambito di questa
raffigurazione della redenzione. Questo è chiaro nella lettura
della Passione durante la liturgia cattolica della Settimana
Santa, quando l'assemblea si accomuna alla folla che urla
"crocifiggilo". In modo paradossale la liturgia ci aiuta ad
accogliere come preghiera queste grida altrimenti orrende.
Naturalmente non "desideriamo" letteralmente che Cristo soffra
la crocifissione, ma sì vogliamo essere salvati dai nostri
peccati. Dal punto di vista della fede, anche l'agghiacciante
"che il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli" deve
essere compreso non come una maledizione ma come una preghiera.
Esattamente ciò di cui noi abbiamo bisogno - e che la folla
radunata davanti a Pilato inconsciamente chiedeva - è di essere
"lavati nel Sangue dell'Agnello", come esprime l'Apocalisse».
Per quanto riguarda le accuse di antisemitismo, padre Di Noia,
ha ancora detto a Zenit: «Il film non esagera né minimizza il
ruolo delle autorità giudaiche e dei procedimenti legali
relativi alla condanna di Gesù. Ma proprio perché presenta un
quadro complessivo di ciò che potrebbe definirsi il "calcolo
della colpa" nella Passione e morte di Cristo, il film
tenderebbe più a sopire l'antisemitismo negli spettatori,
piuttosto che a fomentarlo. Da un punto di vista teologico, ciò
che è ancora più importante è che il film propone ciò che gli
evangelisti e la Chiesa hanno sempre visto con chiarezza: ciò
che Cristo esperienza nel cammino dal Getsemani al Golgota, e
oltre, sarebbe totalmente incomprensibile se si prescindesse
dall'Alleanza di Dio con Israele. Il quadro concettuale è
composto quasi interamente dalla storia e letteratura, dai
profeti e gli eroi, dalle storie e le leggende, dai simboli, dai
riti, dalle osservanze e in definitiva dall'intera cultura
ebraica. È questa cornice che rende intelligibile e esprimibile
la necessità naturale per una soddisfazione e redenzione di
fronte al peccato umano e la decisione amorevole di Dio di
venire incontro a questa necessità. Lungi dall'incitare
all'antisemitismo o all'antigiudaismo, il film di Gibson porterà
gli spettatori ad approfondire la loro comprensione di questo
contesto indispensabile della Passione e morte del Gesù di
Nazaret, del Servo sofferente».


Più critica l'interpretazione del teologo don Bruno Maggioni:
«Non è un film per tutte le famiglie né per i bambini. Il vero
Gesù lo si trova nei passi del Vangelo. La parola è senz'altro
più adatta per conoscerlo e per amarlo. Nella Bibbia tutte le
sofferenze che vediamo nel film ci sono, ma evocate con
sobrietà. Ad esempio, nel film la scena della flagellazione è
eccessiva, ben venti minuti. Non c'è più spazio per la
commozione. Il film insomma è un recupero della Passione nella
sua crudezza in cui mancano però temi fondamentali, ad esempio
Gesù che perdona. Certo, la Passione non va dimenticata nei suoi
dolori. Ma Pasolini, ad esempio, dava peso alle parole
rivoluzionarie di Gesù, mentre oggi si dà più spazio al dolore.
Spero che chi lo vedrà possa, tornato a casa, tornare al testo
biblico». «È un prodotto cinematografico di ottimo livello -
dice il portavoce degli esercenti delle sale lariane Massimo
Corino - forse non un'opera d'arte come quella di Pasolini ma un
film che farà discutere e mobiliterà il mondo cattolico. Sono
comunque convinto che nel nostro Paese non ci saranno polemiche
con il mondo ebraico come quelle sollevate dal film negli Usa».










Un dispaccio d’Agenzia






Roma, 7 apr. - (Adnkronos) - Spettatori sconvolti, emozionati e
quasi senza parole. Sono trionfanti le prime reazioni del
pubblico al film di Mel Gibson, 'La Passione di Cristo'. ''Ho
sofferto molto perche' questa e' la vera passione che ha subito
nostro Signore -dice con la voce commossa Elsa, pensionata di 70
anni, all'uscita della sala del cinema Adriano di Roma- un film
religioso, profondamente religioso''. ''Il film piu' bello che
abbia mai visto -le fa eco l'amica Carlotta- non e' un film
contro gli ebrei, e' un film di amore''. Entusiasta anche
Giuseppe, impiegato 40enne: ''Al momento della flagellazione mi
e' mancato il fiato -dice- era come se fossi vicino a nostro
Signore. Anzi, credo di non essermi mai sentito vicino a lui
come oggi''.


Il giudizio e' unanime: ''Un film di una forza spaventosa -dice
Paolo, 14 anni- per fortuna non lo hanno vietato. La
crocifissione e' una delle scene piu' toccanti che io abbia mai
visto al cinema''. Entusiasti anche preti e suore che hanno
'preso d'assalto'. ''La passione e' stata questa, c'e' poco da
fare -dice suor Maura delle Orsoline- credo che faccia bene a
tutti vedere questo film per capire che cosa ha sofferto Gesu'.
Un film che e' come una messa, come una messa'', ripete.






Le reazioni al film


Quasi tutti entusiasti i primi commenti fuori dai cinema di Roma
e Milano che proiettano 'La passione di Cristo' di Mel Gibson.
Molti spettatori ammettono che il film è violento, soprattutto
l'interminabile sequenza della flagellazione, ma sottolineano il
valore di realismo e verità di quelle scene. Il divieto ai
quattordici? Una quindicenne risponde: "No, credo che sia un
film che possano vedere tutti." Alla prima proiezione del
contestato film di Mel Gibson, molti pareri favorevoli in un
pubblico composto, soprattutto a Roma, di preti e suore in
attesa anche mezz'ora prima dell'inizio delle
proiezioni.Soltanto un paio di giudizi negativi, spettatori che
definiscono il film "inutile e noioso con un carico di violenza
ingiustificata". I sostenitori invece lo trovano una
dichiarazione d'amore di Dio verso l'umanità. Le accuse di
antisemitismo? Infondate. Una trovata pubblicitaria. “L'ho visto
e penso che sia un piccolo film - afferma Ettore Scola - Se
fosse stato un western sarebbe stato meglio, visto che più che
ai Vangeli è ispirato a Peckinpah", aggiunge riferendosi al
regista di 'Pat Garret e Billy the Kid'. "E' un film
bellissimo", dice invece Claudia Koll, contraria alla "campagna
denigratoria" nei confronti della pellicola che esce stasera
nelle sale italiane. "E' vedere il brutto dove non c'e" -
aggiunge - Quando c'è Cristo ci sono sempre polemiche. Ma
denigrare questo film è come uccidere Cristo per la seconda
volta. Usa un linguaggio crudo, ma forse bisognerebbe ricordare
la crudezza con cui è stato trattato Gesu".


"La Passione ha dato voce alla sofferenza dei Cristo, è un film
che ci rende consapevoli dei nostri peccati, perché la nostra
sofferenza è anche la conseguenza dei nostri peccati. E nella
sua sofferenza vediamo anche la nostra sofferenza".


“Grazie per la magistrale lezione, per la ricca meditazione, per
i positivi insegnamenti che ci ha impartiti con la sua opera”;
ha scritto il preside del “G. Parini”, Giuseppe Adornò, nella
lettera aperta a Mel Gibson, “per il bene che questo film fa,
svegliando le coscienze e promuovendo gesti di conversione, “il
film”, ha spiegato il preside, “è una vera lezione di
spiritualità ed una felice occasione di commozione e intensa
preghiera, assistendo al film si prega, ci si sente coinvolti
nel mistero del dolore di Cristo sofferente e si partecipa al
mistero della Redenzione. Tutto quel sangue, che Maria e la
Maddalena hanno raccolto nel pretorio di Pilato, è tutto nel
sacro calice dell’altare, sangue donato, versato per noi, per la
remissione dei peccati”.


Il Cardinale Antonelli, arcivescovo di Firenze, ha detto tra
l’altro che «Cristo continua la sua Passione in tutti gli uomini
che soffrono. La crudezza del film ci deve rendere consapevoli
che l’uomo può arrivare a forme di barbarie inaudite, che il
peccato è qualcosa di molto grave davanti a Dio. Tutti dovremmo
essere chiamati a un senso di umiltà, di responsabilità, e di
impegno contro il male».




Un dispaccio d’agenzia




In Italia file ai botteghini, sale esaurite, caccia ai
biglietti. In tutta Italia il fenomeno e' uguale. Da Milano a
Roma, da Torino a Palermo, i primi segnali che arrivano dalle
oltre 700 sale in cui si proietta 'La Passione di Cristo' di Mel
Gibson sono tutti omogenei: il successo e' assicurato

Roma, 7 aprile - (Adnkronos) - «Il giorno della 'Passione'. File
ai botteghini, sale esaurite, caccia ai biglietti. In tutta
Italia il fenomeno e' uguale. Da Milano a Roma, da Torino a
Palermo, i primi segnali che arrivano dalle oltre 700 sale in
cui si proietta 'La Passione di Cristo' di Mel Gibson sono tutti
omogenei: il successo e' assicurato. Stamattina le prime
proiezioni straordinarie sono andate benissimo. Al Barberini di
Roma, la 'straordinaria' delle 10 ha fatto registrare il tutto
esaurito. Esaurito anche il primo spettacolo all'Adriano di
Roma, dove 'La Passione' e' proiettato in due sale la 3 e la 4.
Lo spettacolo delle 15 ha fatto registrare il pienone, un po'
meno quello delle 16. A vedere il film un pubblico eterogeno ma
composto comunque da molti anziani, gruppi parrocchiali, suore e
sacerdoti. ''E' un modo per prepararci al Venerdi' Santo -dice
una suora rumena arrivata al cinema insieme ad altre consorelle-
Troppo violento? Non so, vederemo ma ci siamo preparate, ne
abbiamo discusso al lungo in istituto''. La folla di 'Passione'
non ha limiti di eta': arriva una mamma con tre ragazzini di 9,
10 e 12 anni, 'approfittando' del fatto che il film esce in
Italia senza divieto. ''Ne parliamo da giorni -dice la signora
42enne- A me fa impressione ma loro ci tenevano. Cosi' li ho
accompagnati e li aspetto fuori. Se si spaventano? No, mi
spaventerei io se lo vedessi, loro sono abituati a cose
peggiori. Basta accendere la televisione, a qualsiasi ora, e si
vedono davvero cose orrende''. ''Ne abbiamo parlato a scuola
-precisa il ragazzo piu' grande del gruppo- Sono curioso, volevo
vederlo per primo''. Arriva una coppia di anziani, lui 75 lei
76,: ''Ma fa davvero tanta impressione?'' chiede lui
preoccupato, in fila per acquistare i biglietti. ''Ma allora
lasciamo stare...'', dice alla moglie. Poi si lascia convincere
ed entra».


Code ai cinema in occasione della prima in Italia in 700 sale
(un fenomeno di massa come in America)






Fonti di agenzie e informazione: «E' un film che vuole
traumatizzare e farti vivere la vera sofferenza che tante
pitture e tutta l'iconografia classica e rinascimentale ha
sempre evitato di ritrarre», afferma Salvatore Lo Bue,
professore universitario di poetica e retorica alla facoltà di
Lettere e Filosofia di Palermo. «Un film di rottura e questo lo
rende assolutamente unico». Gli fa eco una casalinga, Angela
Nuccio: «In tanti l'hanno criticato perchè prossimo alla Pasqua.
Ma è invece l'unico modo per meglio accostarsi al rito». O si
ama o si odia. Non ci sono valutazioni intermedie nelle prime
valutazioni raccolte a Catania. Su un dato sono tutti d'
accordo: «è un film duro, molto violento». E la violenza e il
tema dell' antisemitismo dividono gli spettatori. «E' esagerato»
afferma uno studente universitario che segnala la «strisciante
presenza di un forte razzismo contro gli ebrei». Diversa lettura
arriva da un insegnante laico di religione: «E' molto forte, a
tratti eccessivamente - sostiene - ma risveglia un dolore che fa
pensare, come se tutto il dolore del mondo fosse racchiuso in
questo film».








Miracoli, confessioni, conversioni, guarigioni






In America una bimba di undici mesi annegata nella vasca da
bagno e per dieci minuti senza ossigeno si salva perché i
genitori, visualizzando la scena della flagellazione di Cristo
rappresentata da Gibson hanno recitato il versetto del Vangelo:
’E attraverso le sue piaghe siamo guariti’’’: è una delle tante
testimonianze che sono state registrate sul nuovo sito: “Changed
lives, miracles of “The Passion”.


Miracoli, guarigioni, liberazioni, conversioni, maternità,
dietro al film di Mel Gibson, La Passione di Cristo. Si è
parlato molto di questi prodigi legati al film, sia durante le
riprese che durante o dopo la proiezione del film. E’ nato anche
sito, dove si raccontano tante testimonianze, si chiama
www.miraclesofthepassion.com. Intanto, una notizia, quasi
incredibile ha fatto il giro di tutto il mondo: Dan Leach, un
giovane texano di 21 anni, dopo aver visto il film, è andato
alla polizia a confessare un omicidio. Ha raccontato di aver
ucciso Ashley Nicole Wilson, di 19 anni che aspettava un figlio
di lui. Dan ha raccontato allo sceriffo che assistendo alla
proiezione della pellicola di Gibson, ha provato rimorso. Lan
polizia aveva chiuso il caso perché la ragazza era stata trovata
nel suo appartamento con un biglietto che descriveva la sua
depressione in quello che era apparso un suicidio. Lo sceriffo
ha affermato: “E’ un film molto forte, che far riflettere due
volte ognuno di noi su ogni peccato che abbiamo commesso”,. Così
come un terrorista neonazista di 41 anni, ad Oslo, dopo aver
assistito alla proiezione della pellicola, è andato alla polizia
a confessare di aver commesso alcuni attentati. John Debney
avrebbe invece visto satana sul suo computer, mentre componeva
le musiche della colonna sonora. Jim Caviezel, sottoposto a 7-8
ore al giorno di trucco, alla fine della riprese di ogni scena
si inginocchiava e pregava con la Bibbia, il Rosario e il
conforto di un sacerdote. “L’intero processo di guarigione”, ha
spiegato Mel Gibson alla rivista Ciak, raccontando della sua
conversione-liberazione avvenuta 12 anni prima di cominciare a
girare La Passione di Cristo, al culmine di un periodo di
gravissima crisi spirituale, fisica, psichica che lo stava
portando sulla strada del suicidio, “diventa una parte
integrante di ciò che sei, e se sei un artista, prima o poi
trovi il modo di farlo venire fuori. C’è un’urgenza,
un’inevitabilità che non puoi controllare. Basti pensare a
Michelangelo o a Leonardo, non che io voglia paragonarmi a loro.
E’ dal loro tormento personale, dalla loro umanità guasta e
sofferente che sono nati quei capolavori. Siamo tutte creature
danneggiate, ma c’è qualcosa di meglio al di là di quello, basta
cercarlo. Io non sono coraggioso, quando ero bambini la mia
famiglia fu perseguitata perché eravamo cattolici. Lo ricordo
molto bene. E’ successi ai cattolici, è successo agli ebrei e
succede a un sacco di gente per essere perseguitato per quello
che si è. Ho paura anche oggi, ma credo in questo film, credo
sia la verità, perché credo nella testimonianza dei Vangeli e
nei principi della religione cristiana. Come fimmaker ho cercato
poi di fare un film che evitasse quella recitazione forzata e
quel ridicolo look patinato e falso che mi è capitato di vedere
in molte versioni cinematografiche”. “Il mio film è piuttosto
fedele alle scritture”, ha detto ancora Gibson a Ciak, “non ho
certo improvvisato: ho letto interi volumi sull’argomento, ho
parlato con studiosi della Bibbia e del talmud per dodici anni.
Questo non è il Vangelo secondo Mel, certo è la mia
interpretazione, la mia visione. La Passione di Cristo mi ha
insegnato a mettere in pratica la tolleranza. E a farmi capire
che si impara solo attraverso il dolore”. A proposito di satana
(interpretato sul set da Rosalinda Cementano), Gibson ha detto a
Ciak: “Chi vuole farti deviare dalla cammino della giustezza non
può essere disgustoso, spiacevole e incutere paura. Deve essere
magnetico, affascinante”. E il peccato il più delle volte si
propaga così nel mondo, tra di noi tra gli uomini di tutti i
tempi.


Il film è stato proiettato anche nella maggior parte degli Stati
musulmani del Golfo Arabo. Yasser Arafat ha detto che il dramma
rappresentato è storico e di grande effetto”. Mentre Jim
Caviezel, il protagonista della pellicola, ha incontrato il Papa
in Vaticano, l’aiuto regista italiano di Mel Gibson, Jan
Michelini, 25 anni, ha raccontato ad “Oggi” di essere scampato
per miracolo a due fulmini: una scossa tremenda, la pressione a
mille, una mano gonfia. “Sono stato evidentemente risparmiato”,
ha raccontato il giovane aiuto regista al settimanale, “perché
ho un cammino da compiere. Ogni giorno che mi sveglio e, col
pensiero grato a Dio, assaporo la bellezza della vita, mi chiedo
come debba impiegare al meglio le mie 24 ore. Tutto assume una
valenza diversa. Michelini ha fatto anche la parte di Gesù
Cristo nel film Apocalisse, in Marocco, per una emergenza, era
infatti assistente alla regia. “Cosa vuole da me il Signore”, si
è domandato Nichelini. Che io mi dedichi a un cinema di valori,
che porti pace e amore nel mondo?” “Partito da una famiglia
cattolicissima”, ha raccontato ancora Nichelini ad Antonella
Amendola di “Oggi”, ad un certo punto mi sono chiesto che senso
avesse quel rito della Messa domenicale tutti insieme. Mi sono
ribellato, mi sono allontanato. Solo oggi posso dire di essere
pienamente tornato alla fede perché ho capito sul set di Gibson
che cosa è veramente successo in quelle 12 ore, che cos’è il
Sacrificio che ha cambiato la storia dell’umanità, e soprattutto
che quella grande storia d’amore si è consumata pure per me.


“Era mia intenzione”, da detto Mel Gibson, in occasione della
proiezione in Italia del film, “arvita ad un’opera d’arte che
duri nel tempo e che diventi fonte di riflessione per un
pubblico eterogeneo. La mia speranza ultima è che il messaggio
di enorme coraggio e massimo sacrificio di Cristo possa ispirare
alla tolleranza, all’amore e al perdono. Valori di cui abbiamo
sempre più bisogno al giorno d’oggi”.


Altre curiosità: Maaloula, un villaggio arroccato sulle montagne
siriane nei pressi di damasco, è l’ultimo posto al mondo in cui
si parla ancora l’aramaico, la lingua di Gesù. Diffuso nella
Palestina romana del I secolo, l’antico idioma è oggi usato da
circa 2000 abitanti. Appartenente alla famiglia delle lingue
semitiche come l’arabo e l’ebraico, l’aramaico, l’aramaico
nacque in Siria e si diffuse in tutto il Medio Oriente.


A Mel Gibson piace la bruschetta italiana, la Bellucci va matta
per le salsicce




“La mia sceneggiatura sono i Vangeli e il mio regista è lo
Spirito Santo”. Mel Gibson ha più volte ripetuto questa frase e
inoltre: “Voglio trasportare gli spettatori là dove tutto
avvenne, ed essere fedele ai vangeli, cosa che nessuno ha mai
fatto prima”. A proposito della violenza del film, bisogna dire
che Gesù non ricevette le 39 frustate “di rito” che i Romani
infliggevano ai condannati, ma molte, molte di più. Si
accanirono su lui in maniera particolare, forse per la tensione
che si era creata nel popolo, per tutte le vicissitudini del
processo e degli attriti con il Sinedrio. I Romani erano
particolarmente innervositi da quella vicenda ancor più perché
erano in corso le sommosse degli Zelati che combattevano con le
armi i Romani per cacciarli dal territorio della Palestina.
L’uomo della Sindone rivela che il corpo di Gesù era
completamente ricoperto dalle frustate. Il trattato clinico del
Journal of the American Medical Association sulla morte di Gesù
Cristo dice testualmente: “La flagellazione procurava lunghe
profonde lacerazioni, con massiccia perdita di sangue. Lo
strumento era una frusta con lacci di cuoio intervallati da
sfere di ferro e aguzzi ossi di pecora. La tortura portava il
condannato alle soglie della morte”.


“Verso i 35 anni”, ha raccontato il regista, “ero scivolato in
una angoscia totalizzante. Ero disperato, tanto da pensare di
buttarmi dalla finestra. Non ce la facevo più, ma non avevo
neppure il coraggio di farla finita. E’ orribile arrivare al
punto che non vuoi più vivere, ma non vuoi neanche morire. E’
stata la Passione a guarire le mie ferite. Un percorso che è
durato 12 anni”.


A Matera, dove sono stati girati gli esterni del film La
Passione di Cristo, la gente del posto ricorda Gibson come un
uomo di fede, riservato, deciso a pretendere il massimo da sé
stesso e dagli altri, amante della buona tavola e in particolare
di carne arrostita e bruschette condite con olio d’oliva.


Le riprese furono effettuate a Craco dal 31 ottobre al primo
novembre del 2002 e a Matera, tra i rioni e Sassi e l’habitat
rupestre, dal 4 novembre al 21 dicembre 2002. Gibson è un
buongustaio e gli è piaciuta molto la cucina materna: alle
Botteghe del Sasso barisano, il regista ha apprezzato crostini
di pane e olio d’oliva, arrosto misto. Pesce. Alla “Trattoria
Lucana” ha gustato olio d’oliva anche da solo e spiedini
d’arrosto. Alle “Lucanerie” Monica Bellucci ha consumato
salsicce lavorate a punta di coltello, pasta fatta in casa con
zucca e peperoni “cruschi”, la torta di formaggio caprino. Jim
Caveziel ha mostrato di essere un buon intenditore di Aglianico,
vitigno molto antico, trapiantato in Basilicata dai Greci.
Intanto Matera, il cui insediamento originario risale al
Paleolitico, cioè circa 10 mila anni fa, che la Passione, l’ha
già vissuta durante i mesi delle riprese esterne del film, vive
ora il “terzo giorno”, quello della Resurrezione. A Sassi
esplode il turismo: le agenzie organizzano “I tour della
Passione”, offrendo visite guidate nei luoghi dove Mel Gibson ha
girato le riprese. “Il regista si faceva dire Messa ogni
mattina, in latino da Don Angelo Tataranni, lui serviva Messa”,
ha raccontato Rosalia Giura, proprietaria dell’Abergo Italia,
dove Mel Gibson alloggiò fra l’ottobre e il dicembre de 2002, a
Dino Satriano del settimanale “Oggi”, “Maria, la cameriera,
provvedeva a tenere sempre piena la boccetta del vino”. Sul
tavolo, un’altra boccetta, però di olio, con un vassoio di pane
fresco. Il regista ne mangiava sempre. Nell’altra stanza della
suite, gli attrezzi per la ginnastica. La domenica di ritorno
dalla Messa si metteva a cantare, un uomo molto sereno. Mangiava
nel nostro ristorante e apprezzava i piatti con la verdura: per
esempio, la crema di fave con la cicoria e le polpette di
mollica di pane soffritte e condite con sugo di carne, una sera
preparò la pizza”. Ora chi vuole può provare il “Menù Gibson”.






La Passione di Cristo dalla A alla Z




ARAMAICO: Lingua morta, fino a Gibson. Perché il regista l’ha
riportato alla luce insieme al latino, scegliendo di far parlare
gli ebrei in aramaico e i romani in latino. E’ una lingua nata
nell’attuale Siria, Girdania e Palestina. I primi documenti
scritti risalgono al X e XI secolo avanti Cristo. Era la lingua
parlata da Gesù. Nell’India Sud-Occidentale è la lingua
liturgica ufficiale. E’ usato nelle grandi città irachene e in
alcuni villaggi della Siria. A tutt’oggi (2004), si stima che
nel mondo sono 3 milioni le persone che si esprimono in
aramaico, tra cui circa 400 mila negli Stati Uniti, 70 mila in
Germania e Russia, 30 mila in Australia e 20 mila in Francia. I
testi del film sono stati supervisionati da padre William Fulco,
professori di filosofia alla Lodola Marymount University di Los
Angeles, che per la traduzione dall’inglese si è attenuto ad
antiche codici di leggi ebraiche scritti in aramaico.




Box Office: Pur di non scendere a compromessi con le case di
produzione di Hollywood, Mel Gibson ha investito 30 milioni di
dollari. Il film, stando al successo che riscuote, ne potre
incassare sopra a mille.




Chiesa cattolica: generalmente favorevole al film, ma non
compatta.




Divieti: In Italia, nessun divieto. In altri paesi i divieti
variano dai 16 ai 18 anni.




Ebrei: quasi tutti contrari, l’accusa (infondata) è
antisemitismo.




Fulmini: si sono abbattuti sul protagonista del film Jim
Caviezel e Jan Nichelini, assistente alla regia.




Gadget: si va dalle tazze ai chiodi, alle spille, alle card, ai
poster e magliette.




Hollywood: Gibson ha dovuto cedere alle pressioni delle major
che minacciavano di boicottarlo per i sottotitoli.




Ispirazione: Il progetto è nato nel 1992, mentre il regista
attraversava una profonda depressione che lo spinse sull’orlo
del suicidio. Trovò la forza di reagire nella preghiera e nella
Parola di Dio. I Vangeli, le visioni della Venerabile Anna
Caterina Emmerick, i dipinti del Caravaggio sono le fonti che
hanno ispirato maggiormente il regista.




Luoghi: il film è stato interamente girato in Italia tra
Cinecittà e Matera.






Martello: E’ la mano di Gibson quella che inchioda Gesù sulla
croce.




Matera: il luogo (Sassi) dove sono state girate le riprese
esterne del film.






Mamme: un felice “destino” ha accomunato le tre protagoniste
femminili, le tre figure che hanno rappresentato lo sfondo
positivo del dramma della Passione: tutte e tre durante la
lavorazione del film erano in maternità.




New York Times: ha attaccato il film.




Ostacoli: i problemi più seri si sono avuti a causa delle
difficili condizioni climatiche: piogge torrenziali e venti
gelidi.




PRODIGI: La Passione miracolosa. Molti i miracoli raccontati da
persone che hanno preso parte alle riprese del film:
conversioni, guarigioni, riconciliazioni, un fulmine evitato.
Gibson faceva celebrare una Messa sul set tutte le mattina alle
7. E gli effetti benefici continuano a farsi sentire anche su
chi vede il film: almeno questo è quanto racconta il sito
’Miracles of the Passion’, fatto apposta per raccogliere
testimonianze di persone salvate da Gibson.


La Cei ha detto che il film è accettabile ma si tratta di una
visione personale. Il Papa ha visto il film; nessun commento
ufficiale anche se su una frase che avrebbe pronunciato il
Pontefice («Così è stato») è nato un dibattito con smentite e
rettifiche.




Quaresima: Gibson ha rifiutato qualsiasi offerta da parte dei
più importanti festival di cinema per permettere al suo film di
essere distribuito negli Stati Uniti il mercoledì delle ceneri,
primo giorno di Quaresima.






QUARANTADUE: Le frustate subite da Gesù, riprese in 12 minuti
nel film.






Redenzione: decine di spettatori hanno abbandonato alcol e
droga, matrimoni si sono salvati, un omicida e un terrorista si
sono costituiti alla polizia.






SALE: 700 le sale italiane in cui è stato proiettato i film il 7
aprile 2004.






TAZZE: Quelle da colazione che fanno parte del merchandising
legato al film. Croci, ciondoli, portachiavi, carte da
preghiera, "La Passione di Cristo" è un business mondiale. Tra i
’must’, il portachiavi con il ciondolo del chiodo della croce,
venduto a 6 dollari e 99 centesimi.




URLA: Urlano tutti: romani, ebrei, Pilato, Erode, amici e
parenti di Gesù.




VANGELO: Che la descrizione fatta da Gibson rispecchi fedelmente
i Vangeli è certo, che lo spirito sia proprio quello ci sono dei
dubbi.




Vaticano: il film è stato apprezzato.




ZEFFIRELLI: Il regista di ’Gesù di Nazareth’ ha detto che il
film di Gibson è troppo violento.






Caviezel: “Una croce da 50 chili, ma alla fine della giornata ne
pesava 300”




«La prima volta che ho portato la croce, ha raccontato Caviezel
a Kataweb, «pesava cinquanta chili, ma dopo qualche ora sembrava
pesarne settantacinque. A fine giornata arrivava a trecento! In
una delle cadute, qualcuno ha messo un piede sull'asse della
croce, e mi ha slogato una spalla. Ho sentito un dolore
fortissimo, e da quel momento ho iniziato a farmi sempre più
male. Durante la scena del supplizio, dovevo essere frustato. I
torturatori, in realtà, dovevano colpire una base di metallo a
pochi centimetri dalla mia schiena. Mel urlava: 'Frustate come
se doveste lanciare delle palle da baseball!'. Qualcuno, però si
è sbagliato e mi ha colpito sulla schiena. Un dolore che mi ha
tolto il respiro, non pensavo che potesse fare così male. Nella
scena che vedete, quindi, non sentite molte urla: in quelle
condizioni non si riesce nemmeno a respirare, è troppo doloroso.
Durante le vacanze di Natale ho dormito anche diciotto ore al
giorno, ero esausto. Quando sono tornato sul set, avevo i
capelli bianchi... “Mi chiamò un produttore amico”, ha
raccontato Jim Caviezel ad Andrea Carugati della rivista Vanity,
“voleva parlarmi, disse, di un film sul surf. Ci incontrammo a
pranzo e dopo un paio d’ore arrivò Mel che mi raccontò di un suo
progetto per un film sulle ultime ore di vita di Gesù. Gli dissi
che avevo visto quello di Zeffirelli. “Forse non hai capito”,
rispose lui, “Io voglio mostrare le cose come sono andate
veramente”: A quel punto ho capito: stava pensando a me per la
parte di Gesù, la bugia del surf era servita a tastarmi il
polso. Gli ho chiesto se davvero mi voleva nel film. “Tu sei il
film”, mi ha risposto”. Ha mai pensato di fuggire durante le
riprese? “Avrei mollato tutto”, ha risposto l’attore al
giornalista di Vanity, “se avessi avuto la sensazione che
stavamo facendo qualcosa di sbagliato, che si trattava solo di
una manovra economica, che non eravamo in linea con i Vangeli.
Ma visto che il Vaticano aveva approvato la sceneggiatura, non
mi è mai passato per la testa di andarmene”. L’attore ha
raccontato al giornalista di Vanity anche l’avventura delle vere
frustate: “Fu l’unica mattina che non partecipai alla Messa”.
L’attore era in ritardo con il trucco, sulla schiena, una
robusta protesi di gomma, una specie di doppia pelle, dopo le
prime frustate sentì un dolore infinito, l’attore urlò, pianse,
uscì vero sangue. Uno dei colpi raggiunge per sbaglio la parte
della schiena non protetta dalla protesi. “Dopo le cure”, ha
raccontato Caviezel ad Andrea Carugati, “riprendiamo la scena,
sebbene la ferita mi dolga ancora. Pochi secondi dopo resto di
nuovo senza fiato, l’aria nei polmoni si ferma e anche il mondo
intorno a me. Tutto si fa silenzioso, sento solo il dolore che
mi assorda. Una frustata, molto più violenta della prima, mi ha
solcato il fianco. Ho una cicatrice lunga trenta centimetri.
Forse avrei fatto meglio a confessarmi quella mattina”. L’attore
ha raccontato ancora al giornalista di Vanity Fair: “Mel mi
tormentava: non sei costretto a sopportare”, mi ripeteva, “sei
libero di andartene”. Io ero mezzo nudo, al freddo, alle 5 del
mattino, d’inverno, con una spalla slogata dal peso della croce,
la corona di spine che mi faceva pulsare la testa e un principio
di bronchite….pensavo che la maggiore difficoltà sarebbe stata
recitare in aramaico. Mi sbagliavo. La crocifissione è stata la
mia passione personale. Mi alzavo a notte fonda per il trucco,
andavo a Messa e poi mi appendevano per ore alla croce, con il
vento tagliente che saliva dalla valle verso i Sassi di Matera.
Il freddo i crampi, le continue emicranie. Stavo ore e ore
immobile, ad aspettare che la cinepresa venisse sistemata, che
Mel Scegliesse l’angolazione migliore. Nei momenti più duri,
quando l’unico pensiero era scendere dalla croce, pensavo a
Gesù, a quello che aveva sofferto lui, e trovavo la forza di
resistere ancora un po’. Ma ci sono stati momenti in cui ho
dubitato della mia fede. Quando nel film ho gridato al cielo:
“Padre, perché mi hai abbandonato”, non era solo una frase da
recitare. Lo pensavo sul serio. Amo Gesù più della mia vita, più
della mia famiglia, altrimenti non avrei resistito. Dovevo
soffrire e proprio nella sofferenza la mia fede è aumentata. Mi
è rimasto un ricordo, quella cicatrice. Io non sono un fanatico.
Ho interpretato la parte di Gesù e mi sono preparato con la
preghiera. Neanche Mel è un estremista. Il film non è
antisemita, al contrario vuol dare un messaggio d’amore e di
tolleranza, non si può incriminare un popolo per gli errori di
pochi. Il vero peccato è che il suo messaggio non sia ancora
ascoltato». Per alleviare le sue sofferenze Jim Caviezel ha
potuto contare su una controfigura, Brandon Reininger, e su un
robot».




La reazione di alcuni settori evangelici, la parola a Paolo
Jugovac






“Tutti ne hanno parlato, molti lo hanno criticato, pochi lo
hanno visto: è The Passion, il film di Mel Gibson che narra le
ultime ore di vita di Gesù.


Già a mesi dalla sua uscita The Passion è diventato un caso
dottrinale e mediatico prima ancora che cinematografico,
sollevando subito critiche incrociate da parte di tutte le
confessioni: chiesa cattolica, chiese evangeliche, comunità
ebraiche”, ha scritto Paolo Jugovac nel Portale
www.evangelici.net, “PREMESSA: Prima di entrare nel vivo, sono
doverose alcune premesse, necessarie a disinnescare alcune
polemiche latenti nei molti interventi letti fino a oggi.


Innanzitutto, una precisazione banale: The Passion è solo un
film. Un film è la rappresentazione visiva di un racconto. Non
c'è mai stata una pellicola capace di rendere in maniera
assolutamente fedele una storia scritta, perché la potenza
evocativa della parola è molto più pregnante di quella
dell'immagine. Seconda precisazione: se il Vangelo è ispirato da
Dio, un film è invece la ri-narrazione del Vangelo, e quindi
risente delle idee del regista, del talento dello sceneggiatore,
della sensibilità degli attori. Terza e ultima premessa: un film
non potrà MAI sostituirsi alla Parola di Dio. Potrà essere un
aiuto per capire, magari per valutare aspetti che non si erano
considerati in precedenza. Ma attenzione: il supporto visivo è
prezioso, e allo stesso tempo invasivo: rischia di appiattire e
fissare il ricordo del racconto esclusivamente sulle scene
narrate nel film.


IL FILM: «Egli è stato trafitto a causa delle nostre
trasgressioni, stroncato a causa delle nostre iniquità; mediante
le sue lividure noi siamo stati guariti»: The Passion inizia
così, con la citazione di Isaia 53, e con le immagini di Gesù
che prega intensamente in una notte di luna piena sul Monte
degli Olivi. La storia è nota: The Passion non narra la vita di
Gesù, ma si concentra sulla sua passione; parte da un Gesù
tormentato e tentato che invoca suo padre sul Getsemani e
prosegue con il tradimento di Giuda, il sommario (e illegale)
processo notturno al Sinedrio, il rinnegamento di Pietro, la
traduzione di fronte a Ponzio Pilato, il palleggiamento di
competenze tra le autorità romane e il re Erode, il “castigus”
delle frustate e dei colpi di flagello, la sentenza a furor di
popolo, la “via crucis” tra sputi e offese insieme a un Simone
cireneo che vive una profonda contraddizione interna, la
crocifissione vera e propria in tutte le sue fasi. La
resurrezione viene vista solo in maniera marginale e senza
commenti, negli ultimi secondi del film. In tutto quasi due ore
di rappresentazione, in due tempi girati come noto nelle lingue
originali, aramaico e latino, e sottotitolato nelle varie lingue
moderne. Sul piano dell'azione va detto che il film è molto
statico: lunghe sequenze indugiano su volti, espressioni (anche
se non tutti gli attori reggono la prova), particolari. L'azione
è stemperata per non creare vortici di emozioni e lasciare uno
spazio per la riflessione, per far digerire allo spettatore i
fatti salienti della narrazione senza accavallarli.


LA VIOLENZA: Si è parlato tanto della violenza che
caratterizzerebbe le scene della pellicola. E la violenza c'è,
senza dubbio. Non ce n'è molta più di quella che si vede ogni
giorno in televisione e che non suscita altrettante critiche.
Certo, ci sono le angherie dei sadici soldati romani, ma certo
all'epoca i legionari non andavano per il sottile con i
prigionieri e con i sediziosi. A queste vessazioni fa da
contrasto la dolorosa sopportazione di Gesù . Un Gesù che geme,
si lamenta; un Gesù piagato da colpi di verga e di flagello,
torturato dalla corona di spine, impastato di polvere e sangue,
piegato dalle sofferenze e pure mansueto di fronte alle
ingiustizie e alle ingiurie.


LA FOTOGRAFIA:Colpisce il massiccio uso dei chiaroscuri.
Complice il fatto che molte delle scene rappresentate sono
avvenute di notte, The Passion è un film giocato sulla
morbidezza del soffuso notturno, che stempera i colori e quando
può (come negli interni) offre giochi di tinte calde.


La staticità delle scene scivola a volte un po' troppo
nell'agiografia, nel quadro, nella riproduzione di stilemi di
arte sacra visti e rivisti nel corso dei secoli, che poco hanno
a che vedere con il realismo di altre scene. I SILENZI: Molto si
è detto anche sulla scelta di girare il film in aramaico e
latino, abbinando a queste i sottotitoli anziché avvalersi del
doppiaggio. La scelta potrebbe creare qualche grattacapo a noi
italiani, che non siamo abituati alle didascalie come altri
paesi, ma in generale la decisione di mantenere l'audio
integrale non disturba più di tanto. D'altronde la “Passione”
secondo Mel Gibson è la Passione dei silenzi, lunghi e ostinati,
dove la colonna sonora è un soffio etnico e il parlato è un deja
vu (situazione inevitabile, data la notorietà proverbiale delle
scene rappresentate). Le scene vivono di vita propria, senza
bisogno di parole.


LE SCENE : La rappresentazione è ben studiata, con effetti di
grande impatto. Interessante, per esempio, l'idea di
ripercorrere con brevi retrospettive (flashback) alcuni momenti
della vita felice di Gesù, il rapporto con la madre, alcuni
fatti salienti del suo ministero.


Come in tutti i film sul tema il racconto non è preciso, né
filologicamente completo: lo spettatore attento e con un po' di
conoscenza biblica noterà molte omissioni. Alcune incongruenze
si segnalano per la loro esagerazione: per vari motivi, per
esempio, sarebbe stato difficile che nella realtà due pie donne
ebree (Maria madre di Gesù e Maria Maddalena) andassero ad
asciugare con panni bianchi il sangue di Gesù sul lastrico del
cortile, nel forte romano.


Probabilmente la decisione di sorvolare su alcuni momenti per
concentrarsi su altri è stata una scelta precisa sul piano
narrativo. Se nulla viene detto di un Giuseppe D'Arimatea o
della sepoltura, e se la resurrezione si deduce solamente negli
ultimi secondi da Gesù seduto accanto al suo sudario, se manca
perfino il grido con cui Gesù diede fine alle sue sofferenze
terrene, sostituito da un sussurro impastato, altresì molto
viene concesso alla figura di Ponzio Pilato, alla psicologia dei
soldati romani e alla malvagità delle autorità religiose
ebraiche (non dimentichiamo che per catturare e processare Gesù
si violarono un buon numero di norme della Legge).


Non mancano nemmeno le stravaganze poco contestualizzate, come
quella di mutare i volti dei bambini in quelli di spiritelli
malvagi per mostrare la presenza reale dell'avversario in certi
specifici momenti della passione di Gesù; come detto, però, un
film è la rappresentazione di un racconto, e volente o nolente
indulge in licenze artistiche e interpretative. Come tutte le
narrazioni si avvale di una prospettiva soggettiva - quella del
regista - e proprio per questo non la si può considerare unica e
autentica. I CONTENUTI : Coerentemente con il titolo, ampio
spazio viene dato alla sofferenza di Gesù: una sofferenza cruda,
densa, ripercorsa senza sconti. È questa la cifra che
caratterizza il film, il tema su cui verte la narrazione. Certo,
la sofferenza maggiore per Gesù in quei momenti è stata
spirituale, a causa dell'abbandono da parte del Padre (Elì, Elì,
lamà sabactanì), che non poteva sopportare la vista del peccato
raccolto su di sé da suo Figlio; ma Gesù era anche vero uomo, e
ha sofferto. The Passion si concentra sul focus dell'esperienza
umana di Gesù, per ricordare che non per i suoi miracoli, ma
attraverso le sue lividure siamo stati sanati. Attraverso quelle
frustate, attraverso quegli sputi, quei maltrattamenti, quelle
offese, quel sangue grondante, quei chiodi nelle mani .
Attraverso quel dolore.


The Passion al di là delle strumentalizzazioni che se ne
vorranno fare, è una pellicola che fa pensare, non lascia
indifferenti, e riporta l'attenzione dello spettatore sul prezzo
che Gesù ha pagato, sulla ingiusta violenza che ha subito. E di
fronte a tanta sopportazione, chiedersi “perché?” è il minimo
che possa fare sia lo spettatore che ha fatto un'esperienza di
fede, e che quindi sente un legame di gratitudine nei confronti
della sofferenza, della morte e della resurrezione di Cristo,
sia lo spettatore dubbioso, che attraverso il film potrà forse
intravedere una risposta a quella violenza umanamente insensata
ed emblematica, così antica eppure ancora così attuale”.






Il parere dei vescovi






«"Entusiastici", "favorevoli con riserva" e "fortemente
critici"», ha scritto Ignazio Ingrao su Panorama, «queste le tre
categorie che possono riassumere gli esiti dello speciale
sondaggio condotto da Panorama tra gli insoliti critici
cinematografici con zucchetto e pastorale.

Guida il gruppo degli "entusiasti" monsignor Rino Fisichella,
rettore della Pontificia Università Lateranense: «Il film mi è
piaciuto. Gibson ci ha riproposto qualcosa che avevamo
dimenticato: la violenza e la sofferenza che hanno accompagnato
la passione e la morte di Nostro Signore. La lettura che il film
offre di questi avvenimenti mi sembra teologicamente corretta».
Il vescovo respinge le critiche sul regista: «Non amo le
etichettature. Quando si dice che questo film è brutto perché è
fatto da un regista definito tradizionalista mentre il Vangelo
secondo Matteo è bello perché è fatto da un regista addirittura
non credente, Pier Paolo Pasolini, allora credo che siamo in
presenza di dibattiti assolutamente pretestuosi». E in omaggio
al film di Gibson, la Pontificia Università Lateranense ha
organizzato una tavola rotonda in programma il prossimo 29
aprile».

«Al coro dei sostenitori», ha scritto ancora Ingrao, «si unisce
il cardinale Tarcisio Bertone, arcivescovo di Genova, che nei
giorni scorsi si è espresso pubblicamente a favore del film.
«The Passion, osserva Bertone, ha certamente diversi aspetti
degni di nota, meritevoli di attenzione, come il continuo
riferimento all'Eucarestia e la sottolineatura del ruolo della
Madonna». Il timore del cardinale è che dietro alle critiche
mosse al lavoro di Gibson, «ci siano troppi pregiudizi contro la
religione e strumentalizzazioni». E ancora: «In Vaticano il
presidente del Pontificio consiglio delle comunicazioni sociali,
monsignor John Patrick Foley, apprende con soddisfazione da
Panorama che ci sono diversi vescovi e cardinali italiani
schierati a sostegno del film e commenta: «Ho trovato The
Passion molto commovente: mi ha fatto riflettere sul fatto che
io sono responsabile in prima persona della sofferenza di
Cristo. È una sorta di Via Crucis in forma di film». Più
numeroso è il gruppo di vescovi che si dicono "favorevoli al
film" ma con alcune riserve sulla forma o sul contenuto.
Positivo il giudizio del vicepresidente della Conferenza
episcopale italiana, monsignor Alessandro Plotti, arcivescovo di
Pisa: «Il film è costruito bene e fa riflettere però c'è troppo
sangue. Forse il regista poteva evitare qualche insistenza su
certi aspetti che sono un po' macabri e che rendono la pellicola
non adatta ai ragazzi più giovani».


Plotti assolve comunque Mel Gibson dall'accusa di antisemitismo:
«Non la ritengo fondata; anzi, mi sembra che il regista sia
stato molto attento a quanto raccontano i Vangeli».


Per l'arcivescovo di Bari, monsignor Francesco Cacucci, Mel
Gibson tratta la passione di Cristo «con originalità e offre
chiavi interpretative molto positive». Per esempio, «la
comunicazione continua che Gesù intesse con sua madre. Una
comunicazione fatta di sguardi che assegna a Maria un ruolo
decisivo nella Passione». Peccato però, aggiunge subito Cacucci,
che questi aspetti positivi siano «inficiati da un'eccessiva
spettacolarizzazione della crudeltà che contrasta con la
sobrietà della narrazione evangelica».«The Passion», ha scritto
ancora Ingrao, « è un'opera che colpisce, interessa, divide,
comunque non lascia indifferenti», osserva il cardinale Silvano
Piovanelli, arcivescovo emerito di Firenze. Vedere come Gesù
«paghi nella sua carne il nostro peccato ci scuote
profondamente, provoca in noi una specie di ripulsa e questo è
positivo. Ho paura però che non tutti riescano ad estrarre dal
film il messaggio cristiano di salvezza e rimangano invece solo
fortemente suggestionati dalle scene di violenza». Anche il
presidente della Conferenza episcopale umbra, Giuseppe
Chiaretti, arcivescovo di Perugia, critica l'insistenza del film
sulla sofferenza fisica di Gesù: «Credo che il dolore più forte
di Gesù sia stato quello morale, prima che fisico, quando nel
Getsemani si è sentito solo e abbandonato e ha sudato sangue».
Inoltre l'arcivescovo di Perugia ricorda che «la Passione di
Gesù si può comprendere solo nella prospettiva della
Resurrezione, altrimenti si riduce all'indicibile sofferenza di
un brav'uomo capitato nel posto sbagliato al momento sbagliato».
Il patriarca di Venezia, cardinale Angelo Scola, ha preso le
distanze dall'opera di Mel Gibson e all'indomani dell'uscita
nelle sale ha invitato «tutti quelli che discutono così
animatamente di questo film ad andare in chiesa la notte o il
giorno di Pasqua se vogliono veramente capire qualcosa di ciò di
cui parlano».Preferisce astenersi dal giudizio il cardinale
Achille Silvestrini: «Non ho visto il film e non credo che andrò
a vederlo. Ho raccolto però molte riserve da parte di diversi
biblisti», dichiara a Panorama.


Diversi vescovi italiani sono invece apertamente critici.


Monsignor Carlo Ghidelli, arcivescovo di Lanciano e presidente
della Conferenza episcopale dell'Abruzzo e Molise, afferma che
Gibson «è passato attraverso una crisi e ha una concezione del
cattolicesimo un po' oscurantista. Inoltre è molto polemico su
certe posizioni della Chiesa poiché non condivide pienamente la
svolta del Concilio Vaticano II. Ho paura che queste sue
posizioni siano riflesse nel prodotto artistico».«Il film non
l'ho visto né in questi giorni ho possibilità di vederlo», dice
Cosmo Francesco Ruppi, arcivescovo di Lecce e presidente della
Conferenza episcopale pugliese. «Ritengo però che il Cristo vero
sia quello dei Vangeli e mi auguro che il regista non se ne sia
allontanato troppo».


Per Giovanni Giudici, vescovo di Pavia, non bisogna fermarsi
alla «spettacolarizzazione della sofferenza»: quello che conta
non è la quantità di violenza patita da Gesù bensì «il suo amore
per noi testimoniato dall'accettazione del dolore per
redimerci». E infine, ha scritto Ingrao, «LA PAROLA AI PARROCI
Ora la parola passa ai parroci. Nonostante le polemiche,
numerose sale parrocchiali si preparano infatti a inserire nella
programmazione dei prossimi mesi il film di Mel Gibson».




Regalati i costumi


La neonata sezione "Costumi per lo spettacolo", del museo del
tessuto di Prato, ha una nuova ed emozionante collezione.

Direttamente dal set di La passione di Cristo, sono infatti
stati donati al museo gli abiti utilizzati durante le riprese.









Jim Caviezel: “Ho sentito parlare per la prima volta di
Medjugorje quando facevo la quinta o la prima media. Prima si
diceva che era come le apparizioni di Fatima, Guadalupe,
Lourdes, ma subito dopo si disse che il vescovo aveva dichiarato
che non fossero vere. Come cattolico devoto, ho accettato quello
che lui diceva. Molti anni dopo ho conosciuto mia moglie, ci
siamo sposati e dopo alcuni anni lei si recò a Medjugorje.
Mentre lei era lì, io ero in Irlanda a girare il film «Il conte
di Monte Cristo». Mi telefonò in Irlanda; sentii la sua voce
diversa, ma subito pensai: Chi sono io per interferire nella tua
esperienza spirituale? Mi disse che Ivan Dragicevic sarebbe
venuto in Irlanda…. Sono andato con lei varie volte e una volta,
durante un´apparizione, ho sentito una presenza fisica. Ivan mi
ha detto due cose che mi hanno colpito molto: «Jim, l´uomo trova
il tempo per quello che ama», e «l´uomo non trova il tempo per
Dio perché non lo ama». Poi mi ha parlato di come pregare col
cuore. Per me è stato come l´inizio di una missione: pregare
sempre col cuore.


Kerri Caviezel: «Io facevo la seconda media quando il nostro
sacerdote ci fece vedere un film ne



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www.gazzettadisondrio.it

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